“Spesso un attore si sente come un’aragosta viva buttata nell’acqua bollente…” commenta Ryan Gosling. È una battuta che spesso gli piace ripetere, con quell’ironia canadese, talvolta disfattista, ma sempre positiva. Ed, è proprio per questo che, con l’esperienza, ha deciso di divenire imprenditore di se stesso, lavorando pure come produttore, o di valutare ruoli più grandi e commerciali, da alternare ai film indipendenti, di cui è divenuto un’icona. Basti pensare a Drive… “Tutto può essere una sfida, dipende da come ti poni tu e da come ti confronti con essa…” spiega, rivelando un po’ la sua filosofia di vita.
Adesso Ryan è nel nuovo film The Gray Man, blockbuster su Netflix, diretto da Joe e Anthony Russo, i famosi registi di origine italiana che si sono distinti nelle pellicole delle serie sui supereroi di Marvel e che sono tanto amati dal grande pubblico. Oltre a essere un attore di successo, Ryan ha ampliato da subito, da precursore ancor prima che lo facessero altri, i suoi orizzonti, con attività poliedriche.
Si è affermato anche nel canto e nella musica, con un tour nel Nord America nel 2009 con la sua band Dead Man’s Bones, e ha avviato un’impresa commerciale forgiata sulla sua immagine, sostenendo marchi famosi per campagne pubblicitarie. Tra le diverse iniziative di rilievo, ha collaborato per il Super Bowl del 2016 con Hyundai e dal 2021 è brand ambassador di Tag Heuer, per cui si è fatto fotografare indossando il Tag Heuer Carrera. Il suo patrimonio netto al momento è valutato attorno ai 70 milioni di dollari. E, ha sempre saputo farsi pagare bene.
I guadagni di Ryan Gosling
Secondo i dati di Yahoo Finance, ha guadagnato in genere non meno di 2 milioni di dollari a film, ma ha saputo raggiungere cifre ancor più alte quando si è trattato di pellicole più commerciali. Per esempio, ha ottenuto un milione di dollari per The Notebook, quando ancora non era tanto famoso, dai 6 agli 8 milioni di dollari per la commedia romantica Crazy, Stupid, Love e per il musical La La Land, 10 milioni di dollari per Blade Runner 2049 e ha raggiunto il massimo guadagno proprio con l’ultimo film, The Gray Man, con 20 milioni di dollari.
Anche dal punto di vista personale Ryan ci ha tenuto ad avere una situazione stabile, perché ritiene che questo gli dia equilibrio nella sua professione e felicità. Dal 2011 ha una relazione con Eva Mendes, conosciuta sul set di The Place Beyond the Pines, divenuta ora, oltre che modella e attrice, perfino imprenditrice. Eva è il nuovo comproprietario e ambasciatore del marchio Skura Style, un’azienda incentrata sulla cucina con prodotti innovativi per la pulizia. Di recente ha aperto anche la sua casa per raccontare la vita con Ryan. Del resto lei e Ryan sono considerati una delle coppie più stabili a Hollywood. Hanno due figlie e vivono a Los Angeles in una casa in stile bohémien, con un giardino esterno adibito all’agricoltura e a pollai.
Ryan ha inoltre un’altra casa a Los Angeles e una a Buckhead, in Georgia. E ha una collezione di auto d’epoca e convenienti, che non ostenta… È stato visto spesso guidare una Toyota Prius nera e una Chevelle Malibu del 1973, che si vede anche nel film Drive, del 2011. Dal punto di visto filantropico Ryan supporta PETA, Invisible Children e Enough Project e ha viaggiato in Chad, Uganda e nel Congo orientale per creare consapevolezza sui conflitti in quelle zone, posti che per lui sono dimenticati rispetto ad altri.
Nel film The Gray Man recita una spia rouge della CIA e la vediamo in molte scene d’azione.
Ho sempre desiderato fare un film d’azione come questo. Fin da ragazzo pellicole come queste sono state la mia prima vera passione e perfino un motivo per cui mi sono dedicato a questa professione. Ho aspettato fino da ora, perché volevo un ruolo che calzasse a pennello per me e questo lo è. Sono una specie di James Bond “colletto bianco”.
I registi, i fratelli Russo, sono i più famosi al momento per questo genere di film. Ha deciso per questo di partecipare?
Prima di tutto per la storia, perché mi ci sono identificato, il mio personaggio rispetta per certi versi molti miei valori… E, poi, i fratelli Russo sono di certo degli specialisti del genere, amano realizzare progetti così e hanno saputo conquistare il cuore del grande pubblico per questo. Sono veri maestri dell’intrattenimento, sono abili nel creare fantastici momenti di lotta, tensione da thriller, passioni imprevedibili che prendono il sopravvento, nel lasciar addirittura sorridere di tanto in tanto. I loro personaggi sono sempre molto umani, perfino quando sono eroici.
Nel film si confronta con Chris Evans, che ha recitato molti ruoli come Capitan America nelle serie di pellicole Marvel e ha interpretato il suo nemico più grande. Come è stato lavorare insieme?
Ci siamo divertiti molto, specialmente nelle scene di combattimento tra di noi. Stavolta lui aveva la parte del cattivo e credo che anche per lui sia stato qualcosa di diverso.
È nato ed è cresciuto in Canada, ma ha cominciato a lavorare moltissimo fin da tredici anni a Orlando, in Florida, quando fu assunto nel Disney show The Mickey House Club.
