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Dove si sono rifugiati gli ultraricchi durante la pandemia

 

La crisi del Covid-19 sta esponendo le differenze di status come raramente era successo in questi anni. Il reddito e la classe sociale di appartenenza condizionano i luoghi dell’abitare, la vicinanza ai servizi essenziali, oppure l’accesso all’assistenza sanitaria. Chi può permetterselo, si è messo subito alla ricerca di luoghi per sfuggire alla pandemia, lontano dalle folle. Che si tratti di superyacht noleggiati in fretta e furia o di tenute di campagna simili a fortezze, gli ultraricchi di tutto il mondo stanno trovando un modo per rendere più gradevole una situazione da molti paragonata a una guerra.

L’amministratore delegato della società di noleggio di yacht Burgess, Jonathan Beckett, in un’intervista al Telegraph ha spiegato che la domanda per i suoi servizi è schizzata dall’inizio della pandemia: “Uno yacht con un bel clima non è un brutto posto per isolarsi”. Il prezzo per noleggiare le sue navi? Tra i 53mila dollari e il milione di dollari a settimana. Beckett ha spiegato che adesso molti clienti prenotano le navi per diversi mesi: “Una famiglia ha noleggiato uno yacht per nove settimane e abbiamo anche avuto due prenotazioni a lungo termine per yacht da 39 e 70 metri”. I clienti pianificano già lezioni on-line a bordo per i loro figli, o fanno salire in barca direttamente i professori, con lezioni di cucina dallo chef per mamma e papà. Le destinazioni più di tendenza: l’Alaska, le isole del Pacifico e il Cile meridionale.

Se l’industria dei viaggi è stata colpita duramente dalla pandemia, non tutti i comparti soffrono allo stesso modo. Le compagnie aeree aspettano il salvataggio dei governi e gli alberghi si sono svuotati, ma gli aerei e gli elicotteri privati vanno alla grande. NetJets, una società statunitense che vende la proprietà parziale di aerei privati, sta cercando di collaborare con altre imprese per fare in modo che i clienti possano evitare gli aeroporti commerciali. Approfittando del momento d’oro, NetJets si è anche offerta, in compenso, di mettere a disposizione parte della propria flotta per consegnare in tempi rapidi mascherine protettive da una parte all’altra degli Stati Uniti.

C’è anche un’altra ragione, non meno importante del lusso, che spinge i ricchi a scegliere gli yacht: mentre i porti delle navi da crociera sono chiusi in tutto il mondo, le marine da diporto sono ancora aperte. Il motivo sarebbe che gli yacht sono mediamente più puliti e al tempo stesso meno “monitorati” delle navi passeggeri. Del resto, le scarse possibilità di completa igienizzazione sono una delle ragioni per cui la nave Diamond Princess è diventata uno dei più famosi focolai di Covid-19 al mondo, con un numero di contagi passato da 10 a 700 nel giro di due settimane.

Ogni yacht è invece disinfettato da cima a fondo tra un noleggiante e l’altro, e alcuni includono speciali filtri per l’aria condizionata pensati apposta per ridurre la diffusione di agenti patogeni. Come se non bastasse, mentre nelle marine chi scende e chi sale resta quasi tutto il tempo all’aperto, mentre una squadra di pulizie si occupa della sua imbarcazione, i terminal delle crociere sono quasi sempre affollati da centinaia di passeggeri e personale di bordo. Il risultato è che – pur nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria globale – l’affitto delle navi di lusso è incoraggiato  mentre tutto il resto del settore nautico è costretto in casa.

“I ricchi sono più resilienti dei poveri di fronte alle epidemie, in funzione delle maggiori risorse di cui dispongono”, ha spiegato Richard Keller, professore di storia medica e bioetica all’Università del Wisconsin. Quando al presidente Donald Trump è stato chiesto perché gli atleti e altre persone più “interconnesse” ottengano i tamponi prima di tutti gli altri, ha risposto: “Forse è perché così è la vita”. Per chi non può solcare i mari proibiti alla gente comune, esiste l’opzione della fuga via terra. Negli Stati Uniti, le persone con la seconda o terza casa si sono allontanati dai focolai del Covid, come New York, verso spazi più bucolici: gli Hamptons, Cape Cod nel Massachusetts, Hilton Head in Carolina del Sud oppure Palm Beach, in Florida, sono stati presi d’assalto.

“Ho avuto un cliente che ha speso 8 mila dollari”, ha spiegato Joe Gurrera, fondatore della catena di supermercati di lusso Citarella, specializzato in cibi gourmet. “Sai, quando ogni tanto vedi qualcuno col carrello pieno? Beh ora ne hanno cinque, di carrelli”. Gli shopper affluenti stanno acquistando “praticamente tutto ciò che possono”, spiega Gurrera: carta igienica, e disinfettanti, ovviamente, ma anche scorte di carni e verdure pregiate, al punto da renderle difficile la vita agli altri. Invece di chiedere una o due bistecche su un vassoio, acquistano l’intero reparto carni. Poi passano ai gamberi e svuotano il frigo, e così con i cibi preparati: una sola fetta di lasagna non basta, chiedono l’intera teglia.

Se i commercianti sono entusiasti, perché fanno più affari che a luglio e ad agosto e nei negozi di liquori si registrano vendite in aumento anche del 500%, con ogni cliente che spende tra i 400 e i 2mila dollari a visita, chi vive da queste parti da anni, dopo aver investito capitali notevoli per una vita di agi, si sente invaso e chiede protezione. Dalla colonia estiva d’élite di Martha’s Vineyard, dove Barack Obama ha acquistato una casa e Bill Clinton va regolarmente in vacanza, riportano le lagnanze dei residenti di lungo corso di fronte al nuovo afflusso. Il timore è che i piccoli ospedali e i negozi dove di solito vanno a comprare da mangiare possano essere sopraffatti da potenziali contagiati, e che il loro quadretto idilliaco possa essere devastato per sempre.

Se il virus non fa distinzioni di reddito e anzi ha usato come veicolo primario l’alta borghesia (in quanto viaggiatrice) l’impatto più forte è sulle spalle dei lavoratori poveri: chi è fuggito in macchina verso Long Island, dove l’affitto per i soli mesi caldi può costare tranquillamente anche 100mila dollari, sarà dovuto passare attraverso il Queens, l’area più colpita di tutti gli Stati Uniti con oltre 27 mila casi e circa 1.200 morti (come l’Italia tre settimane fa, ma con una popolazione 26 volte inferiore). È, insomma, un racconto di due pandemie. Così è stato, così è, così sarà sempre.

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