I talebani controllano tutte le 34 province dell’Afghanistan, Kabul, la capitale, il palazzo presidenziale e forse, presto, una sfilza di preziose risorse digitali come gli account Twitter e Facebook, un tempo gestiti dal governo democraticamente eletto della nazione.
Le società di social media hanno fatto sapere di non escludere che i talebani possano gestire quei canali, che sono più di due dozzine tra i due siti. Strumenti che quasi sicuramente offrirebbero agli insorti un’utile piattaforma per diffondere propaganda e disinformazione. Indipendentemente dalla decisione, è probabile che la questione riapra il dibattito su che cosa dovrebbe esserci su Internet e chi dovrebbe determinare che cosa ci finisce.
“Se gestisco una grande organizzazione”, come i talebani, “voglio tante vie diverse per modellare le mie narrazioni e la percezione esterna su quello che sto facendo”, afferma William Braniff, direttore del Consorzio nazionale per lo studio del terrorismo e la risposta al terrorismo nel Maryland. “Avere più canali è, in definitiva, molto utile”.
Twitter e Facebook eliminano già regolarmente grandi quantità di contenuti terroristici. Facebook ha dichiarato, nell’ultimo rapporto sulla trasparenza, di aver preso provvedimenti contro 9 milioni di informazioni del genere nel primo trimestre, mentre Twitter ha affermato di aver fatto lo stesso contro quasi 60mila account nella seconda metà del 2020. Rispetto alla sfida per fermare i suprematisti bianchi e altri gruppi radicali locali, le società di social media hanno una maggiore esperienza nella lotta ai terroristi, i cui post carichi di ideologia e privi di ironia sono più facili da catturare per i software di moderazione basati sull’intelligenza artificiale.
Ma qui è dove la situazione si complica: i talebani non sono terroristi ufficiali. O almeno, non compaiono nell’elenco delle organizzazioni terroristiche straniere del Dipartimento di Stato americano, un elenco su cui le società di social media hanno fatto affidamento in passato per giustificare la rimozione di account. Twitter, ad esempio, ha rimosso gli account collegati ad Hamas ed Hezbollah nel novembre 2019 e ha spiegato: “Non c’è posto su Twitter per organizzazioni terroristiche illegali e gruppi estremisti violenti”.
Forse l’assenza dei talebani dalla lista potrebbe fornire una copertura a Twitter, una ragione sufficiente per cedere gli account del governo ai talebani. Ma Twitter probabilmente subirà pressioni per applicare le etichette di verifica dei fatti e gli avvertimenti che ha sempre più utilizzato per i post fuorvianti, oltre alle lamentele dei legislatori conservatori degli Stati Uniti che sono già indignati per il fatto che il presidente Trump non possa usare Twitter, ma i talebani sì.
Dal momento che Facebook ha già messo fuori legge i talebani, è molto meno chiaro quale giustificazione potrebbe usare il sito per concedere loro gli account. Facebook potrebbe ricorrere a una vecchia idea: alcuni account sono così importanti da ascoltare che Facebook non può assolutamente vietarli: non solo sono troppo grandi per fallire, ma sono troppo importanti per fallire. Matt Perault, direttore del Center on science & technology della Duke University, condivide questa idea. “Penso che sia importante che le organizzazioni politiche che gestiscono un Paese siano in grado di parlare in modo che le persone possano vedere in cosa credono quelle organizzazioni”, afferma. “Le società di social media si troveranno in una posizione davvero difficile, ma alla fine è importante che le persone siano in grado di capire cosa pensa un’organizzazione di governo”. Negli anni passati, Facebook potrebbe aver seguito questa strada. Di recente, però, ha compiuto un cambio di rotta che potrebbe impedirglielo: a giugno, ha affermato che non avrebbe più riservato ai politici un trattamento speciale e non li avrebbe più protetti dalle regole di moderazione. Non è chiaro se il cambio di politica si applichi a cose come gli account delle ambasciate o dei ministeri, oppure esclusivamente agli account gestiti da funzionari eletti.
Anche se le piattaforme consentono ai talebani di gestire gli account, ovviamente non sono tenute a permetterlo per sempre. C’è un percorso alternativo, più lento, che le aziende potrebbero intraprendere: autorizzare i talebani ad accedere agli account, quindi catalogare lentamente e metodicamente le regole che infrangono per poi imporre un divieto. Ma questo richiederebbe quasi certamente una sorveglianza costante e una polizia attiva, cosa che le aziende vogliono da tempo evitare. E, altrettanto sicuramente, il tempo concesso ai talebani per gestire gli account darebbe loro l’opportunità di abusarne.
“Diffondere propaganda, reclutare persone, radicalizzare le persone: farebbero questo genere di cose”, afferma Jeremy Blackburn, professore di informatica alla Binghamton University che ha studiato l’incitamento all’odio e gli estremisti online. “In definitiva, avrebbero un’influenza aggiuntiva e potrebbero raggiungere più persone. Con più persone che ti ascoltano, puoi diffondere informazioni molto più facilmente”.
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