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24 dicembre 2025

"Il senso della famiglia, la Sardegna, la buona cucina: sono affascinato dalla bellezza dell’Italia"

Bradley Cooper si racconta a Forbes: dal nuovo film all'amicizia, dalla famiglia alla scelta di restare fedele a un cinema personale
"Il senso della famiglia, la Sardegna, la buona cucina: sono affascinato dalla bellezza dell’Italia"

Alessandra Mattanza
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Alessandra Mattanza

“Recitare significa imparare dall’esperienza sul set, ma anche dalla vita vera, dalle emozioni e dalle memorie che costellano la nostra esistenza”, ha detto Bradley Cooper. La sua prima esperienza come produttore esecutivo risale al Sundance Film Festival, dove presentò The Words, con Zoe Saldana, Olivia Wilde e Jeremy Irons.

In quel periodo Cooper stava già diventando estremamente popolare grazie al successo planetario di Una notte da leoni, blockbuster che avrebbe poi generato due seguiti, raggiungendo incassi globali stimati intorno ai 467 milioni di dollari. Una commedia diventata cult, capace di raccontare le avventure sopra le righe di un gruppo di amici che abbandonano la routine quotidiana per una vacanza segnata da eccessi, sbornie e notti folli.

All’epoca Bradley aveva 37 anni e mal sopportava l’etichetta di sex symbol. Di origini italo-irlandesi, profondamente legato alla madre, alla sorella e al padre — ex broker di Merrill Lynch, scomparso prematuramente e che l’attore continua a ricordare con affetto — Cooper si è sempre percepito prima di tutto come un intellettuale e un artista.

Riconoscimenti come “l’uomo più sexy dell’anno”, ambiti da molti colleghi, gli sono sempre sembrati ingombranti, così come l’eccessiva attenzione rivolta al suo aspetto fisico, spesso a discapito della sua ricerca espressiva e del suo percorso creativo. “La gente pensa che gli attori siano sempre alle feste e nel glamour, ma, in realtà, a me piace leggere libri e andare alla ricerca di storie importanti prima di tutto”, aveva sottolineato.

Raggiunta la fama e una solida sicurezza economica — anche grazie ai blockbuster Marvel Guardians of the GalaxyBradley Cooper non si è lasciato condizionare dal successo né da scelte troppo commerciali. Ha preferito seguire una strada personale, affiancando alla recitazione la regia e la produzione, puntando su progetti in cui crede davvero.

Lo ha dimostrato con A Star Is Born, da lui diretto, prodotto e interpretato accanto a Lady Gaga, e con Maestro, dove ha incarnato Leonard Bernstein raccontandone la vita e il complesso rapporto con Felicia Montealegre (Carey Mulligan) senza idealizzazioni, alla ricerca di un’autenticità intensa e senza compromessi. Nei suoi film sono sempre le emozioni a dominare, e la sperimentazione resta una costante.

Al New York Film Festival ha presentato Is This Thing On? (in Italia È l’ultima battuta?, dal 2 aprile 2026), affrontando temi come la crisi di mezza età, la famiglia e l’amicizia. Tra le sue principali influenze figurano Clint Eastwood, David O. Russell e mentori come Robert De Niro e John Hurt, che hanno contribuito a orientare il suo percorso artistico.

Is This Thing On?, da lei diretto, interpretato, e co-prodotto, è una commedia e un dramma allo stesso tempo, per cui ha scelto due attori iconici, come Will Arnett e Laura Dern.

Alex e Tess, i protagonisti del film, stanno cercando di raggiungere una fine amichevole al loro matrimonio, dopo 20 anni, cercando di trovare un nuovo equilibrio nel vivere separati e gestire la crescita dei loro figli e sforzandosi di mantenere almeno un’amicizia. Si respira l’amarezza della fine di una relazione, quel senso di malinconia e di delusione, che si intrecciano facendo sfociare sentimenti contrastanti. Alex scopre un nuovo hobby, che lo porterà a comprendere meglio sé stesso e anche la sua relazione. Ho scelto Laura Dern, perché ha sempre recitato come avrei voluto fare io. Will Arnett, perché conoscevo bene il suo talento e lui come uomo e mi fidavo di lui: sapevo che avrebbe dato il meglio. Ci siamo conosciuti a New York e abbiamo, perfino, condiviso un appartamento a Venice Beach.

