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Innovation

Così l’intelligenza artificiale sta cambiando il lavoro degli avvocati

Un cambio di passo deciso. Dopo essere stati per anni tra i professionisti più “pigri” nell’accogliere l’innovazione, gli avvocati stanno cavalcando con decisione la frontiera dell’intelligenza artificiale. Come racconta Martina Domenicali, co-founder e cso di Lexroom.ai, piattaforma per la ricerca legale, che permette di porre quesiti giuridici in linguaggio naturale e fornire risposte rapide e precise, presentando risultati sotto forma di risposte pragmatiche o bozze di pareri, citando e allegando le fonti più pertinenti.

Partiamo da una fotografia dell’esistente. Quale utilizzo fanno gli avvocati dell’intelligenza artificiale?

Rispetto alle innovazioni tecnologiche, il professionista legale è sempre stato generalmente restio ad accoglierle. Anche con l’avvento di strumenti innovativi a suo supporto, l’avvocato è storicamente rimasto un tradizionalista, abituato principalmente a lavorare e studiare sul cartaceo. Sicuramente, questo ha influito sulla reticenza al cambiamento della propria impostazione lavorativa. Tuttavia, con l’uso ormai sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale, che noi di Lexroom.ai definiamo un cambio di paradigma nella tecnologia a disposizione dei professionisti, abbiamo percepito un approccio che all’inizio non ci aspettavamo.

In che senso?

Mentre i primi sviluppi tecnologici riguardavano piccoli miglioramenti nice-to-have, come per esempio la firma digitale e il contratto digitale, questa innovazione tocca il cuore stesso della loro professione. Oggi il settore legale è molto ricettivo al cambiamento e i professionisti vogliono farne parte, anche se il target si divide tra chi è impaurito dall’avanzamento tecnologico nel proprio ambito professionale, col timore che in futuro questi strumenti andranno a sostituire la sua figura; dall’altra, c’è un 58,7% di avvocati (VIII Rapporto CENSIS sull’avvocatura) che vede nella tecnologia un’opportunità di miglioramento piuttosto che una minaccia.

Detto dello scenario attuale, quali sono a suo avviso i possibili sviluppi nel rapporto tra avvocati e transizione digitale?

Tra i possibili sviluppi dell’Ia generativa vi è un’integrazione capillare dei principali compiti che l’avvocato svolge quotidianamente, in primis un supporto all’attività di ricerca e l’assistenza nella redazione di atti e contratti.

Con quali benefici?

In primo luogo la possibilità di risparmiare sulla risorsa immateriale più preziosa, il tempo, che si può far fruttare in attività a valore aggiunto, come per esempio la consulenza. Anche se, alla luce dell’imminente entrata in vigore dell’Ai Act, sulla base del livello di rischio dello strumento a intelligenza artificiale che viene utilizzato, il regolamento prescrive determinati obblighi, che è importante conoscere.

Quali le possibili criticità e come superarle?

Le criticità riguardano due tematiche: da un lato la gestione delle allucinazioni, che sono pecche di questo tipo di algoritmi, risposte frutto di informazioni inesistenti o non aggiornate tipiche dei sistemi IA generativi non specializzati. Negli Stati Uniti, un avvocato ha portato a processo un atto che citava una sentenza presa da Chat Gpt, ma è risultata essere completamente inventata. Per arginare queste allucinazioni, è necessario costruire una base dati affidabile, specializzata, che abbia al suo interno solo fonti giuridiche controllate e mantenute sempre aggiornate. Lexroom.ai non ricava le informazioni da ciò che trova indicizzato sul web, ma attinge unicamente da una base dati specifica costruita con studi legali di prima linea, corredata solo da fonti autorevoli mantenute aggiornate.

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