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Calzature fatte a mano e compattezza familiare: così Arbiter ha portato le sue scarpe fino in Sudafrica

“Le scarpe di qualità sono fatte per le persone umili”. Una posizione che ribalta la visuale classica, che vuole il lusso riservato solamente ai più ricchi. In casa Arbiter la pensano diversamente e seguono le direttive del fondatore Alfonso Marciano, che a 17 anni, nel 1954, ha creato l’azienda da zero.

Punta tutto sulla qualità, che trasforma le scarpe in un prodotto indistruttibile. Le calzature sono fatte interamente a mano, con taglio delle pelli e tinta realizzate dai calzolai specializzati. L’intervento delle macchine avviene solamente nei pochi passaggi che non può fare direttamente l’uomo. Si parte dalla ricerca di materie prime, si prosegue con un’attenzione maniacale ai dettagli, anche quelli che appaiono più insignificanti, e si conclude con l’esperienza degli artigiani, che sono il vero valore aggiunto dell’azienda.

Com’è nata Arbiter

Arbiter parte da Santa Maria a Vico e utilizza il territorio di Caserta come trampolino verso il mondo. Sin dagli esordi l’azienda ha avviato un processo di internazionalizzazione che non si è mai fermato e prosegue anche oggi. Eventi, fiere e meeting vedono sempre la realtà campana in prima fila con l’obiettivo di creare  un network che permetta di aprire le porte verso nuovi mercati. E dopo il momento di crisi provocato dal Covid, la situazione sta tornando alla normalità, dimostrando che quando si punta  sulla qualità e si lavora in modo serio si possono ottenere eccellenti risultati imprenditoriali anche nel Sud Italia.

Lo conferma Eleonora Annachiara De Lucia, terza generazione di Arbiter ed export manager dell’azienda. “Il nostro è un  territorio ricco di cultura, arte e bellezza, ma nel quale a volte bisogna fare i conti con qualche difficoltà. Noi siamo fieri di  lavorare nel Meridione, però in qualche occasione i clienti ci accolgono con un pizzico di freddezza nel momento in cui sanno da dove proveniamo. Così è necessario un po’ più di tempo per guadagnarsi la loro fiducia, ma il nostro  è un prodotto che parla da sé e abbiamo un marchio di garanzia di serietà che ci permette di dormire tranquilli”. 

Il business in Sudafrica

Così già dagli anni ’60 Arbiter diventa punto di riferimento in Sudafrica, dove oggi è un brand fortissimo e molto conosciuto  sul territorio. “Nasce tutto da un cliente italiano entusiasta del marchio che ha iniziato ad acquistare solamente i nostri prodotti”, spiega Anna Maria Marciano, figlia del fondatore e socia. Oltre al Sudafrica il marchio sfonda in Francia, Germania,  Svizzera, Belgio e Europa dell’est, ma anche negli Stati Uniti e nei Paesi Arabi. Ci sono personaggi famosi che si propongono come testimonial a livello internazionale, ma facendo prodotti di lusso e producendoli a mano non si possono soddisfare  quantitativi enormi.

“La nostra arma in più è l’unità familiare: sei fratelli che lavorano fianco a fianco in azienda con un unico obiettivo. Adesso è  entrata anche la terza generazione, questo ci rende davvero invincibili anche di fronte alle avversità. Siamo predisposti al sacrificio e non ci riteniamo imprenditori nel senso stretto del termine. Diamo l’anima per creare un prodotto perfetto, anche se magari questa nostra attenzione ai dettagli ci porta ad avere un margine di guadagno ridotto”. 

Potenziare il mercato interno ed espandersi in tutto il mondo

Arbiter riesce a rimanere al passo con i tempi pur puntando sulla tradizione. L’obiettivo a medio termine è potenziare e riprendere il mercato interno, mentre il sogno è aprire punti vendita in tutto il mondo facendo conoscere il marchio in ogni angolo del pianeta. Un’ipotesi che in un futuro per nulla remoto potrebbe diventare realtà. Il tutto tenendo sempre ben presente l’importanza della sostenibilità, aspetto che in Arbiter viene messo in primo piano fin da quando non esistevano  ancora leggi ad hoc.

“Non possiamo sostituire la materia prima, vale a dire la pelle, ma operiamo per ridurre al minimo gli scarti e per riutilizzare tutto il possibile realizzando ad esempio cinture, scarpe e tappeti patchwork. Poi ci sono linee in cui abbiamo bandito l’utilizzo della carta e anche i sacchetti vengono prodotti con del cotone riciclato. Senza contare che non utilizziamo solventi chimici ma collanti ad acqua, per la salute del pianeta, dei dipendenti e anche nostra”. Adesso si attende che qualcosa si muova anche per garantire un passaggio generazionale ai tanti artigiani capaci di realizzare opere d’arte come le scarpe Arbiter. “Il problema è che non esiste una scuola in grado di preparare le generazioni future, i ragazzi devono essere formati in azienda. In passato abbiamo provato a realizzare un percorso di studi ad hoc, ma poi abbiamo dovuto compiere un passo indietro perché l’impegno era troppo gravoso. Ci piacerebbe che qualcuno risolvesse una delle pecche del nostro settore, la svolta non può arrivare dalle piccole aziende”.

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