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17 ottobre 2025

Transizione energetica, Veolia Italia accelera: meno emissioni, biometano italiano e più parità

Emanuela Trentin, amministratore delegato e direttore generale, ha presentato il piano Green Up da 300 milioni di euro
Transizione energetica, Veolia Italia accelera: meno emissioni, biometano italiano e più parità

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Articolo tratto dal numero di ottobre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

In un momento in cui il costo dell’energia incide in modo significativo sulla competitività delle imprese e sul bilancio delle famiglie, la transizione energetica si conferma una priorità non solo ambientale, ma anche economica e sociale. In questo contesto, il biometano si sta affermando come una risorsa chiave: una fonte rinnovabile prodotta localmente, capace di dare un contributo concreto alla decarbonizzazione e di ridurre la dipendenza italiana dalle importazioni energetiche.

Perché questa transizione abbia successo, però, è necessario un dialogo efficace tra pubblico e privato, tra politiche industriali e capacità di investimento e innovazione delle aziende. È in questo scenario che si colloca il piano Green Up 2024–2027 di Veolia, che in Italia è una realtà protagonista nel settore dei servizi di efficientamento energetico. Un programma ambizioso da 300 milioni di euro, che punta a promuovere efficienza energetica, energie rinnovabili e sviluppo della filiera del biometano.

Ne abbiamo parlato con Emanuela Trentin, amministratore delegato e direttore generale di Veolia in Italia, per capire quale ruolo può svolgere l’industria nella transizione energetica del Paese e quali sfide, tecnologiche e culturali, attendono il settore.

Partiamo dal piano Green Up: quali sono le direttrici principali di questo piano?

In linea con gli obiettivi internazionali del Gruppo Veolia, impegnato a favore di un’ecologia che tutela salute, potere di acquisto e rafforza crescita e attrattività dei territori, in Italia contribuiamo da circa un secolo alla decarbonizzazione del Paese, accompagnando clienti pubblici e privati nel percorso di transizione energetica. Il nostro obiettivo è ambizioso ma realistico: ridurre del 50% le emissioni di CO2 generate dalle attività dei nostri clienti nei prossimi anni. Per raggiungere questo traguardo abbiamo identificato alcuni assi strategici: efficienza energetica, produzione rinnovabile locale e sviluppo di una filiera nazionale del biometano. Il digitale rappresenta uno degli elementi centrali della strategia di sviluppo: le nostre soluzioni Hubgrade includono sistemi avanzati di monitoraggio e ottimizzazione dei consumi, utilizzando algoritmi di intelligenza artificiale per incrementare la performance energetica degli impianti fino al 15%. A livello internazionale, il Gruppo Veolia e Mistral AI hanno recentemente stretto una partnership per una soluzione innovativa che consente a dipendenti e stakeholder di co-pilotare impianti idrici, di trattamento dei rifiuti ed energetici, integrando l’intelligenza artificiale generativa nella gestione di siti e processi industriali. Infine, con le offerte Flexcity, valorizziamo la flessibilità degli impianti elettrici partecipando al mercato dei servizi di dispacciamento, creando ulteriori opportunità di efficientamento energetico.

Perché puntare sul biometano?

Il biometano, insieme al solare, rappresenta una delle poche fonti energetiche che l’Italia può produrre in autonomia, riducendo la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Ma il suo valore va oltre la produzione energetica. Trasformare i rifiuti organici in biometano significa creare nuove opportunità di reddito per le aziende agricole, trasformando un costo di gestione in una risorsa economica. Investire nel biometano significa anche sostenere una filiera strategica per il Paese, coniugando sviluppo economico, tutela ambientale e innovazione tecnologica.

Che ruolo intende giocare Veolia in questo percorso?

Il nostro obiettivo è essere protagonisti e non semplici esecutori. Puntiamo a realizzare tra i 15 e i 20 impianti di biometano su tutto il territorio nazionale. Ma il nostro approccio va oltre la produzione e l’immissione in rete: vogliamo integrare il biometano nei servizi che offriamo, proponendolo direttamente ai clienti industriali e pubblici come vettore energetico green. Offriamo una soluzione a 360 gradi: da progettazione e finanziamento a costruzione e gestione degli impianti, fino alla fornitura diretta della molecola. Sviluppiamo anche progetti di autoconsumo, come i Ppa, con contratti a lungo termine che garantiscono stabilità sia economica che ambientale.

Come è iniziato il suo percorso personale e professionale?

Il mio percorso è stato tutt’altro che lineare. Ho iniziato studiando lingue straniere, poi mi sono laureata in ingegneria gestionale e, infine, ho intrapreso una carriera nelle risorse umane. A prima vista sembrano mondi lontani, ma c’è un filo conduttore: la curiosità, che ha sempre alimentato il mio percorso, e un focus costante sulle persone. Ho sempre cercato di costruire qualcosa che avesse un significato più ampio di me stessa.

