Digital PR e Influencer Marketing devono cambiare nel contesto pandemico, puntando a coinvolgere gruppi più piccoli, per una conversazione più intima e duratura. Lo dimostra l’esperienza nel luxury lifestyle di Alessandra Airò, founder di 1984/PR, e di Wemanage Group.
“La comunicazione di prodotto è già sovra-rappresentata e affollata di messaggi; per distinguersi e creare valore a lungo termine, un brand deve costruire una community coerente, specialmente in tempi di pandemia”, dice Alessandra Airò, founder di 1984/PR, agenzia di digital PR (influencer marketing, public relations, organizzazione eventi). L’agenzia è parte di Wemanage Group, che offre servizi di consulenza e outsourcing per la market strategy, creatività digitale, comunicazione, design di prodotto e pubbliche relazioni per i brand del luxury tramite quattro società complementari: Wemanage, K-448, Arebour e 1984/PR.
Un gruppo di giovani professionisti e imprenditori, che nel giro di pochi anni è cresciuto fino a coinvolgere oggi 40 persone tra dipendenti e collaboratori, più di 50 clienti attivi e un fatturato che supera i 2 milioni di euro, in crescita del 40% nonostante la pandemia.
Airò è digital PR, content creator, influencer e digital talent. L’abbiamo intervistata per comprendere come sta evolvendo il digital marketing, in particolare nel segmento del luxury lifestyle.
Come è arrivata a occuparsi di digital PR e a diventare una nota influencer?
Dopo gli studi presso la LUISS, ho iniziato la mia esperienza professionale come avvocato per uno studio internazionale. Nel frattempo comunicavo sul mio blog – Little Snob Thing – prima di passare a lavorare nel marketing per un importante gruppo editoriale. Poi, con l’arrivo di Instagram, ho deciso di aprire un profilo che in poco tempo ha raccolto una grande community di persone (circa 100mila follower): donne tra i 25 e i 45 anni, amanti del lusso e interessate a moda, arte, cultura, arredamento ed esperienze originali. Da quel momento è diventata una professione a tempo pieno sbocciata nella consulenza, nella fondazione di 1984/PR e nell’ingresso in Wemanage Group.
Qual è il segreto di una buona comunicazione sui social?
Innanzitutto, la coerenza dei messaggi che si vogliono mandare e della linea editoriale per consolidare una community con un’identità chiara e autentica. Ha un grande valore anche la ricerca, il saper trovare sempre contenuti nuovi, originali, che catturino l’attenzione. Nella comunicazione del brand, infine, conta la capacità di narrare in modo coinvolgente, che convinca i membri della community e li porti a vivere esperienze a 360 gradi, dal mondo digital a quello reale, insieme al brand.
Qual è il ruolo delle digital PR nella costruzione di un brand?
Le digital PR e l’influencer marketing riescono a raccogliere attorno ai brand persone che hanno una riconoscibilità e visibilità sui social – i cosiddetti talent, che siano opinion leader o influencer – capaci di raccontare modi vivere e fare esperienza in modo personale al loro network. Si arricchisce così la costruzione di una community forte, che può portare un grande valore aggiunto al brand. Certo, è un processo complesso che si costruisce gradualmente nel tempo.
Che tipo di sinergie attivate tra le varie società del gruppo?
La correlazione tra le quattro agenzie del gruppo è semplice in quanto offrono servizi complementari che consentono di amplificare i risultati. Wemanage offre ai brand consulenza per la realizzazione di business plan, la commercializzazione tramite canale WHL e canale e-commerce, Arebour per la direzione creativa e ufficio stile, K-448 per la comunicazione sui canali digitali e per la produzione di contenuti, 1984 per le digital PR ed eventi. Il primo vantaggio è che ci si mette a tavolino tutti insieme, ognuno porta la propria visione strategica per costruire progetti integrati. Questo non solo offre un unico interlocutore al cliente, ma consente di avere anche maggiore coerenza ed efficacia, grazie all’elaborazione di piani organici con un unico linguaggio. Cosa che è molto più difficile quando un brand sceglie diverse agenzie che seguono solo un pezzo della strategia.
Quali risultati si possono raggiungere?
