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Cultura

La parola di una lingua morta che nessuno sa tradurre

Indigeni Yaghan nel 1883.

Gli Yaghandetti anche Yámana, sono la popolazione più australe del pianeta: vivono nella Terra del Fuoco, l’arcipelago diviso tra Argentina e Cile a poca distanza dall’Antartide. Oggi la tribù fuegina è praticamente estinta, e le stime vogliono che il totale dei discendenti della popolazione che risiedono nell’area arrivi appena alle 1500 unità. Eppure, gli Yaghan riescono ancora a far parlare di loro: il merito è innanzitutto di un singolo termine, una parola della loro omonima lingua nativa, mamihlapinatapai, a cui nessuno studioso finora ha saputo fornire una traduzione definitiva. L’espressione – il cui reale significato è offuscato dalla coltre del passare dei secoli – è al centro di un articolo pubblicato dal sito della Bbc.

La principale opera di trattazione linguistica della lingua Yaghan si deve al riverendo e missionario anglicano Thomas Bridges, che negli anni ’60 dell’Ottocento ha trascorso un ventennio in compagnia degli indigeni, compilando un dizionario Yaghan-inglese composto di 32mila lemmi. Nel suo vocabolario, Bridges non ha inserito mamihlapinatapai, ma ne ha parlato in un’altra occasione, in un saggio, definendolo: “Il guardarsi l’un l’altro, sperando che uno dei due si prodighi a fare qualcosa che entrambe le parti desiderano molto fare, ma non hanno la volontà di iniziare”.

Potrebbe riferirsi al momento dei racconti davanti al fuoco.

La poetica traduzione ottocentesca spiega le sorti del vocabolo ai giorni nostri, quando è approdato alla fama online anche grazie a un ruolo da protagonista nella cultura pop, e a frequenti riferimenti nel mondo del cinema e della letteratura (“il suo significato è bellissimo”, spiega una ragazza che appare nel documentario prodotto nel 2011 da Ridley Scott, Life in a Day). Eppure non tutti sono d’accordo con questa definizione “sentimentale”: Yoram Meroz, linguista californiano di origine israeliana, pensa che la traduzione di Bridges sia molto libera, e basata sull’interpretazione di un verbo che compone il vocabolo: ihlapi-na, che in lingua Yaghan significa “sentirsi in imbarazzo”. Per altri studiosi dell’idioma tribale, mamihlapinatapai indica il momento di meditazione in cui gli anziani del villaggio si sedevano davanti al fuoco a raccontare le loro storie ai più giovani. È probabile che la matassa non verrà mai sbrogliata: l’ultima nativa Yaghan a parlare fluentemente il linguaggio degli antenati, Cristina Calderon, oggi ha 89 anni, e non ricorda di aver mai sentito usare quello specifico termine.

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