di Riccardo Morgante
Quella che oggi viene definita guerra fredda tecnologica – o, più neutralmente, competizione tecnologica – affonda le sue radici nell’industria dei semiconduttori, nei componenti hardware e negli strumenti di alta tecnologia che alimentano la nuova rivoluzione informatica. Questa è guidata dall’intelligenza artificiale, dal quantum computing, dalla blockchain e, almeno fino agli sviluppi attesi per il 2030, dal 5G.
Tali innovazioni non rappresentano soltanto un balzo epocale nel progresso umano, ma costituiscono anche il nuovo teatro della competizione geopolitica globale, in cui Stati Uniti e Cina si fronteggiano in una sfida che non si gioca solo sul piano dello sviluppo tecnologico, ma anche sulla corsa all’approvvigionamento delle risorse minerarie strategiche.
Le basi della guerra tecnologica
Prima di raggiungere le aziende utilizzatrici di prodotti tecnologici, come i circuiti integrati – i cosiddetti chip, destinati a essere incorporati nei dispositivi finali –, i Paesi devono affrontare la complessa gestione del processo produttivo. Questo si caratterizza per un’elevata frammentazione geografica e una forte interdipendenza tra fornitori e fasi della produzione. Questa intricata catena di approvvigionamento ha inizio con l’accaparramento delle risorse primarie, in particolare le terre rare, e prosegue attraverso le fasi di progettazione e produzione – i cosiddetti processi front-end. A questi seguono il test dei dispositivi ottenuti, l’assemblaggio e l’imballaggio, ovvero i processi back-end, fino a giungere alle imprese utilizzatrici.
In questo contesto, il piano di Pechino Made in China 2025 (MIC2025), avviato nel 2015, rappresenta la strategia con cui la Cina ambisce a diventare il leader mondiale indiscusso nell’industria dei semiconduttori, estromettendo la concorrenza statunitense e occidentale dal mercato globale. Per rispondere alla crescente domanda di circuiti integrati e componenti hardware per i dispositivi tecnologici, Pechino ha privilegiato la quantità rispetto alla qualità. Tuttavia, questa scelta si è rivelata una variabile critica che il presidente Xi Jinping ha sottovalutato.
Nonostante la Cina abbia consolidato la sua presenza in quasi tutte le fasi della produzione di chip, sostenuta da ingenti investimenti statali, persistono significative vulnerabilità nel settore tecnologico. Il punto più critico rimane il segmento delle industrie di supporto, come quelle legate alla produzione di apparecchiature per la manifattura di circuiti integrati e ai materiali per la progettazione elettronica. Su questo fronte, Pechino fatica ancora a garantirsi un approvvigionamento autonomo di macchinari avanzati, tanto che, paradossalmente, l’importazione di chip è aumentata nel tempo.
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La sicurezza 5G
La guerra tecnologica affonda le sue radici nell’hardware, ma si estende ben oltre, sviluppandosi nei software, negli strumenti di intelligenza artificiale e nella quinta generazione della telefonia mobile. Il concetto di sicurezza 5G non possiede ancora una definizione univoca, poiché questa tecnologia – sebbene destinata a essere superata dal 6G entro il 2030 – è ancora in fase di evoluzione. Tuttavia, ciò non implica che la questione sia stata trascurata, né che il 5G non rappresenti già un tema centrale nei dibattiti sulla sicurezza nazionale di numerosi Paesi occidentali. Il ruolo dominante di aziende cinesi come Huawei e ZTE in questa rivoluzione tecnologica ha infatti sollevato preoccupazioni di carattere strategico.
Già un decennio fa, Pechino aveva delineato le basi della sua espansione digitale con il lancio della Via della Seta Digitale, un progetto concepito per rafforzare la propria influenza nei mercati tecnologici globali. Questa iniziativa è parte integrante della più ampia strategia del Filo di Perle, un pilastro della Belt and Road Initiative (BRI), inaugurata nel 2013. Attraverso investimenti massicci in infrastrutture digitali, Pechino non solo mira a consolidare il proprio primato tecnologico, ma anche a ridefinire gli equilibri di potere globali nell’era dell’interconnessione.
La controffensiva tech
Le preoccupazioni di Washington affondano le loro radici proprio in questa strategia.
Ciò che preoccupa maggiormente Washington è l’insieme degli strumenti di spionaggio che potrebbero derivare da tali tecnologie. Gli Stati Uniti temono infatti che attraverso la rete 5G cinese possano essere inserite backdoor che permettano a Pechino di accedere a dati sensibili trasmessi attraverso questa rete.
Non si tratta semplicemente di un’implementazione avanzata della connettività mobile, ma di una infrastruttura che collega le più vitali reti critiche, incluse quelle nei settori dei trasporti, della sanità e dei sistemi militari. La vera inquietudine di Washington risiede dunque nel timore che Pechino possa intercettare comunicazioni governative e aziendali riservate, infiltrandosi nei segreti militari e industriali degli Stati Uniti, compromettendo infrastrutture critiche come la rete elettrica, o addirittura conducendo attacchi cibernetici mirati, raccogliendo dati in modo massiccio per finalità strategiche di intelligence.
Sono proprio queste le motivazioni che hanno spinto l’amministrazione Trump, nel 2018, ad opporsi a Huawei, mettendo un freno all’azienda cinese, considerata un possibile cavallo di Troia non solo per la Silicon Valley, ma anche per la sicurezza interna e strategica degli Stati Uniti e, più in generale, dell’intero mondo occidentale.
Conclusioni sull’Europa
In mezzo a questi colossi internazionali, emerge come un “nano” l’Unione Europea. Quella stessa Unione di Stati che, un tempo, si era prefissata l’ambizioso obiettivo di diventare un attore globale capace di competere in un mercato sempre più frammentato e complesso, si trova oggi con un programma estremamente debole nella regolamentazione e implementazione dell’intelligenza artificiale e nella produzione di semiconduttori. Di fatto, non riesce a soddisfare né le proprie esigenze interne né le richieste di un mercato globale in rapida evoluzione.
In questo scenario, l’Europa, più che un attore di rilievo strategico, appare oggi come un campo di battaglia per i giganti della Terra, intenti a conquistare i consumatori europei vendendo prodotti di tecnologia avanzata che noi stessi abbiamo rinunciato a sviluppare, dando spazio a quello che potrebbe essere definito un “assenteismo strategico”.
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