Di Alessio Artemi
Se una casa automobilistica potesse vivere sugli allori del passato sarebbe una gran pacchia. Pensate alla Volvo: il marchio svedese è da sempre sinonimo di sicurezza e station wagon, peccato che quando arriva sul mercato un nuovo modello, quello che è successo ieri o, peggio ancora, l’altro ieri non conti più assolutamente nulla. Provate a dire a qualcuno che entra da un concessionario per soppesare la nuova V60 che è l’erede della Amazon giardinetta del 1962 e, nella migliore delle ipotesi, rimedierete un sonoro “e chi se ne frega”. Mentre ricordare la nascita delle cinture di sicurezza a tre punti datata 1959, una medaglia d’oro sul petto della Casa scandinava, è roba da museo dell’automobile.
Insomma: l’acqua passata soprattutto nell’ultra-competitivo mondo delle quattro ruote non macina più. Ci vogliono idee nuove, designer dalla matita molto ispirata e ingegneri di gran classe, quindi la domanda delle cento pistole è: “Perché mai oggi, nel 2018, dovrei comprare una V60 scartando modelli targati Mercedes, Audi e Bmw?”. Il responsabile del progetto Hans Nilsson taglia corto: “Basta mettersi al volante per capire di che pasta è fatta questa macchina”, dice, ma in realtà i palati più fini non hanno neppure bisogno di salire a bordo. In tempi che, come i nostri, sono tristi dal punto di vista stilistico, nell’era in cui la parola magica crossover produce fotocopie della stessa auto a getto continuo, ecco un fatto nuovo, una station wagon acquattata sulle ruote posteriori come una gattona pronta a scattare, disegnata senza orpelli e con l’unico vezzo di un alettoncino che le slancia il sedere come una mutanda push up.
Sempre a proposito di lato B, la capienza del bagagliaio, che si apre passandoci sotto il piede, parte da 529 litri per arrivare fino a quota 1.441 abbattendo tutto ciò che è abbattibile. Mica male, quasi tutti i veicoli che vanno tanto di moda dovrebbero indossare carrozzerie color rosso vergogna, e sparire dalla faccia della Terra leggendo la paginetta delle prestazioni sulla scheda tecnica. Sì, perché il quattro cilindri a gasolio da 1.995 centimetri cubi eroga una potenza di 190 cavalli, garantisce un’accelerazione da zero a 100 in 7,9 secondi e tuttavia mantiene i consumi attorno ai 22 km con un litro.
Ma diamo retta ad Hans Nilsson e accomodiamoci davanti al volante: i sedili sono comodissimi, i buongustai li vorranno rivestiti in pelle color avorio, e chi viaggia dietro finalmente non è costretto a fare il contorsionista se non ha le gambe da cane bassotto. I materiali sono lussuosi ma non chiassosi, noblesse scandinava oblige, l’hi-fi di bordo è sontuoso, a prova di loggionista della Scala, e la temperatura si regola al mezzo grado. Ma la vera chicca è il cambio automatico a otto rapporti che può essere impostato nelle modalità Comfort, Eco e Sport ed è coadiuvato da un sistema di ammortizzazione a controllo elettronico. “Ha una capacità di calcolo che arriva a 500 elaborazioni al secondo”, spiega Nilsson, “ed è in grado di valutare le condizioni della strada e lo stile di guida per adattare le risposte delle sospensioni”. Il risultato? Il punto di equilibrio ideale tra comodità e controllo del veicolo. Un passo avanti sul fronte della sicurezza, ma questa è pur sempre una Volvo e allora ecco il sistema City Safety che usa radar e telecamere per vedere ciclisti, pedoni, altri veicoli e animali (di grossa taglia) sia di giorno sia di notte. Se si rischia la collisione la V60 frena e sterza da sola. Perché se è vero che nel mondo dei motori l’acqua passata non macina più è altrettanto vero che al dna non si comanda. E se sei il marchio più sicuro per antonomasia te ne devi fare una ragione e rassegnarti a essere sempre di almeno un passo davanti agli altri.
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