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Eliminare l’IRAP, il dibattito è nato qui: il faccia a faccia Artom-Cottarelli di lunedì 4 maggio

Carlo Cottarelli e Arturo Artom
Carlo Cottarelli e Arturo Artom

Tagliare l’IRAP per semplificare il sistema degli aiuti alle imprese e garantire loro liquidità immediata senza bisogno di ricorrere a nuovi provvedimenti. E’ la proposta divenuta di attualità negli ultimi giorni dopo che l’altro ieri il presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi, l’ha rilanciata intervenendo a una trasmissione televisiva. In particolare Bonomi ha indicato tre misure prioritarie che il Governo dovrebbe assumere a beneficio delle imprese: oltre al taglio dell’Irap, il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione e lo sblocco dei fondi già finanziati per le opere pubbliche”. 

Ancora prima, l’intuizione era emersa nel corso di un confronto sulle pagine del numero di Forbes Italia arrivato in edicola lunedì 4 maggio,  lanciata da Arturo Artom, fondatore di Confapri, in un faccia a faccia con Carlo Cottarelli, economista e direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici.

Ecco di seguito l’articolo integrale.

 

Articolo tratto dal numero di maggio di Forbes Italia in edicola dallo scorso 4 maggio

La Bce sta immettendo molto denaro nel circuito ma potrebbe non bastare. Dopo il coronavirus ci sarà probabilmente bisogno di altro. Forbes Italia lo ha chiesto a due economisti-opinionisti: Arturo Artom, imprenditore e fondatore del think tank Confapri, e Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano e professore presso l’Università Bocconi di Milano, dove tiene un corso di Fiscal Macroeconomics.

 

Cominciamo dal presente. In che situazione è il nostro paese?

Carlo Cottarelli. Non bella. Tutto il mondo è in una brutta situazione, la peggiore in cui si è trovato dopo la seconda guerra mondiale. Uno shock ancora più grosso di quello del 2008-2009. All’interno di questa situazione l’Italia sta un po’ peggio per due motivi: primo perché l’emergenza sanitaria ci ha colpito in maniera più forte, degli altri paesi, almeno per ora; secondo perché il punto di partenza dell’economia italiana non era particolarmente buono dopo vent’anni di mancata crescita.

Arturo Artom. Aggiungerei che il tessuto economico dell’Italia è fatto di tante piccole e medie imprese che sono la forza del nostro paese ma in questo momento si stanno dimostrando la debolezza perché hanno le spalle meno grandi per superare il momento. Il primo decreto liquidità è stato molto importante. Anche noi come Confapri (il think tank fondato da Artom, ndr) abbiamo spinto moltissimo dai primi di marzo e finalmente il governo ha trasformato in decreto le mosse necessarie e, più o meno quando questo magazine arriverà in edicola, partiranno le prime erogazioni. A questo punto bisogna sfruttare le nuove norme al 100 per 100 perché sarà l’unico modo di far passare la nottata a centinaia di migliaia di piccole imprese.

 

Vorrei farvi una domanda che si fanno in tanti. Possibile che un’azienda con una storia consolidata vada in corto circuito in così poco tempo?

Arturo Artom. Questa è la domanda chiave per capire come funziona la piccola e media impresa italiana. Funziona esattamente come la famiglia americana, strutturalmente indebitata. Per noi sarebbe assolutamente incomprensibile essendo le famiglie italiane quelle con la più alta propensione al risparmio. Invece le famiglie americane sono quelle che hanno il debito più alto, tanto che in America non vivi se non hai il tuo credit rank. Sostanzialmente sin da quando vai all’università hai il tuo indice di credito con cui vai avanti tutta la vita. Hai sempre mediamente 100-120mila dollari di carte di credito tirate. Così mentre la famiglia italiana è risparmiosa, l’azienda italiana media ha quella che si chiama posizione finanziaria netta negativa, cioè è indebitata. Esattamente quello che succede alle piccole e medie imprese italiane.

 

Che tipo di debiti?

Arturo Artom. Il debito è di due tipi: un debito a medio-lungo termine, quello per costruire il capannone, per capirsi, e poi ha il circolante ossia tutti i debiti che si fanno per cassa e, semplifico, per sconto fatture. Sostanzialmente si fa una fattura, si porta alla banca che la sconta e fornisce il denaro liquido. A quel punto il cliente può pagare anche dopo 180 giorni ma l’azienda ha i soldi in cassa. Grosso modo tre aziende su quattro hanno una posizione finanziaria negativa, quindi appena l’imprenditore non riesce più a scontare fatture, nel giro di tre settimane va in ansia finanziaria perché sostanzialmente non ha più quel polmone finanziario che è fisiologico.

 

Significa che il sistema italiano è fragilissimo, non ha praticamente respiro.

Carlo Cottarelli. È un sistema fragilissimo. Un’economia che non cresce da 20 anni è fragile. Si lega al problema generale di cui parlavo in precedenza.

