Articolo tratto dal numero di febbraio 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
È ormai un’abitudine raccontare come un’azienda italiana si stia confermando leader nella progettazione degli ambienti spaziali dove l’umanità si è espansa e, tuttora, sta evolvendosi. I volumi made in Italy, ritagliati nel vuoto orbitale e, in futuro, anche attorno alla Luna o sul suolo selenico, continuano a prendere forma a Torino, negli stabilimenti di Thales Alenia Space.
La notizia più recente riguarda un nuovo contratto con Axiom Space, compagnia texana che sta sviluppando quella che dovrebbe diventare una delle prime stazioni spaziali private. Prenderà forma a partire dal 2027, dapprima agganciandosi alla Stazione spaziale internazionale (la Iss). Thales Alenia Space aveva già una commessa per costruire due degli ambienti abitabili. La novità è che a questi si è aggiunto un terzo ordine, perché, nel frattempo, la Nasa ha deciso di accelerare i tempi, non senza qualche pressione su Axiom, che sta attraversando alcune difficoltà finanziarie; e l’azienda texana si è rivolta, ancora, al partner più affidabile e con una grande storia nel settore.
La collaborazione Thales-Axiom
La Axiom Station esordirà come un quartiere della Iss, ma il distacco, cioè il momento in cui diventerà uno dei primi avamposti orbitanti commerciali – se non il primo in assoluto – avverrà prima del previsto. Nel 2029, infatti, la Nasa intende agganciare il ‘vecchio’ laboratorio con il veicolo SpaceX, che in seguito, all’inizio del prossimo decennio, avrà il compito di deorbitare la Iss trascinandola in atmosfera dopo 30 anni di onorato servizio. Alla luce delle nuove scadenze, Axiom Space ha deciso di modificare il programma di assemblaggio dei propri ambienti.
Thales Alenia Space costruirà così un terzo modulo, chiamato AxPPTM (Payload power thermal module), che costituirà però il primo nucleo della nuova stazione indipendente e sarà realizzato partendo dalla struttura degli altri due moduli abitabili già in produzione a Torino: AxH1 e AxH2. Con una tabella di marcia così pressante, la Axiom Station si affrancherà dalla Iss ancora prima dell’aggiunta dei moduli abitabili, che saranno lanciati in seguito.
Dalle agenzie spaziali ai privati
Sarà un passaggio di testimone importante: dopo aver spianato la strada della ricerca e della permanenza per lunghi periodi di astronauti sulla Iss, in quella che verrà ricordata come la più importante collaborazione internazionale pacifica della storia – paragonabile, forse, solo al Cern -, le agenzie spaziali lasceranno campo libero all’iniziativa commerciale. Esperimenti scientifici e tecnologici, sulla biologia umana e animale, addestramento di astronauti avverranno da quel momento in poi dentro moduli costruiti da privati e che i privati potranno commercializzare, affittare a chi vorrà portare avanti propri progetti in assenza di peso. Siano clienti istituzionali e no.
Quella di Axiom non sarà infatti l’unica stazione privata che sarà possibile ammirare mentre orbita attorno alla Terra; ne arriveranno altre, forse addirittura una decina.
È fondamentale capire cosa significhi questo giro di boa e come lo si stia affrontando, perché si tratta, anche, del riaffermarsi di una solida realtà aziendale e della competenza che ha fatto di Thales Alenia Italia l’azienda con il più grande volume operativo oltre il cielo. Metà dell’ambiente abitabile della Stazione spaziale internazionale, il quartiere occidentale abitato senza soluzione di continuità da quasi un quarto di secolo, è infatti made in Italy, compreso quel capolavoro architettonico e ingegneristico che è la Cupola, la ‘finestra panoramica’ sul nostro pianeta. È solo il più celebre di tanti risultati: la parte italiana di Thales (quando era ancora Alenia Spazio) aveva costruito il modulo pressurizzato dell’Automated transfer vehicle (Atv), un cargo europeo per il trasporto di materiale verso la Iss.
Non è un caso che oggi Northrop Grumman, un colosso statunitense, si rivolga a Thales Alenia Space per farsi costruire la capsula della navetta di rifornimento Cygnus. Sarà fabbricata in Italia anche una parte del volume pressurizzato della futura stazione spaziale in orbita lunare, il Gateway; così come sarà italiana, con il coordinamento della nostra agenzia spaziale nazionale, l’Asi, anche la prima ‘casa’ che gli astronauti abiteranno sulla superficie della Luna, già scelta dalla Nasa per il programma Artemis.
Verso la normativa italiana sullo spazio
Nella seduta di dicembre del Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale (il Comint), sono stati assegnati 130 milioni di euro come quota italiana di finanziamento proprio del programma Artemis, “attraverso lo svolgimento delle attività fino alla Fase B per la realizzazione del Lunar surface multi purpose habitation module da parte dell’Asi”, ha comunicato il ministero delle Imprese e del made in Italy. Un progetto cui Thales Alenia Space e diverse altre industrie italiane stanno contribuendo come “da tradizione”.
Non è un caso l’Italia stia muovendosi per dotarsi di una normativa dell’intero settore, che ne colga e orienti l’effervescenza. È stato proprio il Mimit a promuovere e sviluppare il Ddl Spazio, quello che, dopo la consueta trafila di approvazione, diventerà la prima legge italiana a riguardo, con norme specificamente dedicate al supporto delle piccole e medie imprese, e con l’assegnazione all’Asi di un ruolo cruciale nella certificazione e nella sorveglianza degli attori che aspirano a fare affari in orbita.
Una premessa promettente, da aggiungere alla ritrovata indipendenza europea nell’accesso allo spazio, con il ritorno al lancio del vettore Vega C costruito da Avio, e al fatto che proprio Avio, affrancatasi dalla storica collaborazione con la francese Arianespace, d’ora in poi commercializzerà in maniera autonoma i propri servizi di trasporto spaziale.
A fronte delle ottime premesse, qualche osservatore teme addirittura il rischio bolla, in particolare per i tanti investimenti spaziali del Pnrr – in primis sulla costellazione per l’osservazione della Terra, Iride. È un’eventualità che proprio la ‘tradizione’ dovrebbe scongiurare.
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