di Giuseppe Luca Scaffidi
I negozi di vinili sono stracolmi, il Winner Taco è tornato nei listini Algida, le serie tv sono infarcite di richiami alla cultura pop anni Ottanta e Novanta, la prima PlayStation è tornata a troneggiare tra gli scaffali dei punti vendita hi-tech e i turisti scattano istantanee-ricordo con le loro Polaroid. Che cosa sta succedendo? Chi ha riportato indietro le lancette dell’orologio? Nulla di cui preoccuparsi, è tutto perfettamente nella norma: si tratta del cosiddetto “effetto nostalgia”, la più potente strategia di marketing in circolazione. Facendo leva sulle emozioni più recondite del consumatore, che esercitano un ruolo cruciale nel processo d’acquisto, sempre più imprese scelgono di puntare tutto sulla riproposizione dei prodotti simbolo dei decenni passati, allo scopo di recuperare un certo tipo di immaginario in grado di far sentire una parte degli acquirenti ancora giovane e di incuriosire, al contempo, le generazioni successive.
Nell’attuale mercato, questo “back to the past” sta sempre più imponendosi come concetto trainante: l’idea di fondo è che, per le aziende, sia decisamente meno rischioso tentare di riposizionare sul mercato un brand noto (il cosiddetto “old brand”), che ha alle spalle una comunità di fruitori affezionati e non necessita di essere pubblicizzato da zero, piuttosto che scervellarsi in ricerca e sviluppo per crearne uno ex-novo.
Del resto, guardare al passato con malinconia, contemplando i “bei tempi che furono”, è uno dei passatempi preferiti dei consumatori. Negli ultimi mesi, gli anni Novanta sono tornati alla ribalta, fagocitando quel poco che resta del presente: basti pensare al ritorno in pompa magna delle Spice Girls, che con le tredici date del loro The Spice World 2019 hanno guadagnato 78,2 milioni di dollari. Non dovesse bastare, il 7 di agosto, su Fox, è andata in onda la prima puntata di BH90210, reboot di Beverly Hills 90210, storico teen drama approdato in Italia nel 1992, legato in particolare al nome del compianto Luke Perry. Appena tre settimane dopo, è stato annunciato il revival di un’altra serie iconica degli anni Novanta, Lizzie McGuire, che sarà interpretato nuovamente da Hilary Duff e che andrà in onda sulla nuova piattaforma streaming Disney Plus. Nel mezzo, il remake de Il re leone, diretto da Jon Fraveau, ha superato i venti milioni di incassi dal giorno del debutto nelle sale italiane (il 21 di agosto), conquistando in tempi record le posizioni apicali del box-office. Il rifacimento del classico Disney del 1994 è l’ultimo atto di un progetto che affonda le radici nel 2010, quando la casa di Burbank realizzò il remake in live action di Alice in Wonderland, dando il via ad una “operazione nostalgia” che ha generato profitti vertiginosi: secondo la CNBC, in nove anni, la Disney ha prodotto otto remake che le hanno fruttato più di sette miliardi di dollari.
Anche il mondo dell’hi-tech ha tentato di cavalcare l’onda di questa voglia frenetica di passato: nel 2017, la società finlandese HMD Global ha preso in licenza il marchio Nokia, tentando di riproporre una vera e propria icona dei primi anni duemila: lo storico 3310 (ve lo ricordate? Quel cellulare leggendario “indistruttibile” che “prendeva campo anche sotto terra”); nello stesso anno, la Nintendo ha revitalizzato lo SNES (Super Nintendo Entertainment System), console 8 bit simbolo della cultura pop anni Novanta, riproponendolo in una veste rinnovata per strizzare l’occhio agli appassionati di vecchia data, esaurendo le scorte in tempi record. Pochi mesi dopo, sulla scorta del successo ottenuto dalla Nintendo, la Retro Games Limited, una compagnia specializzata in articoli di retrogaming, ha lanciato il C64, una versione miniaturizzata dello storico Commodore 64, il primo home computer della storia, tuttora il più venduto di sempre. Il successo è stato tale che, nel 2020, verrà lanciata sul mercato anche la versione “full size”.
Il consumatore post-moderno sembra quindi trovare, nell’acquisto di prodotti legati al proprio vissuto, una sorta di “ancora di salvezza emotiva”, in grado di riportare alla mente quei periodi sereni e spensierati venuti meno con l’avanzare dell’età. La speranza è quella di poter ricreare, almeno per qualche ora, le atmosfere ingenue e scanzonate dell’infanzia, scevre dall’ansia da prestazione tipica dei nostri tempi. Il passato viene percepito come un locus amoenus confortante e sicuro, nel quale rifugiarsi per allentare la tensione, ora acquistando un giradischi per ascoltare quel 45 giri dei Duran Duran ritrovato per caso, ora riesumando il Sega Mega Drive dalla soffitta per una partita in memoria dei tempi che furono. Il concetto di “nuovo” finisce così col confondersi con quella che, nella realtà dei fatti, non è altro che una costruzione idealizzata del passato.
Quella che stiamo vivendo è, insomma, una vera e propria “Revival-Era”: in un mondo che evolve alla velocità della luce, i ricordi e le emozioni ad essi connesse assumono un’importanza fondamentale: portare all’incasso cimeli e gingilli delle epoche passate, al fine di placare gli appetiti nostalgici dei consumatori, è solo la logica conseguenza.
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