Intervista a Simone Crolla, consigliere delegato American Chamber of Commerce in Italy
L’opinione pubblica sta avendo la percezione che in questa fase critica per il Paese gli interventi di supporto all’Italia stiano arrivando in prevalenza da Cina, Russia e anche da Cuba. E’ davvero così? In molti si chiedono che fine abbiano fatto gli Stati Uniti, tradizionali partner dell’Italia e da 70 anni in prima fila nel sostegno al nostro Paese nel momento del bisogno. Come stanno le cose?
Gli Usa ci sono, eccome, ma non hanno bisogno di fare rumore per mostrare la loro presenza. Non è sufficiente qualche aiuto, ben accetto ovviamente nell’attuale condizione, a sostituire un’alleanza e un’amicizia che, dal secondo dopoguerra, ha garantito la nostra prosperità e stabilità, aiutandoci a ricostruire i pilastri della nostra economia grazie al Piano Marshall. Ciò che questo sodalizio ci ha lasciato va al di là del semplice benessere economico: mi riferisco soprattutto ai valori, quelli su cui abbiamo basato la piena rinascita del Paese.
Anche in quest’emergenza, gli Stati Uniti, nel silenzio e nell’operosità di cui sono capaci, si stanno mostrando come i nostri più cari amici: tutte, e dico tutte, le aziende americane presenti nel Paese hanno effettuato donazioni sia di prodotti farmaceutici e/o medical devices, che economiche. A tal riguardo, cito– senza privilegiare nessuno – aziende come Coca Cola, McDonald’s, Walgreens Boots Alliance, Citibank, Mail Boxes Etc., IBM, Microsoft, oppure Eli Lilly e Pfizer, che con le donazioni di medicinali gratuiti consentiranno agli ospedali italiani di avere finalmente una boccata d’ossigeno. Non meno importanti anche le innumerevoli campagne di crowdfunding tra i dipendenti, che con grande solidarietà stanno offrendo un contributo fondamentale.
Infine, ricordo che un anno fa, precisamente il 23 marzo 2019, veniva siglato a Roma il Memorandum of Understanding con la Cina sulla Belt & Road Initiative. L’accordo, ovviamente criticato dagli alleati Usa, commercialmente non ha ancora portato particolari benefici, anche se sta dando qualche risultato sul piano della solidarietà. Comunque, nei prossimi giorni ci saranno novità importanti. Dopo il fisiologico assestamento con il virus, l’Amministrazione Usa ha decisamente orientato le sue attenzioni verso il nostro Paese.
In quali opere si sta concretizzando l’impegno degli Stati Uniti in Italia?
Sono in costante contatto con l’ambasciatore Eisenberg, che ha particolarmente a cuore la nostra situazione e sta dimostrando una sensibilità straordinaria verso il nostro Paese. Senza slogan, come si deve all’emergenza del momento, a testimonianza della profonda amicizia degli Stati Uniti con l’Italia.
Proprio per questo motivo, il governo americano e le forze militari sono al nostro fianco, nonostante l’emergenza stia rapidamente prendendo piede anche “in casa”. Cito ad esempio l’intervento di EUCOM che, dalla Ramstein Air Base in Germania, tramite il 6th Airlift Wing C-130J Super Hercules ha inviato alla Base di Aviano un En-Route Patient Staging System, una struttura militare di 10 posti letto capace di accogliere fino a 40 pazienti in 24 ore. Ieri sono stati consegnati 140 posti letto, barelle, schermi ed altre attrezzature mediche che con otto camion sono stati donati alla Regione Lombardia dall’Ambasciata USA in Italia, in partnership con la Defense Security Cooperation Agency e lo US Army Europe. La collaborazione è anche scientifica, con ricercatori americani e italiani uniti nella sperimentazione per la ricerca di un vaccino.
In questo quadro cosa stanno facendo le aziende americani presenti sul territorio italiano?