 

I provvedimenti del governo, messi in atto sin qui, sono sufficienti?

Carlo Cottarelli. Direi di sì. Se li confrontiamo con le misure prese all’estero, siamo nello stesso ordine di grandezza in termini di copertura di crediti rispetto alle dimensioni dell’economia. Poi vediamo se le cose funzionano nel modo giusto.

Arturo Artom. Posso aggiungere che il modello del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, su cui abbiamo spinto molto come Confapri, è una buona cosa perché consente appunto di avere una garanzia, che mediamente era del 60% e si dovevano alzare come è stato. Il governo ha avuto un’ottima idea per le medie e grandi aziende di mettere insieme uno strumento simile utilizzando la Sace, la società pubblica che forniva già garanzie a chi esporta e quindi ha una struttura adeguata. Ora lo strumento c’è, bisogna tirarsi su le maniche e andare in banca perché lo strumento funzionerà.

 

A questo punto servirebbe un provvedimento rapido per snellire la burocrazia.

Carlo Cottarelli. Un provvedimento del genere sarà fondamentale quando sarà il momento giusto, ma ancora non ci siamo arrivati. Andrà messo in campo quando si tratterà di far ripartire il Paese soprattutto per snellire gli investimenti pubblici. Quando ripartiremo, la domanda privata sarà piuttosto bassa per le incertezze delle prospettive: le famiglie saranno prudenti così come le imprese. Allora sarà necessario che ci sia domanda da parte di qualcuno. Il modo migliore di intervenire da parte dello Stato è, invece di fare spesa corrente, fare spesa per investimenti. La spesa corrente è fatta di trasferimenti, quindi se trasferisci i soldi a qualcuno, questi può risparmiarli e quindi non cambia niente. Gli investimenti invece sono acquisti diretti.

 

Si torna al tema dei cantieri?

Carlo Cottarelli. Infatti si dovrebbe far ripartire le centinaia di cantieri che sono fermi in Italia sia a livello regionale che a livello statale. A quel punto sarà necessario non soltanto avere i soldi, che ci saranno grazie anche agli interventi della Bce, ma la questione sarà snellire la burocrazia in modo che si possa ripartire più rapidamente. L’esempio tipico è il ponte di Genova dove l’avanzamento dei lavori è stato molto rapido. Lì c’era un sindaco molto bravo che è diventato commissario per il ponte, ma sono state adottate anche delle procedure speciali, più rapide.

 

Qui però si entra nel tema del rischio corruzione, visto che siamo in Italia.

Carlo Cottarelli. Il rischio è quello. Quando si parla di appalti pubblici si parte con i buoni propositi di snellire e poi ci si trova danti a episodi di corruzione. Allora quello che bisogna fare ex post è essere molto più severi nei controlli e anche nelle pene collegate ai reati di corruzione da usare come deterrente. L’altra cosa molto importante è la giustizia amministrativa perché un ente pubblico può pure cercare di fare una gara d’appalto, ma se poi viene bloccata da costanti ricorsi al Tar non si riesce ad andare avanti.

Arturo Artom. Purtroppo quando ripartiremo lo faremo in modo molto graduale. Non sarà come nel dopoguerra con la ricostruzione e il boom economico, ma saremo tenuti almeno per un anno a fare una vita calmierata. Sono d’accordo a utilizzare il modello Genova per le altre opere pubbliche italiane, poi visto che in questo momento vengono attuate cose impensabili fino ad ora, come la sospensione del patto di stabilità europea, l’anno scorso abbiamo fatto il 5,2% di deficit quest’anno andremo ancora oltre allora…

Carlo Cottarelli. Quest’anno si va parecchio oltre il 5,2%…

Arturo Artom. Appunto, dicevo, a maggiore ragione bisognerebbe mettere in atto un piano per ridurre le tasse, mettere in circolo denaro, fare quelle cose che si dicono da trent’anni e che non vengono mai fatte. Il dipendente pubblico francese, dopo il suo orario di lavoro, se ne va a casa dalla famiglia. Il dipendente pubblico italiano quando esce dall’ufficio fa altri due o tre lavori. In Italia c’è un’operosità incredibile che però in molti casi non è vista dall’economia reale perché è sommersa. Forse una riduzione delle tasse, un grosso piano con stimoli molto forti, potrebbe far emergere il sommerso. Consentitemi di dire: se non ora quando?