Il suo film pare essere anche ispirato al comico britannico John Bishop…

Sul palcoscenico il protagonista trova un modo per cercare di esorcizzare il suo divorzio, che seppur amichevole, è doloroso. Lascia la casa e finisce in un piccolo appartamento nemmeno tanto ammobiliato, senza personalità, che gli fa sentire ancora di più il distacco dalla sua famiglia. Si trova in piena crisi di mezza età, di nuovo single e a giostrarsi nel nuovo mondo degli incontri. Paradossalmente, la stand-up comedy lo aiuta come una sorta di terapia che lo porta a esorcizzare i suoi problemi e le sue ansie. Cerca di riscoprire la sua identità e il suo nuovo ruolo e di comprendere cosa sia davvero andato storto e quando.

Quale ruolo interpreta lei?

Interpreto un attore focalizzato su sé stesso, che lavora troppo e ha un’insana ossessione per i fumetti, ed è sposato con una donna dal talento artistico. Sono, forse, una versione un po’ esasperata di me. Volevo puntare alla realtà del momento e realizzare una storia che desse speranza di andare avanti e ricominciare, in un periodo che pare abbastanza oscuro. Stavolta ho voluto fare un film intimista, dove ho collaborato a stretto contatto con gli scrittori e dove volevo riprodurre quello spirito tanto autentico newyorchese.

Il suo film è girato a New York, che è la città dove ha anche scelto di vivere… Al Greenwich Village.

Sono nato a Filadelfia, ma New York è sempre stata il mio sogno fin da bambino. Ci venivo spesso con mio padre e con tutta la famiglia, anche durante il Ringraziamento e il Natale, quando amavamo perderci tra le strade vivaci del West Village. Mi sono trasferito qui per inseguire la carriera di attore: ho studiato all’Actors Studio e alla The New School e ho avuto la fortuna di lavorare con mentori straordinari, tra cui Ellen Burstyn ed Elizabeth Kemp. Is This Thing On? restituisce immagini splendide della vita autentica di New York, catturandone il ritmo quotidiano e la rete invisibile di relazioni che unisce le persone — l’amicizia, l’amore, il senso di comunità in una città sempre connessa. Per me New York ha qualcosa di magico e irripetibile, difficile da raccontare a parole: è una città che si vive. È come se, con i suoi rumori incessanti e le voci che riempiono l’aria, fosse un cuore pulsante che non smette mai di battere.

In Is This Thing On? si esplora anche il rapporto tra genitori e figli. Come riesce a conciliare lo stress del lavoro con il ruolo di padre single? 

Mia figlia, Lea de Seine, che ha 8 anni e che ho avuto con la modella Irina Shayk, viene sempre prima di tutto. A New York le mie giornate sono intense: conferenze stampa, preoccupazioni sul successo del film. Ma poi corro a prenderla a scuola o al corso di jujitsu, che le piace moltissimo, e in quel momento tutto il resto sparisce. Penso solo a lei. La porto spesso sul set e ha già le sue opinioni forti, che mi offre come consigli preziosi: le ascolto sempre con attenzione.

Parla francese e sembra molto appassionato di gastronomia e cultura francofona. Come ha sviluppato questa passione?

Ho imparato il francese sia all’Università di Georgetown, a Washington DC, dove mi sono laureato in letteratura inglese, sia durante i sei mesi trascorsi ad Aix-en-Provence con uno scambio studentesco. La Francia mi ha sempre affascinato, così come l’Europa in generale per la sua cultura e le sue tradizioni.

È molto legato anche all’Italia, vista l’origine italiana di sua madre?

Amo l’Italia. Mia madre è nata da genitori immigrati, con radici napoletane e abruzzesi, che parlavano tra loro italiano. Da loro ho ereditato un forte senso della famiglia, il piacere della buona cucina e la passione per specialità come la pastiera napoletana. Sono affascinato dalla bellezza dell’Italia: Capri, la Sardegna… ma ogni città e ogni villaggio ha qualcosa di unico che la distingue.

Sarà nel prequel della saga Ocean’s Eleven, al fianco di Margot Robbie. Può anticipare qualcosa?

Sono molto felice di far parte di questo progetto che combina avventura, azione e sentimenti. Sarebbe un onore lavorare con Margot Robbie, che ha sempre dimostrato un talento straordinario, e con suo marito, Tom Ackerley, un produttore eccezionale. Collaborare con tutto il team della loro casa di produzione, LuckyChap Entertainment — che ha prodotto grandi successi come Barbie — è per me una grande opportunità.

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