“Mark Zuckerberg potrebbe lasciare Facebook nel 2022 per dedicarsi a progetti di filantropia”. La previsione arriva da un giornalista americano la cui reputazione è tale da dare peso all’indiscrezione: Robert Cringely, firma del New York Times e prima ancora di NewsWeek, autore anche di un documentario tv di successo come The Transformation Age: Surviving a Technology Revolution.
“Se il 2020 è stato un anno di eccessi per i social media, alimentati da Trump e dal Covid-19, il 2021 vedrà grandi cambiamenti”, scrive Cringely. “Le grandi società di internet saranno soggette a un maggiore controllo normativo in tutto il mondo. In particolare, lo saranno Facebook e Google. Nel 2021 Facebook sarà regolata come mai prima. Sarà un anno difficile soprattutto per Mark Zuckerberg. E anche se non mi aspetto che Zuckerberg abbandoni il suo lavoro di amministratore delegato quest’anno, alla fine lo farà, semplicemente perché non è più divertente come una volta. Potrebbe fare un passo indietro nel 2022”.
Mark Zuckerberg come Bill Gates e Larry Page?
L’ipotesi avanzata da Cringely è frutto anche di una riflessione sui visionari che hanno maggiormente ispirato il Mark Zuckerberg imprenditore. In primis Bill Gates, nato programmatore come lui, e Larry Page, genio della matematica all’università e padre di Google insieme a Sergey Brin.
Tutti e due hanno portato al successo le loro aziende per poi dedicarsi ad altre attività. L’ipotesi di Cringely in altri momenti sarebbe caduta nel vuoto o sarebbe finita nelle colonne di gossip che affollano la rete. Ma da qualche tempo è in atto un cambiamento nel contesto intorno al social network da 2,5 miliardi di utenti nel mondo. “Il continente più popoloso della Terra”, come qualcuno ha definito la creatura di Mark Zuckerberg che controlla Instragram e Whatsapp e ha comprato Oculus, startup che si occupa di realtà virtuale. I nodi sulla grande questione della privacy stanno venendo al pettine e sono nodi che valgono miliardi di pubblicità.
Facebook valuta una causa contro Apple
Il primo duro colpo verso Facebook è stato quello di Apple, che in iOS14, la versione del sistema operativo degli iPhone in arrivo a primavera, inserirà un obbligo per gli sviluppatori: saranno gli utenti a controllare e autorizzare l’accesso ai dati personali da parte delle app. Per Zuckerberg, che ha basato il suo impero sulla profilazione degli utenti ricavata anche dai loro “like”, è una doccia gelata. Anche perché gli iPhone, nel mondo, sono in mano a un miliardo di persone.
La novità ha fatto pronunciare a Zuckerberg dichiarazioni pesanti verso Apple, che “pensa ai suoi interessi e non a quelli degli utenti”. Una frase severa e aggressiva che ha sorpreso chi conosce il giovane miliardario di Menlo Park, abituato a una dialettica molto misurata.
Le ultime notizie danno gli avvocati di Facebook impegnati nel valutare una causa antitrust contro Apple, accusata di una posizione dominante sul mercato degli smartphone e di comportamenti anti-competitivi. Ma quale tribunale potrà imporre ad Apple di non modificare un sistema operativo proprietario, che accoglie le app di terze parti solo se rispettano la sua policy aziendale?
Il colpo basso dall’Irlanda
La decisione di Tim Cook, rimarcata anche in un discorso tenuto nella quarantesima Conferenza internazionale per la protezione dei dati e della privacy al Parlamento europeo, arriva come la cresta di un’onda che parte da molto lontano. Per l’esattezza, dalla ventosa zona di Cork, nel sud dell’Irlanda, dove hanno sede legale le big tech americane, attirate dagli enormi vantaggi fiscali offerti dal governo. In settembre, proprio da lì è arrivata, a sorpresa, una notizia devastante per Facebook. La Commissione irlandese per la protezione della privacy ha aperto un’indagine sulla gestione dei dati personali e ha inviato a Facebook – che a Dublino ha il suo quartier generale europeo – un ordine preliminare per sospendere i trasferimenti di dati verso gli Stati Uniti.
Secondo il Wall Street Journal, per rispettare l’ordine preliminare irlandese “Facebook dovrebbe rivedere il suo servizio e la sua architettura di server e data-farm internazionali, così da trattenere sul territorio europeo dati e informazioni raccolti dagli utenti dell’Unione. La misura varrebbe non solo per Facebook, ma anche per Instagram, WhatsApp e per le altre controllate del gigante californiano. L’alternativa sarebbe sospendere il servizio, eventualità ovviamente impraticabile”. Scenari altamente dannosi per il fatturato pubblicitario del social media.
La rosa rappresentata da Facebook, in sostanza, potrebbe avere troppe spine per il suo fondatore, che si troverebbe di fronte, come ha detto agli analisti di recente, “un secondo semestre con molta pressione”. Da qui le ipotesi di un suo allontanamento, magari strategico, per sottrarsi dai riflettori dei vari governi, che hanno il dovere di proteggere la privacy dei loro cittadini.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .