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24 dicembre 2025
“Siamo vestiti 24 ore al giorno. Eppure conosciamo poco o nulla di ciò che indossiamo”, ha detto il fondatore Dario Casalini
Contenuto tratto dal numero di dicembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
“Siamo vestiti 24 ore al giorno”, osserva Dario Casalini, fondatore e presidente del movimento Slow Fiber. “Eppure conosciamo poco o nulla di ciò che indossiamo”. Da questa constatazione è nato Slow Fiber, un progetto che punta a introdurre nel tessile la stessa filosofia di Slow Food: una filiera trasparente, rispettosa delle persone e dell’ambiente, in cui il valore prevale sul prezzo. “Il tessile ha un impatto quotidiano paragonabile al cibo: ogni tessuto entra in contatto con il nostro corpo e con il pianeta”, afferma Casalini.
Gli obiettivi
Il movimento si sviluppa lungo tre direttrici. La prima riguarda l’educazione al consumo: “Il sistema produce troppo e smaltisce male. Il riciclo dei tessuti è oggi inferiore all’1%, ma le direttive europee puntano al 20% in cinque anni. È un obiettivo irrealistico. Servono prima cultura e responsabilità: consumare meno, scegliere meglio”.
La seconda direttrice è la tutela delle filiere virtuose. Casalini parla di cinque principi – buono, sano, pulito, giusto e durevole – attorno ai quali Slow Fiber ha costruito indicatori misurabili e criteri di conformità. “Vogliamo sostenere le aziende che operano in modo corretto, anche economicamente. Non ha più senso competere solo sul prezzo: chi produce in perdita sociale o ambientale trasferisce i costi sulla collettività”.
Il terzo asse è il coinvolgimento delle nuove generazioni: “L’Italia ha una tradizione manifatturiera preziosa che rischia di scomparire”, afferma. “Dobbiamo renderla di nuovo attrattiva per i giovani. Un paese che rinuncia alla produzione reale diventa fragile”.
Il contesto
Slow Fiber oggi è un progetto italiano, ma con vocazione internazionale. “Non pensiamo di essere i più bravi”, precisa Casalini. “Ci auguriamo che nascano Slow Fiber in India, in Cina, ovunque ci siano filiere virtuose. L’obiettivo è condividere un metodo, non imporre un modello”. Si parla anche del legame tra sostenibilità e competitività: “La distorsione dei prezzi globali ha reso invisibili i costi ambientali e sociali. Ma senza integrarli, non esiste vero valore”.
Casalini non nasconde la complessità del tema: “Il 70% delle fibre vendute nel mondo è poliestere. La plastica ha reso i capi più economici, ma anche più effimeri. Oggi possediamo in media 200 indumenti, contro i 25 di un secolo fa. La moda ha accelerato i cicli di consumo oltre ogni logica”. Eppure, conclude, uno spiraglio c’è: “Quando parli ai giovani, molti capiscono subito. La consapevolezza è contagiosa. È su quella che si costruisce il futuro della filiera tessile italiana”.