DI MASSIMO PELLEGRINO*
Le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale e della robotica suscitano due atteggiamenti contrapposti: da una parte gli “Apocalittici Digitali”, convinti che le innovazioni scaturite dall’Intelligenza Artificiale siano un male da evitare, dall’altra gli “Utopisti Digitali”, certi che la tecnologia possa risolvere qualsiasi problema e, in ultima istanza, perfino migliorare la natura umana.
Un approccio più equilibrato parte da una distinzione fondamentale: l’Intelligenza Artificiale disponibile oggi è limitata a compiti molto specifici (Narrow Artificial Intelligence) e non può essere paragonata all’intelligenza umana (tecnicamente Artificial General Intelligence). La Narrow Artificial Intelligence funziona bene per la comprensione del linguaggio, per la risoluzione di complessi problemi computazionali, per l’automazione di attività prevedibili. Riesce meno benese utilizzata per il riconoscimento di immagini e non funziona affatto in contesti complessi dal punto di vista sociale e relazionale, tipicamente umani. È però evidente chel’applicazione dell’Intelligenza Artificiale al contesto lavorativo avrà un impatto particolarmente rilevante.
PwC ha appena pubblicato uno studio che prende in esame le conseguenze dell’Intelligenza Artificiale e dell’automazione del lavoro in 29 Paesi – tra cui l’Italia – analizzando i dati dell’Ocse relativi a 200.000 lavoratori. La ricerca esamina in dettaglio le dinamiche relative a settori industriali, professioni, genere e livelli d’istruzione. In media, considerando i 29 Paesi, la previsione del numero di posti di lavoro considerati a rischio è del 3% entro i primi anni del prossimo decennio. La percentuale sale però al 20% entro la fine degli anni 20 per assestarsi al 30% entro la metà del decennio successivo. Il processo di automazione seguirà tre fasi, che in parte si sovrappongono e che si caratterizzano per l’utilizzo crescente di tecnologie di Intelligenza Artificiale, ovvero:
L’Algorithm wave: la prima fase, già in corso, si caratterizza per l’automazione di attività semplici e ripetitive, che prevedono l’utilizzo di software di produttività individuale (per esempio Excel) o di soluzioni gestionali che implicano, per esempio, attività di inserimento dati o la ricerca di informazioni. In questo caso si parla di applicazioni di Robotic Process Automation.
L’Augmentation wave: la seconda fase permetterà di aggiungere intelligenza all’automazione di attività routinarie, utilizzando l’Intelligenza Artificiale per inquadrare il contesto e facilitare l’esecuzione di compiti molto ripetitivi ma non in toto predeterminati. Sono previsti in questa fase miglioramenti nell’ambito della robotica industriale anche se i robot opereranno con l’ausilio di lavoratori con capacità “aumentate” dall’utilizzo della tecnologia.
L’Autonomy wave: la terza fase prevede anche l’automazione dei compiti che implicano attività manuali. Ciò sarà possibile tramite l’utilizzo di agenti software che simulano il contesto fisico reale di riferimento e permettono di rispondere in modo adattivo agli eventi. L’esempio più noto è quello della guida autonoma ma gli ambiti di utilizzo saranno molteplici. L’Italia, nella classifica dei 29 Paesi analizzati, si posiziona al quinto posto, con il 4% di posti di lavoro a rischio di automazione nella Algorithm wave, il 23% (che include il precedente 4%) nella Augmentation wave e il 39% cumulativo nell’Autonomy wave. I dati della ricerca di PwC mostrano chiaramente che i Paesi con un’alta percentuale di occupati nei settori manifatturiero, trasporti, logistica e costruzioni tendono ad avere un rischio maggiore di automazione, in particolar modo nel lungo periodo, quando anche i lavori manuali avranno una probabilità più elevata di subire un processo di trasformazione.
L’Intelligenza Artificiale e la robotica favoriranno anche la creazione di professioni completamente nuove, caratterizzate da competenze sofisticate e alti salari, sebbene numericamente limitate in termini di nuovi occupati. I settori che, con ogni probabilità, beneficeranno maggiormente delle nuove professioni saranno la sanità e l’istruzione: da un lato perché meno esposte a processi di automazione, dall’altro perché società più ricche e con una popolazione più anziana esprimeranno una domanda sempre più forte di servizi innovativi in questi ambiti.
Il rischio di automazione varia anche in base alla professione. È intuitivo ipotizzare che nel lungo periodo le attività con un rischio maggiore di automazione siano quelle con un maggiore contenuto manuale e routinario, mentre le occupazioni che comportano competenze sociali o manageriali saranno relativamente meno impattate. Gli effetti saranno diversi per uomini e donne e per lavoratori giovani e meno giovani. In generale il rischio è maggiore per gli uomini – il 34% in media per i 29 Paesi considerati, contro il 26% delle donne – in quanto particolarmente numerosi in settori ad alto potenziale di automazione, mentre le donne tendono a essere più presenti nella sanità, nell’istruzione e in generale in settori che comportano competenze di tipo sociale.
Per quanto riguarda l’età, gli uomini giovani hanno un potenziale più alto di automazione (46%) rispetto alle giovani donne (20%). Il problema dei giovani è particolarmente sentito in Italia in quanto, come emerge dallo studio “PwC Young Workers Index “, l’Italia è all’ultimo posto della classifica dei paesi Ocse relativamente allo Young Workers Index, una misura che tiene conto del livello di occupazione, di disoccupazione, dei NEET (acronimo di Not engaged in education, employment or training), degli impieghi part-time, degli abbandoni scolastici, delle iscrizioni alle scuole di ogni livello e al livello di disoccupazione giovanile comparata a quella degli adulti. L’analisi di PwC inoltre indica che se l’Italia, il Paese dove il fenomeno dei NEET è più diffuso tra quelli considerati, potesse raggiungere il livello della Germania, il potenziale miglioramento del Pil sarebbe dell’8,4%.
Se consideriamo però l’intero arco temporale delle tre fasi – Algorithm, Augmentation e Autonomy wave – le donne risultano essere le più colpite nelle prime due, con un rischio di automazione più alto rispetto agli uomini. Ciò è dovuto al fatto che le donne in tutte i Paesi e in tutti i settori sono significativamente più numerose degli uomini nelle occupazioni impiegatizie. Infine, per quanto riguarda il livello di istruzione, i lavoratori con un basso livello sono quelli più a rischio di automazione (in Italia il 45% e 43% rispettivamente). I laureati, invece, sono relativamente più protetti (in Italia il 16% è a rischio), data anche la maggior presenza di ruoli manageriali.
Quali le implicazioni sulle politiche pubbliche? Lo studio di PwC suggerisce di concentrarsi sull’incentivazione dei processi di formazione permanente per le discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) ma anche per il Design per le discipline relative al supporto e cura della persona e per le materie a sostegno dell’intrattenimento culturale. I governi, d’altro canto, possono sostenere l’occupazione, mitigando i rischi dell’automazione, tramite investimenti – diretti e indiretti – in infrastrutture di reti di trasporto e di comunicazione e nel settore delle costruzioni, sia pubbliche che private. Un altro possibile intervento è rappresentato dagli incentivi alla costituzione di centri di ricerca, Science Park e Innovation Hub per il trasferimento tecnologico. Senza dimenticare, poi, il rafforzamento delle reti di sicurezza sociale quali le diverse forme di reddito di cittadinanza di cui si sta discutendo in diversi paesi europei.
*Partner PwC, Digital Strategy & Innovation Leader
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