Si possono ottenere risultati a vari livelli, sia qualitativi sia quantitativi, che vengono identificati e monitorati in dialogo con il cliente, evidenziando necessità, criticità e opportunità. Per il brand Emporio Sirenuse, per esempio, abbiamo sviluppato un approccio omnicanale che lo ha portato a essere distribuito nei negozi multi marca più importanti al mondo (Net-A-Porter, Matches, Harrods, Bergdorf Goodman e altri 50 retailer), ad avere un business e-commerce molto solido in continua crescita, passato in pochi anni da poche decine di migliaia a diverse centinaia di migliaia di euro, a realizzare tre collezioni ben strutturate all’anno (e non più solo una limitata alle stampe) a fare crescere la fan base sui social da 10 mila a circa 28 mila follower quando si è conclusa la collaborazione, elevando la percezione del marchio e il livello dello storytelling sui vari canali di comunicazione con la produzione di contenuti che ha coinvolto giovani talent (fotografi, video maker, etc.) tra i più riconosciuti a livello internazionale.
Un altro progetto per noi molto interessante è Amotea, un nuovo brand che abbiamo seguito dalla sua fondazione lavorando insieme alla designer/proprietaria Diletta Amodei per implementare una strategia omnicanale. Il marchio oggi è distribuito in Rinascente, Gente Roma, Beymen, Luisaviaroma e tanti altri a livello nazionale e internazionale. Il branding ha permesso al marchio di posizionarsi presto sul mercato con un percepito alto, potendo contare sulla rete di network e PR che abbiamo attivato e alla strategia di comunicazione, e la community su IG conta 11 mila follower (raggiunti in meno di 3 anni partendo da zero). Oltre a supportare la designer nel disegnare/sviluppare le collezioni (con 4 uscite all’anno e collaborazioni speciali, come quella con Evangeline) abbiamo stabilito tutta la rete di fornitori/produttori, mentre come 1984/PR ci siamo concentrati sia nel creare riconoscibilità e nel mantenere alta l’attenzione tramite 15 eventi in due anni (nonostante la pandemia). È importante proporre un mix di attività digitali e reali, sollecitando persone con una forte visibilità sui social, che poi vogliono fare esperienze anche nella vita reale.
La brand experience è un momento fondamentale per la costruzione di una fan base, come renderla memorabile?
Nel mondo del lusso si gioca tutto nei dettagli e nel modo di raccontare una storia coinvolgendo le persone. Per Emporio Sirenuse, per esempio, abbiamo inviato due camerieri in livrea a consegnare la pastiera a casa di 30 persone selezionate, per raccontare i valori del brand, la cultura nell’ospitalità, il lusso con radici nella tradizione. Per un brand di scarpe argentino che lanciava una collezione ispirata a un’artista, abbiamo organizzato una visita al Museo del Novecento, con un piccolo gruppo di meno di 10 ospiti, seguita da un pranzo come momento conviviale tra amiche. Occorre tanta creatività e determinazione. Per raccontare il mondo della carta da parati del marchio storico Jannelli & Volpi ai non addetti ai lavori, abbiamo organizzato una serie di workshop di 30-40 minuti da svolgere in casa, con un’insegnante di acquerelli.
In che modo è cambiato il modo di comunicare durante la pandemia?
Da un lato, gli investimenti si sono spostati sul digital creando delle nuove opportunità, ma per coglierle bisogna proporre contenuti rilevanti, in modo veloce, per essere adatti al momento. Dall’altro, si sono limitate le possibilità di organizzare grandi eventi. È più utile puntare a creare community più piccole, più selezionate, composte da persone davvero vicine al brand, che lo seguono e lo vivono, stabilendo un legame più duraturo. Durante la pandemia, chi aveva pochi contenuti da condividere non ha lasciato traccia: ora sono importanti anche piccoli gesti ma di valore, non eventi grandi in cui si fa tanto rumore ma non si lascia il segno.
Quali trend si afferemeranno in futuro?
Una formula che stiamo sperimentando con successo è quella della co-lab tra brand e talent, dove l’influcencer viene chiamato nel ruolo di designer e co-autore della comunicazione del marchio con cui si sviluppa una linea di prodotto personalizzata. Inoltre, sta diventando sempre più importante per i brand stare in ascolto delle proprie community e calibrare il racconto rispetto al contesto. Non puoi portare avanti le tue attività incurante di quello che le community stanno vivendo: sia con riferimento alla situazione pandemica, sia a tematiche quali la sostenibilità, la multiculturalità o l’inclusività.
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