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Rina punta sull’idrogeno per rendere sostenibile la produzione

Articolo tratto dal numero di dicembre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Una società con alle spalle un grande passato, ma impegnata a guardare al futuro, diversificando le attività in vista di una crescente internazionalizzazione, con una particolare attenzione allo sviluppo sostenibile. Rina, nata nel 2000 dal Registro Italiano Navale – ente di classificazione navale costituito assieme al Regno d’Italia per coprire i rischi relativi a perdite e avarie di corpo e attrezzi delle navi a vela -, è una multinazionale che fornisce servizi nei settori energia, marina, certificazione, infrastrutture e mobilità, industria, ricerca e sviluppo. Con ricavi al 2022 per 725 milioni di euro, oltre 5.300 dipendenti e 200 uffici in 70 paesi, partecipa alle principali organizzazioni internazionali, contribuendo allo sviluppo di nuovi standard normativi, ed è membro fondatore dell’Iacs (International association of classification societies), l’associazione internazionale nata nel 1968 a cui appartengono le 12 società di classificazione navale più importanti al mondo.

Dal punto di vista societario, il Registro Italiano Navale detiene il 64,5% delle quote di Rina, la holding del gruppo. Il 33% è di proprietà di soci finanziari e il restante 2,5% del management aziendale. Rina detiene il 100% di Rina Services e Rina Consulting, società che erogano servizi (rispettivamente di certificazione, ispezione e collaudo e di consulenza ingegneristica) direttamente o attraverso società controllate.

L’obiettivo principale di Rina è supportare gli stakeholder lungo tutta la catena di produzione del valore, con una focalizzazione su digitalizzazione, esg e transizione energetica. Transizione che è un processo oramai avviato e in cui Rina sta mettendo a disposizione le sue competenze, convinta che non ci si debba affidare a una sola tecnologia, ma a tante soluzioni: idrogeno, idroelettrico, fotovoltaico, eolico, cattura e stoccaggio del carbonio, fino al nucleare. Sarà poi il mercato a scegliere la strada migliore. L’importante, ricorda Ugo Salerno, presidente di Rina dal 2012 e amministratore delegato dal 2002, è guardare sempre in prospettiva, perché il futuro è già oggi. E va declinato nella sostenibilità.

Rina ha avviato il progetto Hydra per decarbonizzare la produzione dell’acciaio con l’idrogeno. L’iniziativa, del valore di 88 milioni di euro, durerà fino al 2028 e sarà ospitata nel centro sviluppo materiali di Castel Romano, in provincia di Roma, dove sarà realizzato un impianto pilota in grado di produrre fino a sette tonnellate di acciaio all’ora emettendo una frazione marginale (nell’ordine dei chilogrammi) dell’anidride carbonica rilasciata al momento. Si tratta di una mini acciaieria che sperimenterà l’idrogeno in ogni fase del ciclo di produzione. La struttura, la cui costruzione terminerà entro il 2025, sarà composta da un impianto di riduzione diretta del minerale di ferro attraverso l’utilizzo di idrogeno quale agente riducente, da un forno elettrico e da un forno di riscaldo. A Hydra è dedicato un team di 120 ingegneri e c’è un piano di assunzioni per tutta la durata del progetto. Grazie al suo grado di innovazione, l’iniziativa fa parte degli Ipcei (Importanti progetti di comune interesse europeo) finanziati dall’Unione europea – NextGenerationEU. “È la prima volta che un operatore indipendente porta avanti un’iniziativa del genere”, ha sottolineato Salerno in sede di presentazione. “Da oggi mettiamo in campo tutta la nostra competenza perché Hydra diventi un catalizzatore per le eccellenze della siderurgia. Crediamo molto non solo negli aspetti tecnici di questo progetto, ma nella filosofia che lo guida: un’innovazione ‘aperta’ che porta valore a tutti gli stakeholder. La decarbonizzazione, uno dei pilastri del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è una priorità e un obiettivo comune a tutti, specialmente nei settori hard to abate (quelli più difficili da decarbonizzare, ndr)”.

L’investimento in ricerca e nuove tecnologie è essenziale, ma è anche un costo da sostenere.
I progressi non sono mai gratuiti. L’importante è che i costi siano uguali per tutti e non ci sia chi altera il gioco parlando su scala globale. Tenendo conto del fatto che in questo caso il mercato non si autoregola, serve qualcuno che detti precisi indirizzi e attui un piano regolatorio. Nel nostro caso l’Unione europea, che ha allo studio un progetto per equilibrare i costi.

Che ruolo può giocare l’Italia, con le sue competenze, per lo sviluppo internazionale e la sostenibilità?
L’Italia è un produttore molto virtuoso: su circa 24 milioni di tonnellate di acciaio prodotte nel 2021, circa 20 arrivano da forno elettrico, un tipo di impianto che emette circa 0,7 tonnellate di CO2 per ogni tonnellata di acciaio prodotta, contro le due del ciclo integrale. Abbiamo buone competenze e ottime potenzialità. Servono però investimenti. La produzione di acciaio è un fattore di competitività, perché si tratta di fornire materiale all’industria italiana.

Di recente sono arrivate novità sotto il profilo societario per Rina. Che cosa sta cambiando e che cosa vi aspetta nel prossimo futuro?
Quest’estate abbiamo annunciato la sottoscrizione di un accordo per l’ingresso di un nuovo socio di minoranza, Fondo Italiano d’Investimento, nel capitale sociale, con una quota del 33%. Un’operazione importante, con un partner istituzionale di altissimo livello, che prevede un’iniezione di capitali fino a 180 milioni di euro. Inoltre, a fine 2022 abbiamo acquisito una società statunitense, Patrick Engineering, che ci permetterà di entrare in modo più efficace sul mercato americano. Rina si avvia a chiudere il 2023 con circa 800 milioni di ricavi e una forte diversificazione a livello geografico. Nel giro di tre/cinque anni, poi, potrebbe esserci un passaggio ulteriore, quello della Borsa, ma non abbiamo fretta. Quando sarà il momento giusto ci quoteremo. L’ingresso in Borsa non sarà un punto di arrivo, ma solo l’inizio di un percorso.

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