Facebook e il governo australiano hanno trovato un accordo: la condivisione delle notizie sul social è di nuovo possibile. Pochi giorni fa, l’azienda l’aveva bloccata in risposta a una nuova legge voluta da Canberra: il News media bargaining code, una norma che impone alle piattaforme digitali di pagare per la condivisione dei contenuti giornalistici. Menlo Park ha annunciato di “avere raggiunto un’intesa” dopo alcuni colloqui con i ministri del Tesoro e delle Comunicazioni, Josh Frydenberg e Paul Fletcher.
La riscossa degli editori
La riscossa degli editori verso Facebook e Google, partita dall’Australia, potrebbe allargarsi al resto del mondo. Il governo canadese guidato da Justin Trudeau, per esempio, sta esaminando la questione per riportare equilibrio tra la produzione di news da parte degli editori, che comporta professionalità e competenze, e la distribuzione sulle piattaforme social e su Google News.
Non è un caso che ad aprire la strada al nuovo corso sia stata l’isola dove è nato e ha prosperato per anni il simbolo dei magnati dei media: Ruperth Murdoch, che con la sua News Corp ha appena siglato uno storico accordo con Google per il pagamento dei contenuti prodotti dalle testate del gruppo. Non solo i giornali australiani, ma anche gli statunitensi Wall Street Journal e New York Post e i britannici Times e Sun.
La riforma australiana
Il protagonista della riforma australiana, per la quale si attende l’approvazione del Senato dopo quella della Camera dei rappresentanti, è Rod Sims, presidente dell’Australian competition and consumer commission (Accc). “Qualunque cosa dicano i social media e Google, noi sappiamo che hanno bisogno di notizie tutti i giorni”, ha dichiarato Sims alla Reuters. “Le news tengono gli utenti più a lungo sulle piattaforme e permettono così a Facebook e Google di guadagnare di più”.
Una ricerca condotta tra gli utenti americani ha stabilito che oltre il 45% apprende le notizie da Facebook. Prima o poi, questo passaggio tra editori e social media doveva essere regolato. La riforma è in fase evolutiva e prevede anche l’introduzione di regole che proteggano non solo i big dell’editoria come News Corp, ma anche gli editori di giornali indipendenti, cartacei e online.
Una scappatoia per Facebook
Campbell Brown, vicepresidente per le global news partnership di Facebook, potrebbe mantenere la facoltà di decidere quali notizie inserire nella piattaforma e potrebbe trovare il modo di eludere la negoziazione imposta dalla riforma. Anche perché alcuni piccoli partiti australiani si oppongono al nuovo codice.
Una scappatoia si intravede in un emendamento inserito dal tesoriere Josh Frydenberg: le news riportate da Facebook e Google non saranno soggette al News media and digital platforms mandatory bargaining code nel caso “diano un contributo significativo alla sostenibilità dell’industria dell’informazione australiana”.
Riaprendo alla condivisione delle notizie sul social media in Australia, Facebook ha fatto notare che le news attinte dagli editori rappresentano solo il 4% del suo traffico.
La linea dura di Facebook, quella soft di Google
Nella querelle, hanno colpito anche gli approcci opposti adottati dai due giganti tech. Facebook è stata inflessibile: dopo settimane di discussione, ha “spento” le pagine degli editori australiani per poi riaccenderle in vista dell’accordo.
Google, guidata da Sundar Pichai, fidatissimo ceo che riporta solo a Larry Page, è stato invece conciliante. Ha presto annunciato una serie di accordi per remunerare le news a svariati editori australiani ed è approdato all’accordo con News Corp, a cui dovrebbero fare seguito molti altri. Da veterano dell’editoria, Rupert Murdoch ha anche trovato il modo di ottenere un ulteriore vantaggio: l’amministratore delegato di News Corp, Robert Thomson, ha raccontato infatti che l’accordo “prevede anche lo sviluppo di una piattaforma per gli abbonamenti e la condivisione dei ricavi pubblicitari tramite i servizi tecnologici di Google”.
Gli analisti hanno visto nel nervosismo di Facebook un atteggiamento per reagire ai non pochi problemi che rischiano di abbassare sensibilmente il fatturato pubblicitario del secondo semestre. Sul giro d’affari di Mark Zuckerberg pende una spada di Damocle chiamata iOS14: il sistema operativo in arrivo questa primavera su un miliardo di iPhone, che prevede approvazione degli utenti per ricevere la pubblicità da Facebook.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .