
In un’Italia che fino a pochi anni fa arrancava nelle classifiche europee della digitalizzazione, oggi si respira un’aria diversa. Il Paese non è più spettatore dell’innovazione, ma protagonista di una trasformazione che coinvolge imprese, istituzioni e cittadini.
Il Forbes Innovation Summit 2025, tenutosi a Roma, ha restituito un’immagine concreta di questo cambiamento: un sistema che, dopo anni di frammentazione, inizia a muoversi in modo coordinato e consapevole.
Fin dall’apertura dei lavori, con gli interventi di Riccardo Corbucci, Presidente della Commissione Innovazione tecnologica di Roma Capitale, e Salvatore Deidda, Presidente della IX Commissione Trasporti, Poste e TLC, è emerso un messaggio chiaro: la digitalizzazione non è più solo una priorità tecnologica, ma un progetto di fiducia nazionale. Fiducia nelle istituzioni, nelle infrastrutture, ma anche nelle competenze che renderanno possibile un’Italia più competitiva e sostenibile.
Subito dopo i saluti istituzionali, Giuseppe Perrone, Partner ed AI & Data Italy Leader di EY, ha offerto una fotografia lucida dello stato dell’intelligenza artificiale in Italia, presentando i dati dell’EY Italy AI Barometer.
La ricerca mostra come l’AI stia diventando una leva strategica per la crescita: sempre più imprese italiane la integrano nei processi di produzione, nei servizi finanziari e perfino nella pubblica amministrazione. Ma il passaggio chiave, ha sottolineato Perrone, è trasformare la sperimentazione in valore concreto — un’AI governata, trasparente e spiegabile, capace di generare fiducia e non soltanto efficienza.
Un messaggio che ha anticipato il filo conduttore dell’intera giornata: il futuro digitale dell’Italia dipende non solo dalle tecnologie che adotta, ma da come le rende accessibili, sostenibili e comprensibili.
Il primo grande momento di confronto, “Il Futuro Digitale delle Imprese”, ha visto protagonisti Stefano Ricca (Ricca IT), Alessandro Di Felice (OVHcloud), Alessio Castelli (CBI S.c.p.a. – Società Benefit) e Francesca Tonini (Artes 4.0). Quattro voci diverse, accomunate da una visione comune: la trasformazione digitale non è solo un’evoluzione tecnologica, ma un processo culturale che ridefinisce il modo stesso di fare impresa.
Dal cloud alla cybersecurity, dai servizi finanziari digitali alla ricerca industriale, tutti i partecipanti hanno sottolineato come la competitività del tessuto produttivo italiano passi oggi da tre elementi chiave: la gestione intelligente del dato, la sicurezza delle infrastrutture digitali e la capacità di trasformare l’innovazione in valore reale.
Ricca ha evidenziato l’urgenza di un approccio più strutturato alla protezione del dato, un tema che attraversa settori critici come la sanità o i trasporti. Di Felice ha richiamato l’importanza di scelte infrastrutturali consapevoli, capaci di bilanciare performance, sovranità e sostenibilità. Castelli ha ribadito il ruolo dell’interoperabilità e dei servizi finanziari digitali come abilitatori della crescita, mentre Tonini ha posto l’accento sul capitale umano e sulla necessità di colmare il divario di competenze che ancora separa molte PMI dall’innovazione pienamente integrata.
Dalla discussione è emerso un messaggio netto: l’Italia delle imprese ha imboccato la strada giusta, ma la vera rivoluzione non sarà tecnologica — sarà culturale.
La seconda parte del Summit ha messo al centro la Pubblica Amministrazione, con un panel che ha riunito Massimiliano De Carolis (CEO di Sirti Digital Solutions), Carla Nisio (Head of Cloud4TIM & IT – TIM Enterprise), Sergio Gianotti (Head of Public Sector, AWS Italia) e Francesco Paolo Russo (Founder e CEO di To Be Srl).
Negli ultimi anni la PA italiana ha avviato un processo di modernizzazione che, grazie agli investimenti del PNRR, sta cominciando a mostrare risultati tangibili: piattaforme digitali più integrate, progetti di cloud nazionale e una crescente attenzione alla sicurezza informatica. Ma la trasformazione, come emerso dal confronto, non può fermarsi alla tecnologia.
I relatori hanno concordato su un punto: per rendere la digitalizzazione davvero strutturale serve una visione sistemica. Ciò significa costruire infrastrutture stabili, migliorare la capacità di gestione dei dati, semplificare le procedure burocratiche e investire in competenze.
È una sfida che riguarda tanto i vertici amministrativi quanto i territori, e che può trasformare la PA da apparato rigido a ecosistema abilitante.
La giornata si è chiusa con la visione di Mario Nobile, Direttore Generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, che ha delineato l’orizzonte del Paese verso il 2030. L’obiettivo non è più solo digitalizzare i servizi, ma costruire un modello di Italia digitale, inclusiva e sostenibile, capace di attrarre talenti, semplificare la vita quotidiana dei cittadini e garantire trasparenza nelle relazioni tra pubblico e privato.
Oggi l’Italia non è più il fanalino di coda dell’Europa. I progressi compiuti — in infrastrutture, investimenti e consapevolezza collettiva — mostrano che il ritardo storico può essere colmato.
Ma la partita non è chiusa: la sfida sarà consolidare i risultati e trasformarli in una cultura permanente del digitale, fatta di competenze diffuse, governance chiara e fiducia reciproca.
di Lucrezia Van Stegeren