È anche vice presidente di Assistal (Associazione nazionale costruttori di impianti e dei servizi di efficienza energetica). Che iniziative sta portando avanti in questo ruolo?

Come vice presidente con delega alle energy service company (Esco), stiamo lavorando per rafforzare il ruolo di queste realtà nella transizione energetica del Paese. Le Esco sono attori fondamentali per rendere accessibili a famiglie, imprese ed enti pubblici interventi di efficienza energetica e riduzione dei consumi, liberando risorse e contribuendo al tempo stesso agli obiettivi di decarbonizzazione. Le iniziative che portiamo avanti in Assistal si muovono lungo alcune direttrici: in primo luogo, la richiesta di regole chiare e stabili, che possano garantire certezza agli operatori e favorire gli investimenti di medio-lungo periodo. In secondo luogo, la promozione di un sistema di incentivi più incisivo e meglio disegnato, capace di stimolare davvero la domanda di interventi di efficienza e di generare un impatto diffuso sul tessuto economico e sociale.

Come ha scelto ingegneria gestionale?

Per anni sono stata convinta di iscrivermi a economia e commercio. Poi, pochi mesi prima dell’inizio dell’università, grazie all’incoraggiamento di una professoressa di matematica, ho deciso di tentare il test per ingegneria gestionale, una facoltà allora appena nata. Penso che non sia necessario avere una strada lineare e definita sin dall’inizio. Le risposte, spesso, si trovano camminando. Lo consiglio spesso ai giovani: non preoccupatevi se non sapete esattamente dove volete arrivare. Se avete curiosità e determinazione, la strada si crea da sé.

Come si integrano esperienze così diverse come ingegneria, hr e, oggi, il ruolo di ceo?

Credo che la chiave sia saper mettere insieme i puntini. L’ingegneria mi ha fornito una mentalità logica e strutturata, fondamentale per affrontare problemi complessi e comprendere a fondo gli aspetti tecnici del nostro lavoro. Il passaggio alle risorse umane mi ha invece permesso di approfondire la gestione delle persone, che per me sono sempre state al centro di tutto. Oggi, nel mio ruolo di amministratore delegato, porto con me entrambi questi mondi, la razionalità ingegneristica e la sensibilità verso le dinamiche umane, perché credo che entrambi siano indispensabili per guidare un’azienda complessa e innovativa.

Lei parla spesso di leadership femminile. Qual è la situazione oggi?

Ci sono segnali incoraggianti: oggi vedo molte più donne in posizioni di responsabilità rispetto a quando ho iniziato, e in alcune aziende si trovano anche amministratrici delegate e direttrici generali. È un progresso reale e importante, ma la strada è ancora lunga. Il cambiamento non può fermarsi alle porte delle aziende, ma deve coinvolgere la cultura, la società e la famiglia. La carriera di una donna si gioca molto anche nel contesto privato: nella distribuzione dei carichi di cura, nel modo in cui viene percepita l’ambizione femminile. Serve un ambiente che sostenga, incoraggi e non faccia sentire in colpa una donna che aspira a una posizione di leadership. È necessaria una rete di supporto che coinvolga partner, istituzioni e comunità.

La presenza femminile nelle discipline Stem e nei ruoli tecnici è ancora troppo bassa. Quali sono le cause e quali strumenti possono aiutare a superare questo divario, anche attraverso le politiche aziendali di conciliazione vita-lavoro?

Oggi nulla impedisce formalmente alle ragazze di iscriversi a ingegneria o di scegliere percorsi tecnici, ma dai numeri emerge un’altra realtà. Il problema non è di capacità, ma di fattori culturali e sociali: stereotipi, aspettative e messaggi ricevuti fin dall’infanzia che influenzano le scelte. Per questo serve lavorare sull’orientamento già dalla scuola primaria, offrendo modelli positivi che mostrino come tecnologia e innovazione siano mondi aperti, dove contano talento e passione, non il genere. Anche le aziende devono fare la loro parte, con politiche concrete di supporto. Noi, ad esempio, abbiamo previsto più giorni di smart working per le donne al rientro dalla maternità e stiamo rafforzando anche il tema della paternità, perché la conciliazione non può restare un tema femminile. Solo così si dimostra che è possibile un modello diverso, in cui crescita professionale e vita personale convivono in equilibrio.

 Qual è, secondo lei, il modello di leadership del futuro?

Un modello autentico, che non imiti schemi maschili, ma valorizzi la diversità. All’inizio della mia carriera ho cercato di adattarmi a modelli di leadership molto rigidi: presenza costante, disponibilità totale, poca flessibilità. Ma ho capito che non è necessario sacrificare la propria identità per essere leader. La leadership deve essere compatibile con la vita e con chi si è realmente. Per questo è importante promuovere modelli che coniughino autorevolezza ed empatia, rigore e flessibilità.

 

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