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Dal ruolo delle pmi alla riforma fiscale: l’intervista al presidente di Anpit Federico Iadicicco

Federico Iadicicco, nato a Roma nel 1974, è un imprenditore vitivinicola e ricopre dal 2014 il ruolo di presidente della Associazione Nazionale per l’Industria ed il Terziario, Anpit.

Da sempre si batte per un fisco più equo per imprese e lavoratori, e da poco ha organizzato una tavola rotonda sulla riforma fiscale.

L’evento si è tenuto il 25 marzo a Roma presso Palazzo Wedekind e ha visto la presenza di Leo, viceministro del Mef, di Misiani, vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato e di Osnato, presidente Commissione Finanze della Camera. Presenti anche gli ordini professionali, il terzo settore, l’università e le associazioni sindacali e datoriali.

All’inizio del suo percorso imprenditoriale già pensava di poter rappresentare al livello nazionale le pmi? E cosa è cambiato tra l’essere imprenditore e il rappresentare gli imprenditori?

Fino al 2012 non pensavo alla rappresentanza imprenditoriale, sono stati amici imprenditori a coinvolgermi in Anpit che era stata fondata da poco. Dal 2014 ne sono presidente e ormai da anni dedico almeno l’80% del mio tempo all’associazione. Quando fai solo l’imprenditore, pensi al benessere della tua azienda; facendo il presidente di una associazione datoriale, cambia la prospettiva. Non pensi solo a te stesso ma a tutti gli altri datori di lavoro e anche oltre: la visione deve essere agli interessi diffusi del paese.

Nel passato lei ha ricoperto anche il ruolo di vice presidente vicario nella Commissione Cultura di Roma Capitale, come questo ha influito per fare il presidente di Anpit?

Io sono stato eletto consigliere provinciale nel 2008 e lo sono stato fino al 2012. Poco dopo gli imprenditori che avevano dato vita ad Anpit mi hanno coinvolto proprio perché immaginavano che avessi le capacità relazionali per svolgere queste attività. La politica è stata sicuramente un’esperienza importante. Ho anche imparato quanto sia importante il ruolo dei corpi intermedi per questa.

Anpit ha il proprio Centro Studi Articolo 46, è promotore di Obses e membro di Svimez, quanto è importante per lei avere un confronto diretto con il territorio?

Sono convinto che la vera differenza si fa sul territorio facendo in modo che le aziende portino benessere alle comunità e siano veicolo di sostenibilità. E sono convinto che attraverso i contratti di secondo livello si possa creare un grande coinvolgimento dei dipendenti, sia come chiave di competitività che di sostenibilità sociale. Questa mia convinzione personale è chiara in due libri che ho scritto in tal senso: Santi eroi imprenditoriStorie di mestieri e comunità e Delle Cose NuoveOltre il globalismo e il sovranismo. L’impresa come comunità è il perno di un nuovo capitalismo sostenibile.

Come presidente di Anpit, come vede il presente e il futuro delle pmi italiane?

Siamo in periodo complesso, usciti da una pandemia ed entrati in una guerra. Però, al contrario di come si ritiene spesso, io credo che le piccole e medie imprese italiane non siano un punto di debolezza per il Paese, ma di forza. Innovando e costruendo economie di rete, possono essere competitive a livello internazionale. Possono anche fare da argine allo strapotere dei grandi agglomerati e avere una funzione di ridistribuzione della ricchezza con buone politiche di welfare e di inclusività dei loro dipendenti.

Anche alla luce della tavola rotonda che avete organizzato il 25 marzo scorso, cosa ne pensa della riforma fiscale ormai alle porte?

Serve una riforma strutturale, sicuramente non sono i bonus una tantum la soluzione. Così siamo contenti che la riforma stia prendendo forma e ci sembra che vada nella giusta direzione. Ci auspichiamo la diminuzione della pressione fiscale per le persone fisiche, grazie alla semplificazione dell’Irpef con l’accorpamento degli scaglioni e l’abbassamento delle aliquote. Secondo noi di Anpit, è giusto iniziare dai redditi più bassi, ma nel lungo periodo si deve arrivare a una tassazione non oltre il 40% anche per i redditi più alti. In particole si deve passare dalla tassazione sulla persona a quella sul nucleo familiare. Questo aiuterebbe anche ad arginare la crisi demografica che renderà altrimenti insostenibile il nostro sistema economico. Quanto alle imprese, proponiamo di abolire l’Irap e ridurre l’Ires agganciandola agli investimenti. Chi reinveste gli utili deve pagare meno tasse. Ci sarebbe poi da colpire la speculazione finanziaria, infatti è ingiusto che chi guadagna solo muovendo soldi paghi meno tasse di chi crea ricchezza e occupazione sul territorio.

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