Articolo apparso sul numero di settembre 2020 di Forbes. Abbonati
È arrivato il momento che a portare le eccellenze italiane nel mondo siano finalmente gli italiani. E chi poteva farlo se non una di quelle famiglie imprenditoriali che rappresentano l’ossatura del nostro sistema economico? Nel caso specifico una famiglia nota in tutto il mondo per un prodotto specifico, il caffè, ma che nel suo dna ha una tradizione che si sposa con tanti altri prodotti della nostra terra.
Era il 1933 quando Illy iniziava a produrre caffè e cioccolato in un’azienda nata parallelamente a un’azienda agricola con il progetto di produrre confetture. Progetto terminato quando, alla fine della seconda guerra, l’Istria dove si trovava passò alla Jugoslavia. Ed era il 1965 quando venne avviata anche la produzione di tè, dismessa una ventina d’anni dopo, quando l’azienda decise di specializzarsi nella torrefazione di caffè.
Passano gli anni, che sono quelli dell’affermazione del marchio in tutto il mondo e si arriva agli inizi del nuovo millennio, per la precisione al 2004. È il momento del passaggio generazionale e dell’arrivo sulla scena dei quattro fratelli: Francesco, Riccardo, Anna e Andrea. È anche il momento delle domande strategiche. Di immaginarsi il futuro. E proprio lì prende forma il progetto di fare da aggregatore per le eccellenze italiane in Italia e all’estero.
Come racconta a Forbes Italia l’anima del progetto, Riccardo Illy: “In quell’anno ci siamo chiesti come avrebbero fatto le prossime generazioni a far crescere Illy. Perché prima o dopo avremmo raggiunto un plafond. Avevamo di fronte due possibilità: rimanere nel caffè ma cambiare strategia, che avrebbe voluto dire abbassare i nostri standard qualitativi, oppure restare nell’eccellenza ma allargare il campo d’azione. Abbiamo deciso di seguire questa seconda strada. E di farlo partendo dai settori che avevamo già sperimentato in passato”.
Arrivano così, già tra il 2006 e il 2008, le principali acquisizioni, come quella di Domori, considerata un’eccellenza nel cioccolato super premium e del 40% di Agrimontana, azienda tra i leader nel settore delle confetture extra e della frutta candita. E altre poi se ne sarebbero aggiunte. Come Dammann Frères, storica maison francese di tè pregiati, Mastrojanni, una delle aziende di Brunello di Montalcino più rispettate dai conoscitori e Prestat, storico brand inglese di cioccolato, fornitore della Casa Reale, entrato a far parte di Domori a marzo 2019.
“In questi 15 anni oltre a fare acquisizioni ho fatto crescere la società fino a conferirle autonomia economica e finanziaria”, racconta Illy. “Il passo successivo è stato quello di avviare una subholding che detenesse tutte le partecipazioni extra caffè. Nel giugno 2019 abbiamo così costituito il Polo del Gusto”. Solo un primo passo lungo un percorso strategico che Illy pare aver ben disegnato nella sua testa. “Ora è arrivato il momento giusto per cercare un partner finanziario con cui sostenere le società esistenti e fare nuove acquisizioni. Sia nei settori dove siamo già presenti, sia in nuovi settori come biscotti e caramelle”.
Per arrivare poi fino alla quotazione. “Il progetto è quello di quotare in Borsa le singole società operative, perché aiuterebbe l’affermazione dei loro brand e perché le holding quotano sempre a sconto rispetto alle sue partecipazioni”. Il tutto con tempi relativamente ridotti. “Occorrono almeno 100 milioni di fatturato per avere una società quotata liquida. Noi aggregati siamo a 90 milioni. Possiamo arrivare al livello ottimale in un paio d’anni, ma credo ci vorranno 5-6 anni perché la prima società arrivi in Borsa”. È il motivo per cui al partner finanziario che verrà selezionato nei prossimi mesi viene richiesto un impegno per 10 anni, che poi potrebbe trovare una exit proprio nel momento della quotazione, con la sola liquidazione del partner finanziario.
Per tutte le altre risorse che arriveranno dalla quotazione le idee sono già chiare: “Con il Polo del Gusto vogliamo sperimentare un negozio per ogni marchio nelle grandi città, mentre nei centri più piccoli l’idea è di avere dei negozi plurimarca”. Il Polo potrebbe così giocare il ruolo che in passato hanno svolto grandi catene globali impossessatesi di alcuni simboli dell’eccellenza alimentare italiana.
“I brand delle nostre società hanno l’ambizione di diventare globali, già oggi esportano buona parte della loro produzione. Pensiamo a Mastrojanni, che esporta per il 60%. E anche i punti vendita del Polo del Gusto nasceranno inizialmente in Italia e dopo questo test sul territorio nazionale diventeranno globali”. Perché ora? “È il momento giusto per portare le eccellenze del food italiano nel mondo. Grazie a competenze di imprese che operano nel settore alimentare, pensiamo anche ai produttori di impianti. Ed è un momento positivo anche per l’immagine di cui gode il made in Italy all’estero, anche tra gli investitori”. E allora come mai non si è riusciti a farlo prima? Cosa avrebbero potuto fare di più le istituzioni per promuovere lo sviluppo delle eccellenze italiane all’estero? “Lo Stato italiano”, risponde Illy, “non deve dare sostegni finanziari e forse nemmeno fare promozione all’estero. Deve solo garantire agli imprenditori la possibilità di realizzare progetti senza incontrare tutte quelle difficoltà che in altre parti del mondo non esistono”. Forse anche per questo motivo Illy ha scelto la via della Borsa: sarebbe la dimostrazione che quanto costruito ha la capacità e i numeri per attrarre il mercato e per crescere con esso. “È un modo anche per obbligarci a una disciplina verso l’esterno”, aggiunge. “Non farlo sarebbe un limite alla crescita e allo sviluppo. Non si deve avere paura di aprirsi. È un limite che non dobbiamo porci da soli”.
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