La macchina della solidarietà gira a pieno regime, grazie a donazioni milionarie da parte delle US corporations sia a supporto della Protezione Civile e della Croce Rossa Italiana che di enti e strutture sanitarie presenti nelle regioni più colpite dalla pandemia. Abbiamo avviato un progetto di mappatura di tutte queste iniziative, in accordo con l’Ambasciatore, per raccogliere quante più informazioni possibili. Non si tratta solo di aiuti economici: le aziende si stanno muovendo anche per offrire la propria esperienza nell’individuazione di approvvigionamenti sanitari e apparecchiature mediche. A tal riguardo, abbiamo riscontrato la massima disponibilità anche a livello di headquarte, con i ceo delle principali multinazionali healthcare che hanno volutamente velocizzato l’approvvigionamento di macchinari e medicinali per il nostro Paese, a volte a costi simbolici.
Inoltre, sottolineo la grande responsabilità e il senso civico ulteriormente dimostrati da queste grandi aziende nell’adottare preventivamente misure di smart working e digital learning per tutelare la salute dei propri dipendenti e garantire quella business continuity fondamentale per affrontare con energia questo periodo di crisi. Il tutto con grande discrezione, per non lucrare sulle difficoltà.
Non solo aiuti delle multinazionali. Sono fondamentali anche iniziative come quella della Fondazione Robert Kennedy in Italia, presieduta da Kerry Kennedy, che ha messo a disposizione la propria sede di Firenze per ospitare fino a 23 medici e infermieri, avviando allo stesso tempo una campagna di raccolta fondi per l’emergenza.
Anche le organizzazioni umanitarie si sono attivate: basti pensare alle attrezzature mediche messe a disposizione dalla Samaritan’s Purse che hanno consentito di allestire a Cremona un ospedale temporaneo da 60 posti letto e 8 unità di terapia intensive ICU. Come non menzionare il contributo dello US Charitable Trust, che ha siglato un accordo di collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, attraverso il quale l’ente americano sosterrà gli investimenti in attrezzature e materiali che il Centro delle malattie infettive del Policlinico Gemelli sta effettuando per contenere l’emergenza legata al dilagare di nuovi casi di pazienti affetti da coronavirus. Segnali concreti, insomma, anche se non finiscono tutti sulle prime pagine dei giornali.
Il supporto all’Italia proseguirà anche qualora gli stessi Stati Uniti dovessero sperimentare una crisi sanitaria ed economica simile a quella italiana?
Partiamo da un presupposto: nessun Paese potrà attenersi all’agenda decisa solo due mesi fa. Questa crisi deve essere l’opportunità per accelerare le nostre strategie geopolitiche e rinsaldare la partnership con gli Usa a livello nazionale ed europeo. Stiamo parlando di un rapporto che non è solo economico e commerciale, ma, come dimostrano gli ultimi settant’anni, anche culturale e politico.
È vero che negli Usa i casi sono in aumento, ma l’Amministrazione ha prontamente istituito una task force competente e ricca di personalità autorevoli e preparate come Anthony Fauci, il super-virologo direttore del NIH che ha affrontato anche Aids e Ebola. È altresì vero che negli Usa sono state immediatamente prese decisioni di contenimento molto chiare, cercando di evitare una diffusione del contagio all’interno del territorio.
Tuttavia, nonostante queste difficoltà sanitarie, l’amministrazione Trump non sta assolutamente facendo mancare il suo supporto, garantendo costante vicinanza all’Italia. Gli esempi che ho menzionato – e i molti che ci è stato chiesto di non rendere pubblici – dimostrano una volta di più come l’America e gli americani siano a fianco del popolo italiano.
Nell’immediato dopoguerra, il governo americano donò all’Italia beni per 1,2 miliardi di dollari, quasi 21 miliardi di euro. Finita l’emergenza, servirà l’impegno di tutti per ripartire, ma a livello globale, con un’ambizione pari a quella del Piano Marshall e una visione simile a quella del New Deal. Sarà necessario, considerando che, dopo gli attentati dell’11 settembre e la crisi finanziaria globale del 2008, siamo al terzo shock economico e sociale del nuovo millennio. Il nostro Paese e le nostre imprese hanno voglia di ripartire, c’è una straordinaria volontà di rimettersi in marcia e crescere. Come negli ultimi 70 anni, ancora al fianco degli Stati Uniti.
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