“Gli investimenti in ricerca e sviluppo di farmaci, negli ultimi 20 anni, sono cresciuti di cinque volte in Europa. Sembra molto, ma nello stesso periodo negli Stati Uniti sono aumentati di nove volte e mezzo. Un altro tema è quello della tutela della proprietà intellettuale, che si è accorciata a 11 anni di media. In generale, la quantità di fondi destinati alla sanità e alla farmaceutica non ha tenuto il passo con l’innovazione”. La fotografia del momento dell’industria farmaceutica europea è di Louise Houson, dirigente del gigante americano Msd. Britannica, laureata a Oxford, Houson è in Msd dal 1997. È senior vice president e, da gennaio, presidente per la regione Core Europe and Canada (Cer).
Una delle caratteristiche del mercato europeo è la regolamentazione comune a tutti i paesi dell’Unione. Quali sono le implicazioni?
Da un lato è un vantaggio. Il problema è che i tempi di approvazione si allungano. L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) impiega, in media, 426 giorni per un processo di approvazione, contro i 244 della Food and Drug Administration, il suo corrispettivo statunitense. Anche i tempi di accesso ai mercati sono più lunghi: un farmaco oncologico impiega 545 giorni – un anno e mezzo – per arrivare ai pazienti. E in Italia, ai tempi di autorizzazione dell’Ema e dell’Agenzia italiana del farmaco si aggiungono anche quelli delle regioni.
Presto arriverà la Strategia farmaceutica per l’Europa, un nuovo quadro normativo. Che conseguenze avrà?
Potrebbe essere un’opportunità unica per garantire al continente tutti i benefici di una scienza all’avanguardia. A due condizioni: la Strategia dovrà aiutare a rispondere in fretta alle necessità dei pazienti e garantire che l’Europa resti leader nell’innovazione farmaceutica. Potrebbe essere l’occasione per migliorare in tante piccole cose, come la digitalizzazione dei foglietti illustrativi. Bisognerà assicurarsi che le risorse destinate alla sanità siano adeguate. E insisto sulla necessità di tutelare la proprietà intellettuale e darle il giusto valore. Per raggiungere questi traguardi, governi e industria devono lavorare assieme.
Come può avvenire questa cooperazione?
Bisogna confrontarsi e capire quali sono gli obiettivi da raggiungere in campo sanitario. Per molti governi è ridurre l’incidenza del cancro, per esempio. Per alcuni è la prevenzione, per altri la salute mentale. È importante concordare sulle priorità e lavorare per obiettivi comuni.
I governi devono trovare un equilibrio tra gli incentivi per chi innova e le necessità di bilancio. Come possono conciliare queste esigenze?
Prima di tutto bisogna considerare che in molti paesi il livello di spesa nella sanità non aumenta da anni, nonostante la popolazione sia sempre più anziana, proprio grazie ai progressi della medicina. Eppure, persone più anziane usano di più il sistema sanitario. Quando si tratta di tagliare, poi, le spese destinate ai farmaci sono un bersaglio facile. È molto più difficile intervenire sulle infrastrutture o sulle inefficienze del sistema. È dimostrato che puntare su farmaci che migliorano e allungano la vita, invece, è un ottimo investimento. Buoni programmi vaccinali, per esempio, prevengono molte spese che diventerebbero necessarie in futuro. E poi persone in forma e sane hanno un impatto enorme, anche se difficile da quantificare, sull’economia degli stati.
Molti paesi, però, continuano a trattare la spesa per i farmaci e i vaccini come un costo, più che come un investimento. Si può cambiare questa mentalità?
Penso che le persone siano disposte a cambiare idea quando si presentano loro le prove, che in questo caso esistono. Si è calcolato che investire un euro in un programma di vaccinazioni per bambini porta un ritorno fino a 44 euro in malattie scongiurate. Uno studio sui trattamenti cardiovascolari ha rilevato che una spesa pro capite di 24 dollari in nuove medicine ne fa risparmiare 89 di costi ospedalieri. Del resto i prodotti farmaceutici che arrivano sul mercato sono sottoposti all’health technology assessment, una procedura che, tra le altre cose, valuta anche se l’investimento è giustificato dai benefici che si portano alla popolazione.
Msd lavora anche sui vaccini. Nel 2020 l’Assemblea mondiale della sanità, l’organo legislativo dell’Oms, ha adottato una strategia per accelerare l’eliminazione del cancro della cervice uterina. Sconfiggere l’Hpv, il virus che causa il tumore, è un obiettivo realistico?
Non spetta a me dire se l’obiettivo sia realistico o meno. Preferisco, invece, affidarmi alle parole del direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus: ‘Eliminare questi tipi di cancro, fino a pochi anni fa, sembrava un sogno impossibile, ma oggi abbiamo opzioni costo-efficaci e basati su evidenze scientifiche che possono trasformare il sogno in realtà’. La strategia globale dell’Oms per accelerare l’eliminazione del cancro della cervice prevede tre fasi: vaccinazione, screening e trattamento. Un’applicazione efficace di queste tre fasi potrebbe ridurre di oltre il 40% i nuovi casi di tumore ed evitare cinque milioni di decessi correlati entro il 2050.
Oltre all’oncologia e ai vaccini, a quali altri campi guardate per il futuro?
La nostra è un’organizzazione fondata sulla ricerca. Di conseguenza, anche se siamo più specializzati in alcune aree che in altre, seguiamo la scienza. Abbiamo un robusto portafoglio in fase di sviluppo nel campo delle malattie cardiovascolari. Facciamo ricerca sulle neuroscienze, dove ci sono molte esigenze insoddisfatte. E poi non abbandoneremo la ricerca sull’oncologia e sui vaccini.
Che cosa rappresenta l’Italia per una compagnia farmaceutica globale come la vostra?
Msd Italia è una delle nostre prime dieci consociate e, quindi, riveste per noi una grandissima importanza. Penso che Msd sia un’azienda strategica per il vostro sistema paese. Lo scorso anno abbiamo investito in Italia circa 500 milioni di dollari in diverse collaborazioni, in maniera capillare su tutto il territorio, con molte realtà industriali e di servizi e con cmo italiane. Prevediamo un aumento esponenziale nei prossimi anni, sostenendo la produzione farmaceutica in diverse aree terapeutiche. Sempre in Italia, abbiamo investito 70 milioni di euro in ricerca clinica (circa il 10% della spesa complessiva nel paese), con 140 protocolli e quasi 800 siti coinvolti. Msd Italia è poi un grande esempio di diversità, equità e inclusione, con una donna presidente e amministratrice delegata, Nicoletta Luppi, il 50% del leadership team e della forza manageriale femminile e circa il 70% delle promozioni e assunzioni destinate alle donne. E in Italia, come in tutto il mondo, siamo tra le poche aziende ad aver eliminato il divario retributivo di genere. Sono questi alcuni dei fattori che hanno permesso a Msd Italia di essere nominata da Great Place to Work come migliore azienda presso la quale lavorare nel paese.
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