Missione compiuta. La prima trimestrale di Fiat Chrysler senza Sergio Marchionne è quella della definitiva riuscita della sua opera di risanamento: l’azzeramento del debito.
Il gruppo ha per la prima volta riportato una liquidità netta industriale pari a mezzo miliado di euro, in aumento di 1,8 miliardi di euro nel secondo trimestre. Proprio l’obiettivo per tanti anni inseguito dal manager scomparso questa mattina dopo due giorni di angoscia per le sue condizioni di salute.
Nel secondo trimestre dell’anno il gruppo ha consegnato a livello globale 1.301.000 veicoli, in crescita del 6% grazie soprattutto a una buona performance nell’area delle Americhe, con ricavi netti pari a 29 miliardi di euro, in aumento del 4%.
La fine dell’era Marchionne ha però coinciso anche con un avvenimento al quale negli anni del manager italo-canadese i mercati finanziari avevano perso l’abitudine: la revisione al ribasso delle stime.
Fca ha tagliato alcuni target finanziari per il 2018, esercizio per il quale si attende ora ricavi netti tra i 115 e i 118 miliardi di euro (dai 125 previsti in precedenza) e un risultato operativo compreso tra i 7,5 e 8 miliardi (da 8,7 miliardi).
Naturalmente la revisione non è imputabile all’opera del nuovo ceo Mike Manley, al timone solo da sabato scorso.
Il calo delle consegne è invece imputabile principalmente all’impatto della riduzione dei dazi sulle importazioni in Cina a decorrere dal primo luglio, che ha ritardato le decisioni di acquisto della rete e della clientela finale. I ricavi netti sono così diminuiti per effetto della contrazione dei volumi e del mix sfavorevole dovuto alla riduzione dei volumi in Cina.
Proprio la revisione delle stime è all’origine di una pesante reazione della galassia Agnelli in Borsa, con il titolo Fca che è arrivato a perdere anche più di oltre 10 punti percentuali.
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