“C’era una volta un mondo in cui non esistevano né Facebook, né Twitter, né Instagram, né Youtube”. Inizia con queste parole, da scenario apocalittico per i nati nell’era digitale, il nuovo libro di Riccardo Pozzoli dal titolo “Smetto quando voglio (ma anche no)”, da oggi in libreria. Il tema è lo stesso che aveva accompagnato il primo volume “Non è un lavoro per vecchi” e cioè come districarsi nella giungla dei social network in modo consapevole, sia nella vita lavorativa sia in quella personale. E di social, il manager dietro al successo di The Blonde Salad ne parla evidenziando anche i loro risvolti negativi, invitando i lettori a prendere le giuste misure nei confronti della tecnologia.
Con Pozzoli avevamo parlato in una intervista apparsa lo scorso anno sul numero 7 di Forbes Italia (e che riportiamo di seguito), in cui avevamo chiesto all’imprenditore di raccontarci la sua visione di fare impresa e gli ingredienti di successo che lo hanno portato fin qui. Ma anche le sue passioni e le sue aspirazioni.
Articolo tratto dal numero 7 di Forbes Italia – a cura di Marco Barlassina
Del suo passato si sa praticamente tutto. Lui, l’uomo dietro al successo del fashion blog di Chiara Ferragni, è stata la mente imprenditoriale di quella che Forbes ha incoronato l’influencer più importante del mondo. Eppure sembra non volersi fermare, tra le partecipazioni Foorban, startup di food delivery, nell’app di social shopping Depop, cui affianca il ruolo di direttore creativo dell’area social e influencer per Condè Nast, oltre che l’attività come consulente e speaker. Anche ora, nella sua nuova vita divisa tra Milano e la California. “Ma le mie aziende sono tutte in Italia”, tiene a precisare. Lo raggiungiamo proprio negli Stati Uniti, dove tutto è cominciato, perché è durante un’esperienza di lavoro a Chicago che Pozzoli, laurea in finanza e master in marketing alla Bocconi, intuisce che in America – siamo nel 2008 – i blogger fanno tendenza e condizionano enormemente i consumi, tanto da lanciare pochi mesi dopo il blog della regina delle influencer (all’epoca sua fidanzata).
E oggi? Cosa sta ispirando Pozzoli? “Partirei da un assunto: sappiamo che il cosiddetto primo mondo non ha più bisogno di consumare per necessità, ma lo fa perché si riconosce nei valori che un marchio rappresenta. Ecco perché oggi dobbiamo pensare a noi stessi come a un brand, concetto che negli Usa è ampiamente sdoganato e a cui i social possono contribuire sostanzialmente gratis. In questa fase quindi sto pensando a cosa sarà il mio brand e a quali saranno i brand globali tra 50 anni, immaginando che i macro-brand avranno un peso ancora maggiore di oggi, perché il mondo sta andando in quella direzione”.
Certamente. Gli chiediamo però quali spazi ci siano per creare nuovi marchi di successo in un mondo dominato da Amazon e altri big ormai onnipresenti. “Non si può più inventare nulla, ma si possono identificare i settori nei quali mancano i brand forti e lavorare su quelli. In questo senso si possono tenere d’occhio mondi come quelli delle criptovalute, del food e del design. Ora sto lavorando nell’ottica di un brand multi-channel e diversificato. Armani è stato il primo a insegnarlo e ora è un trend. Pensiamo anche a ciò che Richard Branson ha fatto con Virgin, muovendosi dalla musica fino ai voli aerei passando per le bevande analcoliche. I casi di successo vanno studiati, possibilmente a centinaia”.
Intanto Pozzoli si è fatto Foorban (crasi di food e urban), startup di food delivery che oltre a consegnare i pasti si occupa anche di cucinarli. L’avrà modellata secondo i suoi dettami? “Foorban è già omnichannel, ha una presenza non solo digitale ma anche fisica. E Il fatto di non portare solamente i pasti a domicilio fa sì che non abbiamo competizione. Pensiamo poi in termini di brand: Foorban è nato dal concetto di cibo di qualità, che arriva a destinazione velocemente e a costi contenuti. Comunicando questi valori Foorban sta diventando un brand. Riguardo all’omnicanalità, siamo digitali, ma Amazon ci ha selezionati per l’apertura di un corner all’interno della sua sede milanese e magari un giorno saremo anche su strada, chi lo sa”.
Intanto in California qualcuno suona alla porta. Pozzoli ci lascia per qualche secondo.
Era la cena consegnata a casa. Da Amazon Prime! “Torniamo al punto di partenza”, dico. “Non è che alla fine i giganti si mangeranno tutto – è il caso di dire – comprese le iniziative minori?”. “Le dirò un segreto”, risponde Pozzoli. “È già arrivata una proposta di exit per Foorban. Abbiamo ringraziato e detto no, perché abbiamo un progetto. E perché creare un’azienda propria è qualcosa che dà delle soddisfazioni incredibili”. Ma si torna presto al pragmatismo: “Ciò naturalmente non vuol dire che di fronte a un’offerta irrinunciabile si dica sempre di no”, aggiunge sorridendo.
Già, perché Pozzoli indubbiamente sa anche far di conto. Si può stimare che oggi tutto ciò che gira intorno alla sua figura muova qualche decina di milioni di euro, considerando anche le partecipazioni mantenute nelle precedenti operazioni. Chissà se abbia mai ragionato su quale sia il suo segreto rispetto ai suoi coetanei. “Rispetto a tanti altri non ho fatto niente”, ci spiega precedendo la nostra domanda. “Guardando indietro non penso di essere stato un genio, semmai di aver avuto sempre voglia di rimettermi in gioco restando fedele a me stesso: prima con il lancio del blog, poi passando a Instagram quando è stato il momento, infine con il lancio dell’e-commerce quando è stato necessario. Parlerei forse di sensibilità al mercato, quella che nasce dalla curiosità, dallo sporcarsi le mani, dall’essere nel mercato, anche dall’essere disposti in alcuni casi a fallire. Da qui nasce il titolo del mio libro perché Non è un lavoro per vecchi non ha riferimenti anagrafici: non sono più giovani solo quelli che non vogliono più ascoltare, che non si sanno reinventare”.
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