Ho sempre desiderato recitare, fin da quando ero bambino. Io e mia sorella fin dall’infanzia cantavamo ai matrimoni, avevamo uno zio che era un intrattenitore e che ci ispirava… Ero introverso e non amavo stare con i miei coetanei, fui vittima di bullismo a scuola. Non ebbi amici fino attorno ai quattordici/quindici anni e cominciai ad averli quando ero avviato nella mia professione e incontrai coetanei con interessi comuni. Ebbi talmente tanti problemi a scuola che mia madre dovette optare per l’istruzione a casa, anche se questa esperienza mi servì a diventare ancora più indipendente e autonomo. A diciassette anni ero già totalmente concentrato sulla mia carriera di attore e artista.
Quando decise che voleva intraprendere questa professione?
Da bambino ero un “piccolo adulto”, pieno di responsabilità, perché quello che mi piaceva maggiormente era proprio lavorare e perché ci tenevo ad aiutare mia madre che era rimasta sola… Ricordo anche il momento esatto quando decisi che volevo essere un attore: era quando guardai il film Dick Tracy. Per togliere il mio accento canadese invece imitavo la voce di Marlon Brando… Anche lui fu una grande fonte di ispirazione…
Il grande successo arrivò nel 2004, quando recitò nel film romantico The Notebook…
Sarò sempre grato a quella pellicola che racconta una magnifica storia d’amore. Alla fine anch’io sono un romantico, proprio come il personaggio di quella storia. Ma dal punto di vista della mia carriera non volevo rimanere “imprigionato” in una categoria di film, per questo ho preferito sperimentare, per crescere come attore e persona. E, anche produrre era fondamentale per me. Perché sapevo che mi avrebbe dato la possibilità di lavorare con le persone con cui volevo e che avrei potuto realizzare progetti ancora migliori. Sapevo che era rischioso, ma, in fondo, se non si accettano le sfide, e i rischi, non si cresce. Una volta si vince, una volta si perde, di sicuro si impara.
Con lo stesso spirito ha voluto anche dedicarsi alla regia con il film Lost River, nel 2014…
Ci sono film che hai dentro e fai, perché sai che li devi fare. Questo era uno di quei progetti, ispirato anche alla mia storia, dato che sono cresciuto con mia madre e mia sorella e tra non pochi ostacoli. I miei genitori divorziarono quando io avevo tredici anni. Il mio intento è stato sempre dividermi tra produzioni indipendenti e sperimentali – come era stato per Blue Valentine, nel 2010, dove ero stato pure produttore esecutivo – e che mi davano la possibilità di confrontarmi con il mio talento recitativo, e film più commerciali, che mi offrivano sicurezza e allo stesso modo erano esperienze utili.
Sarà anche nel prossimo film di Derek Cianfrance, un regista con cui ha lavorato diverse volte, The Wolf Man, e in Barbie, insieme a Margot Robbie…
Derek è un amico e con lui lavorare è come improvvisare, è una delle persone più creative che conosca e lavorerò sempre con lui. È un regista indipendente e quindi penso che il mio personaggio avrà un’anima e di certo sarà diverso da tutto quello che si è visto fino ad adesso. Inoltre il carattere del lupo mannaro mi ha sempre appassionato, fin da quando ero ragazzo,… Era qualcosa sulla “lista” delle cose che volevo fare. Per quanto riguarda invece Barbie, in cui mi hanno dato il ruolo di Ken, posso dire che è un’esperienza alquanto surreale, di certo interessante. E, divertente.
Lei è anche proprietario da tempo di un ristorante a Beverly Hills, il Tagine Restaurant, insieme allo chef e a un altro amico.
Provai la loro gastronomia marocchina durante un catering sul set e ne rimasi da subito ammaliato. Decisi di aprire il ristorante nel 2004, quando stavo anche valutando cosa fare nella mia esistenza. Fu una decisione puramente istintiva, perché vi investii tutti i miei risparmi e vi lavorai io stesso per dodici mesi. Non tutto è sempre filato liscio nella mia carriera d’attore, c’è stato un periodo in cui non sapevo più quello che volevo fare… Il ristorante è comunque andato sempre bene e sono felice di aver rischiato e di essermi buttato in questa nuova impresa.
Su quali valori basa la sua etica lavorativa?
Prima di tutto viene la mia famiglia. Al momento sono di nuovo circondato da donne, da Eva, la mia compagna, e dalle mie figlie, come quando sono cresciuto con mia madre e mia sorella… (Sorride, ndr.) E, poi credo nelle storie positive e nel duro lavoro. Le storie ispirano e sono capaci di far diventare i sogni realtà, sono gli occhi dell’umanità stessa e del suo futuro e sono uno strumento di apprendimento per progredire.
C’è una storia che l’ha ispirata particolarmente?
È difficile scegliere, perché tutte hanno un loro carattere e punto d’interesse. Ma, forse, quella che ha lasciato un segno profondo per me è stato quando ho recitato Neil Armstrong in First Man di Damien Chazelle, il regista con cui ho lavorato anche in La La Land. Ho vissuto il dramma di un uomo che doveva spiegare alla sua famiglia che sarebbe andato sulla Luna con tutti i rischi che ciò comportava. Ho fatto ricerca alla Nasa, tra scienziati e astronauti, immagini dello spazio che mi hanno portato a entrare in un universo fino ad allora a me sconosciuto, a vedere le cose sono un’altra dimensione. È stato un viaggio incredibile: guardare le stelle aiuta a confrontarsi con se stessi.
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