“L’Italia sta vivendo un inverno demografico e uno sociale. La somma dei due inverni comporterà squilibri strutturali di medio e lungo periodo di preoccupante gravità dal punto di vista economico, sociale, di competenze, di capacità di innovazione. Inoltre, è troppo bassa la partecipazione femminile al mercato del lavoro”.
Riccardo Di Stefano, siciliano, classe 1986, parla da presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria. D’altra parte, ricopre questo ruolo di responsabilità sociale e istituzionale dal 2020. Ed è stato proprio grazie al confronto con il Movimento dei giovani imprenditori che Di Stefano ha deciso di proseguire il proprio percorso imprenditoriale, dopo essere entrato nel cda della Officina Lodato, fondata dal nonno nel 1957 nel settore dell’impiantistica, dando vita alla propria attività, Meditermica, attiva nel settore delle forniture all’ingrosso di materiale termoidraulico per aziende e operatori del settore.
Ma torniamo all’assunto iniziale. Come si fa a sconfiggere i due inverni?
È cruciale che donne e giovani vengano immessi nel mondo del lavoro e che si investa con forza su lavoro, competenze e innovazione. Ci sono tante cose da fare, fra cui: 1) rafforzare il Family act per le famiglie a basso e medio reddito dismettendone il principio universalistico; 2) liberare le donne dagli oneri di cura con un mix di misure, anche non economiche, che incentivino modelli alternativi di accudimento; 3) superare le distinzioni uomo/donna nell’accesso alle tutele, per una parità finalmente sostanziale, ed estenderle a tutti i genitori con redditi medio-bassi attraverso formule adeguate a sostenere in maniera condivisa e responsabile i costi; 4) riformare le politiche attive del lavoro; 5) investire nelle competenze lungo tutto il percorso di vita, dalla formazione di base ai dottorati: per aumentare la produttività, per favorire la mobilità fra settori, per trasformare la ricerca in prodotti e processi.
Detto così sembra quasi essere un manifesto politico.
È la nostra visione per costruire una società che progredisce su basi economiche e sociali più solide ed eque. A cui si deve affiancare un nuovo progetto di politica industriale 5.0, che combini digitale e green, perché davanti all’Italia e all’Europa c’è una sfida enorme: scegliere se essere protagonisti delle rivoluzioni tecnologiche o acquirenti di tecnologie altrui. Dobbiamo quindi scardinare nuove trappole della dipendenza in materie prime e tecnologie. Non possiamo più ignorare la nostra posizione di svantaggio tecnologico rispetto a Stati Uniti e Cina. Sia l’attualità geoeconomica che i megatrend globali richiedono un cambio di passo rapido e deciso nella direzione di un forte sviluppo tecnologico.
La soluzione?
Investire nelle tecnologie chiave abilitanti in stretta collaborazione pubblico-privato e in ricerca, sviluppo e innovazione in modo costante e consistente per trasformarli in prodotti, processi e servizi innovativi. I giovani sono in prima linea con progetti dedicati alla nascita di nuove imprese, innovazione dal basso e open innovation. Per questo abbiamo creato Talentis, con cui inseriamo le startup in processi di upscaling e affiancamento ad imprese mature.
Vale anche per la crisi energetica?
Dobbiamo trasformare questa crisi energetica in un nuovo modello di sviluppo. L’occasione per ripensare i nostri modelli di approvvigionamento, produzione e consumo. Le tecnologie digitali saranno fondamentali per ottenere l’efficienza energetica. Ad esempio: possono aumentare l’interconnettività tra i mercati; fornire i dati necessari all’incontro di domanda e offerta di energia a livello disaggregato e in tempo reale; facilitare la produzione e la domanda di energia adeguando i consumi alle condizioni meteorologiche che incidono sulla produzione di energia rinnovabile. E non è tutto: l’analisi di big data potrebbe permettere un maggiore controllo dei consumi nelle abitazioni e quindi scelte più efficienti.
Giusto parlare di energie rinnovabili, ma intanto siamo in piena crisi.
L’Italia, e in particolare il Sud, può diventare l’hub energetico del Mediterraneo, ma occorre una visione oggettiva del percorso di transizione. Ci aspettiamo, quindi, un cambio di approccio e il superamento di ideologie, estremismi e ipocrisie. Occorre lavorare velocemente e bene, superare la politica dei ‘no’ che con i suoi veti incrociati blocca le infrastrutture strategiche. Gli obiettivi di decarbonizzazione ed economia circolare possono essere raggiunti, infatti, solo puntando su tutte le leve tecnologiche. Dobbiamo quindi accelerare le procedure per la costruzione o l’esercizio di impianti per le fonti rinnovabili, termovalorizzatori e rigassificatori per rendere più competitivo il nostro mix energetico, anche investendo sulla ricerca per il nucleare di ultima generazione. E poi c’è l’idrogeno. Se ne parla ancora troppo poco, nonostante anche in Italia stiano prendendo corpo nuove iniziative come i poli dell’idrogeno in Piemonte, Friuli-Venezia-Giulia, Umbria, Basilicata e Puglia.
All’Italia occorre una strategia di sviluppo che punti su innovazione e infrastrutture digitali e materiali.
Sì. Le transizioni verde e digitale, la crisi climatica, la crisi energetica sono trasformazioni troppo grandi per essere affrontate con vecchi strumenti e vecchie idee. Non abbiamo né tempo né risorse da perdere. Ogni sforzo delle istituzioni, delle imprese e dei corpi intermedi deve essere orientato ad affrontare questa congiuntura e a trasformarla nella più grande occasione di sviluppo che il Paese abbia conosciuto dal dopoguerra. È necessario che il governo, attraverso il Pnrr, continui con determinazione sulla strada aperta dalle imprese italiane, campionesse europee di sostenibilità. Investimenti, infrastrutture fisiche e digitali, rimozione degli ostacoli amministrativi: occorrono politiche industriali per rafforzare le filiere produttive ad alto valore aggiunto e costruirne di nuove. Filiere resilienti e innovative, in grado di progredire e trasformarsi in tempi e modalità tali da assicurare non solo sostenibilità ambientale, ma anche sociale ed economica.
