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Come questa azienda partner di strutture sanitarie ha superato la pandemia grazie al suo spirito consortile

Articolo tratto dal numero di novembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!

Il coronavirus ha portato numerose aziende italiane a sperimentare condizioni di difficoltà, se non di crisi conclamata. Al contrario, le imprese che lavoravano con farmacie e ospedali hanno dovuto fare i conti con un picco di domanda. Tra queste rientra Copag.

L’azienda, nata nel 1976 a Roma, sotto forma di consorzio, costituito da circa 250 strutture sanitarie private (rappresentative di oltre 25mila posti letto nel panorama nazionale), ha l’obiettivo di supportare i processi di acquisto dei dispositivi medici necessari non solo ai propri consorziati, ma alla quasi totalità delle case di cura associate all’Aiop, (l’Associazione italiana ospedalità privata) e all’Aris, (l’Associazione religio-sa istituti socio sanitari), garantendo elevati livelli di qualità a prezzi concorrenziali. A differenza di molti altri operatori, poichè è costituita da società operanti nel settore sanitario, Copag è un partner delle strutture sanitarie nel garantire prodotti, anche di difficile reperimento, e interviene anche come consulente, non solo commerciale ma anche tecnico-scientifico. Vanta un fatturato di oltre 60 milioni di euro e un ebitda di 6,5 milioni.

La gestione delle scorte di magazzino

Con il coronavirus ha dovuto fronteggiare una diversa incidenza di lavoro tra le sue tre aree di business: una diminuzione delle richieste di equipment per la sala operatoria, bilanciata da incrementi significativi nell’area presidi, e da anomalie sulle richieste dell’area farmaco, che ha comunque mantenuto volumi importanti. Ciononostante, ha soddisfatto l’intera domanda di milioni di dispositivi di protezione individuale, tanto in Italia quanto all’estero, al contempo continuando a evadere gli altri ordini legati alla quotidianità delle strutture sanitarie.

“La nostra risposta alla pandemia”, racconta Marco Miraglia, presidente di Copag dal 2013, “nasce ancor prima di fronteggiare l’emergenza. È frutto di una costante e metodica attenzione alla gestione delle scorte di magazzino, di una necessaria ricerca di altre fonti di approvvigionamento serie e affidabili. Il tutto supportato da un modello organizzativo interno efficace e dagli sforzi dei dipendenti, tutti assunti con contratto a tempo indeterminato, al 70% di sesso femminile e con una totale assenza di turnover”.

“Abbiamo rifiutato qualsiasi tendenza speculativa”

E con un occhio di riguardo per l’etica. “I mancati approvvigionamenti sul mercato asiatico hanno comportato un aumento dei prezzi di vendita che la nostra azienda ha comunque cercato di calmierare, anche a scapito della propria marginalità”, dice Miraglia. Ragion per cui non sono stati effettuati rincari, se non quelli forzati dalle storture che il mercato (anche dei trasporti) stava imponendo in quel periodo. “Abbiamo mantenuto fede ai nostri principi aziendali, rifiutando qualsiasi tendenza speculativa. Anzi, durante la seconda ondata, abbiamo predisposto la donazione di un importante quantitativo di mascherine Ffp2 a soci e clienti. Anche se siamo una spa da diversi anni, non abbiamo dimenticato lo spirito consortile con cui è nata la nostra realtà più di quaranta anni fa”.

In questo modo, Copag è uscita più forte dalla pandemia in termini di posizionamento, a differenza di altri operatori, che hanno approfittato della situazione per adottare un atteggiamento speculativo. Anche se, va evidenziato, la fase espansiva dell’azienda era iniziata da tempo, in due momenti che, se pur in contesti storici diversi, hanno sicuramente modernizzato il modello operativo dell’azienda, dando un nuovo corso all’attività: il primo fu quello in cui l’azienda cominicò a fabbricare alcuni prodotti della linea presidi (come guanti, siringhe, ecc.). “Quando recarsi in Asia per avviare dei rapporti commerciali sembrava esclusivo delle multinazionali, siamo riusciti a sviluppare partnership con aziende produttrici che hanno consentito una maggiore autonomia in termini di volumi disponibili alla vendita, oltre che una maggiore scelta di materiali, concentrandosi ancora di più sulla qualità”.

Altra pietra miliare è stata l’ingresso nel settore della distribuzione del farmaco, creando un servizio clienti dedicato, un ufficio acquisti e uno staff di farmacisti, informatici e agenti di vendita. “Il nostro concetto di distribuzione non si limita alla consegna del farmaco, ma alla completezza dei servizi che sono offerti alle strutture sanitarie. In un’epoca in cui le risorse sono sempre più limitate, qualsiasi strumento possa aiutare ad assicurare l’assistenza farmaceutica necessaria, diventa di fondamentale importanza a garanzia di prestazioni sanitarie sempre più complesse”.

Eventi e promozioni della salute

Nel corso dell’ultimo triennio, l’azienda è cresciuta in tutte e tre le sue aree di business, soprattutto grazie alla partnership con Johnson&Johnson. L’accordo, siglato nel 2008, identifica Copag come distributore esclusivo per la Johnson&Johnson Medical su un portfolio clienti che comprende la quasi totalità delle strutture ospedaliere private italiana, con specifico riferimento alla linea Ethicon riguardo le suture, le suturatrici meccaniche, oltre alla chirurgia mininvasiva, l’elettrochirurgia, i sistemi di fissaggio e altri prodotti affini.

Parallelamente, Copag ha migliorato le sue competenze in ambito logistico e Ict, alcune volte, interconnettendoli. “Abbiamo mantenuto salde le nostre radici, facendo crescere però il fusto della nostra azienda in base alle sfide del presente ma soprattutto del futuro.”

Un’attenzione al futuro che si declina anche nell’investimento in progetti innovativi, come startup biomedicali, oltre che nella partecipazione in network strategici a livello internazionale nell’ambito delle scienze della vita. Copag inoltre da dieci anni sostiene iniziative ed eventi dedicati alla prevenzione e alla promozione della salute, come quelle di partner ormai storici quali Emergenza Sorrisi e Tennis&Friends. Innovazione e tradizione, dunque. “Sono due facce di una stessa medaglia e non devono essere visti necessariamente come due concetti antitetici: quando, s’innova infatti, si rinnova una tradizione”, conclude Miraglia.

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