L’industria delle criptovalute sta raggiungendo una crescente maturità e un sempre maggiore interesse. Lo certifica la seconda edizione del Global Cryptoasset Benchmarking Study condotto dal Cambridge Centre for Alternative Finance della University of Cambridge Judge Business School. Lo studio fornisce nuovi spunti sullo stato attuale del settore raccogliendo i dati di sondaggi su oltre 180 società e soggetti attivi nella cripto-industria, in 47 Paesi di tutto il mondo.
Dalla pubblicazione del primo report nell’aprile 2017, l’ecosistema ha registrato importanti cambiamenti: la capitalizzazione di mercato delle cryptoasset è balzata da 30 miliardi di dollari a oltre 800 miliardi, al suo apice, all’inizio di gennaio 2018, per poi a subire un ulteriore calo e fermarsi intorno ai 200 miliardi.
L’impennata dei prezzi e delle operazioni successive è stata determinata dal crescente interesse e attenzione da parte del pubblico e dei media, che hanno spinto nuovi investitori retail, speculatori e investitori istituzionali. L’industria si è trovata di fronte a un enorme numero di nuovi player in una situazione a cui non tutti erano adeguatamente preparati.
“Il nostro obiettivo fin dall’inizio”, ha dichiarato Robert Wardrop, director del Cambridge Centre for Alternative Finance, “era che questi report periodici diventassero un valido riferimento per l’intero sistema finanziario, inclusi innovatori di prodotto e servizi dirompenti, servizi finanziari, investitori, accademici e legislatori”.
Nonostante la consistente perdita di valore subita dalla grandissima maggioranza delle criptovalute, dallo studio emerge che milioni di nuovi utenti sono entrati nell’ecosistema, assumendo quasi sempre un atteggiamento passivo: solo il 38% di tutti gli utenti può essere considerato attivo. Gli utilizzatori di criptovalute sono cresciuti a 35 milioni di persone contro i 18 milioni del 2017. Il numero complessivo di persone registrate dai provider ammonta a 135 milioni.
L’offerta multi-coin (più di una critpovaluta) è quasi raddoppiata fino all’84% (era al 47% nel 2017), una tendenza guidata dall’emergere di standard comuni su alcune piattaforme digitali. Lo studio stima anche che “le sei principali criptoasset consumino collettivamente tra 52 TWh e 111 TWh di elettricità all’anno: la media (82 TWh) è l’equivalente dell’energia totale consumata dall’intero Belgio – ma costituisce anche meno dello 0,01% della produzione mondiale di energia all’anno. E una quota notevole dell’energia consumata da queste strutture è fornita da fonti di energia rinnovabile”.
Inoltre, l’estrazione di cryptoasset sembra essere meno concentrata geograficamente e più distribuita a livello globale, con operazioni in crescita negli Stati Uniti e in Canada. Infine, conferma lo studio, “sono aumentati gli sforzi di autoregolamentazione che, combinato con l’emergere di servizi sofisticati e professionali, riflettono appunto la crescente maturità del settore”.
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