Fin qui il Di Stefano presidente. Ora il Riccardo imprenditore.
Il mio percorso non è quello tipico di un figlio di imprenditore: mio padre è colonnello dell’Aeronautica. Aveva delle remore verso un mio percorso imprenditoriale, che era invece di mio nonno materno. Il nonno, Antonino Lodato, era imprenditore nel settore dell’impiantistica. Alla sua morte, improvvisa, stavo conseguendo un dottorato in economia ed ero un manager nel settore della formazione. La governance dell’azienda è passata a mia madre e mia zia. Successivamente sono entrato nell’azienda di famiglia, affiancandole. Posso dire che siamo un caso vincente di convivenza generazionale: ho iniziato un percorso di innovazione dell’azienda spostandola dal mondo classico delle costruzioni a quello di riqualificazione energetica, sostanzialmente abbandonando l’edilizia per passare alla progettazione e l’ingegneristica, temi ormai sempre più centrali.
Quando hai scelto di dedicarti all’azienda di famiglia?
Sono entrato nell’attività di famiglia in un momento di crisi, insieme a mio fratello che si occupa prevalentemente della business unit immobiliare. Poi, risalendo la filiera, ho fondato Meditermica, azienda di forniture termoidrauliche di cui sono amministratore. Attualmente sto investendo nel settore dell’It perché credo nelle potenzialità di questo mercato per l’Italia e soprattutto il Sud. Con le corrette politiche pubbliche, l’It può contribuire fortemente alla costruzione di filiere ad alto valore aggiunto e ad aumentare l’occupazione nel Mezzogiorno.
Che rapporto hai con i collaboratori?
Positivo e costruttivo. Da noi convivono e collaborano diverse generazioni con un unico obiettivo: ampliare il valore dell’impresa e rafforzarla per i nuovi cicli espansivi. Alcuni nostri collaboratori sono gli stessi che lavoravano con mio nonno e andranno in pensione il prossimo anno dopo 42 anni di lavoro nell’azienda di famiglia.
Quante ore lavori al giorno?
Lavoro il giusto. Anche mia moglie è un’imprenditrice, insieme abbiamo una bimba e per questo conciliamo i tempi di vita e di lavoro.
Tu dove vivi?
Vivo fra Roma e Foligno e vado a Palermo tutte le settimane. La mia azienda ha sede a Palermo e a Roma ma il core business è in Sicilia, dove ho anche il maggior numero di dipendenti.
Hai hobby?
Amo molto leggere e, pur avendo poco tempo a disposizione, mi ci dedico appena posso.
All’associazionismo come ci arrivi?
Per la necessità di confronto. L’imprenditore è molto solo e trovare un luogo dove scambiare esperienze e strumenti di business con chi fa la stessa vita è stato da subito molto utile. I Giovani imprenditori sono un network dove si condividono valori, obiettivi, strumenti ed expertise.
Cosa ti ha dato questa esperienza?
Ho investito tempo e ho raccolto molto. Questa esperienza mi ha regalato una visione completa della parte produttiva del Paese e mi ha permesso di capirne tutte le potenzialità. Non viene raccontato abbastanza delle storie di successo in Italia.
Come ti immagini l’Italia di domani?
Un Paese laborioso e innovativo dove le imprese potranno continuare a produrre beni leader sui mercati mondiali. La manifattura italiana ha superato la crisi del 2008, la pandemia e regge nonostante la crisi energetica. Ma non possiamo accontentarci di sopravvivere, dobbiamo ambire a crescere. È cruciale che l’Italia riparta dall’industria, dai suoi giovani e dalle sue donne, dal Mezzogiorno. Che torni a crescere in maniera robusta e che inverta la rotta dell’inverno demografico che stiamo vivendo.
Gli immigrati ci salveranno?
Il lavoro ci salverà, perché il miglior modo per integrare è il lavoro. Lavoro che è alla base del patto sociale, di cui gli immigrati devono far parte. Abbiamo poi troppi Neet (Not [engaged] in Education, Employment or Training, ndr) e troppe donne fuori dal mercato del lavoro. Se aumentasse il tasso di occupazione femminile, che nel 2021 era il 49,4%, fino a portarlo ai livelli di quello maschile, 67,1%, il Pil italiano potrebbe aumentare di circa il 12.4%. Far accedere 3,3 milioni di donne al mercato del lavoro deve diventare un obiettivo da perseguire con tutti i mezzi a disposizione, non una mera dichiarazione di intenti.
Questo Paese è stato costruito da persone come te, però 80 anni fa. Dov’è la differenza tra te e tuo nonno?
Quegli uomini erano temprati dalle sofferenze e da un senso di riscatto che sono difficili da replicare. Dopo le guerre ci sono stati degli scatti di crescita che derivavano dalla voglia di riscattarsi dal bisogno e dalla sofferenza. Ma oggi abbiamo un accesso alla conoscenza, alla formazione e all’innovazione che i nostri nonni potevano solo sognare. Non dobbiamo sprecare queste opportunità.
Quali sono i limiti del Sud?
Una classe dirigente inadeguata, troppi anni di disinvestimento in termini economici e politici. Il Sud va ripreso come all’epoca è stato fatto per la Germania Est. Il Paese non crescerà se metà della sua popolazione e del suo territorio resteranno indietro.
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