Carlo Cottarelli. Attenzione. Adesso si sono dovuti fare aumenti del deficit per dare una spinta all’economia. Ma questi devono essere operazioni temporanee perché non dobbiamo far aumentare il deficit. Io queste le distinguerei dalle operazioni di riduzione permanente di tasse che creerebbero un problema di finanziamento. Cose straordinarie si possono finanziare in deficit, ma se vogliamo tagliare le tasse permanentemente, perché magari questo fa emergere l’economia sommersa, possiamo farlo ma dobbiamo trovare delle fonti di finanziamento. Il vincolo di bilancio è sospeso, non è scomparso e non ci sarà sempre la Banca centrale europea che ci finanzierà così copiosamente. Quindi bisogna distinguere bene tra le operazioni di emergenza fatte adesso per dare sostegno alle imprese e alle famiglie, dare una spinta all’economia per farla ripartire, da quei cambiamenti strutturali per cui invece bisognerà continuare a trovare fonti di finanziamento. Non possiamo utilizzare questo momento per introdurre per esempio la flat tax, perché anche se volessimo farlo dovremmo trovare delle fonti di finanziamento sul lato della spesa, e in questo momento mettersi a fare la spending revue diventa un po’ complicato.

Arturo Artom. Bisogna però pensare alle imprese. Sull’Irap qualcosa si potrebbe fare. Non penso tanto alla flat tax per le famiglie ma penso alle imprese perché è da lì che poi bisogna ripartire.

Carlo Cottarelli. D’accordo. Però se vogliamo tagliare le tasse dobbiamo trovare i finanziamenti. Perché l’idea che tagli le tasse e tutto si rifinanzia da sé, non esiste. È la famosa curva di Laffer che non funziona per il livello di tassazione a cui siamo. Benissimo far ripartire le imprese, facciamolo con l’effetto indotto della spesa per investimenti, facciamolo anche con sussidi temporanei, però non lo farei con tagli permanenti della tassazione che richiedono fonti di finanziamento.

Arturo Artom. Sì, però magari tagliare l’Irap, una tassa molto odiata dagli imprenditori, potrebbe essere un atto di valore relativamente modesto, visto che incide per circa 25 miliardi, ma di grande impatto simbolico.

 

La Bce sta dando una mano all’Italia e all’Europa. Ma l’Unione mica tanto…

Carlo Cottarelli. Alcuni giornalisti stranieri, tra l’altro un olandese, mi hanno chiesto: “Perché avete bisogno dei soldi dell’Europa visto che tanto ve li dà la Bce?”. Questo è vero, però non vogliamo lasciare tutto il peso alla Bce e pertanto credo sia utile avere avuto altre iniziative dall’Europa. Comunque rimane il dato di fatto che la Bce è un’istituzione europea e quindi non è esatto dire che l’Europa non ci dà una mano. Se questa reazione così rapida della Banca centrale europea fosse venuta dieci anni fa, ci saremmo risparmiati molti guai. Perché grazie a Mario Draghi abbiamo avuto il whatever it takes, però Draghi ha dovuto combattere una battaglia per arrivare a quella soluzione. C’è voluto tempo perché i paesi del Nord Europa accettassero quell’intervento della Bce. Questa volta invece la Bce è stata rapidissima.

 

Diciamo la verità, c’è una tendenza a non essere mai contenti di quello che fa l’Europa.

Carlo Cottarelli. È vero. Ricordiamoci però che l’intervento della Bce è stato fondamentale e l’intervento della Commissione europea, per quanto le è stato possibile fare è stato buono. Teniamo conto che la Commissione ha un bilancio piccolo. Ci lamentiamo del fatto che i paesi nel loro complesso, non le istituzioni, si sono mossi lentamente per importi certo più limitati rispetto ad altri come per esempio gli Stati Uniti, ma grazie…quelli hanno il governo federale, quelli hanno raggiunto l’unità politica. Allora rendiamoci conto che se si rimane in questa situazione in cui fondamentalmente ogni paese pensa al proprio elettorato e non agli interessi dell’Unione europea in generale, per forza saremo lenti. Ma questo non è colpa delle istituzioni europee, è il risultato del fatto che siamo in mezzo al guado che c’è l’Unione europea, ma non ci sono gli Stati uniti d’Europa.

Arturo Artom. Credo che Angela Merkel abbia perso un’occasione d’oro. È al potere ininterrottamente da 15 anni, ha già detto che non si ricandiderà alla guida della Cdu e quindi del governo tedesco. In questo caso avrebbe dovuto ricordarsi la famosa frase secondo cui un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni. Ha avuto l’occasione per fare quello che fece Helmut Khol, cioè passare alla storia come la madre della nuova Europa non curandosi eventualmente delle prossime elezioni ma guardando, lasciatemelo dire, anche in maniera vanitosa ed egoistica al suo monumento futuro. Poteva aver la forza di dare un imprinting agli eurobond, o a qualcosa di simile, attribuendosi il merito di aver cambiato la storia d’Europa.

 

Di cosa ci sarà bisogno, in termini finanziari, quando ripartiremo?

Arturo Artom. A settembre-ottobre, o comunque quando ripartiremo, ci sarà bisogno almeno di altri 60-80 miliardi, che significano altri quattro punti di Pil. Allora vorrei lanciare una provocazione. Visto che siamo il Paese più bello del mondo, pieno di risorse e mai domo, perché non lanciare un Italy Bond rivolto alle famiglie, alle imprese, ai risparmiatori italiani?

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