Niraj Shah Wayfair
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Il miliardario fondatore di Wayfair vuole tornare all’antico: “Bisogna lavorare tante ore, la pigrizia non porta al successo”

“Lavorare tante ore, essere sempre pronti, mischiare il lavoro e la vita privata non sono cose da cui rifuggire. Non ci sono molti precedenti di pigrizia che viene premiata dal successo”. Niraj Shah, amministratore delegato miliardario di Wayfair, un e-commerce statunitense di mobili e prodotti per la casa, si è rivolto così ai dipendenti in una lunga e-mail. Un messaggio che, secondo il Wall Street Journal, è condiviso da molti dirigenti d’azienda.

Che cosa ha scritto Niraj Shah

Shah, che ha fondato Wayfair nel 2002 a Boston assieme a Steve Conine, suo compagno di università, e l’ha portata a 12 miliardi di ricavi nell’ultimo anno, ha scritto che l’azienda è “tornata a vincere” dopo un periodo di difficoltà. Dopo i risultati record dei primi mesi della pandemia, la società è entrata in crisi, è arrivata a perdere 283 milioni di dollari nel terzo trimestre del 2022 e ha tagliato più volte il personale. “Vincere richiede duro lavoro”, ha avvertito Shah.

“Avrete sentito parlare dei Nirajismi, frasi che iniziano con ‘Niraj ha detto’”, ha scritto in un altro passaggio. “Ciò che mi delude è che la maggior parte di quello che sento non è vera, o è vecchia e non più applicabile, o viene presa fuori contesto. La frase a cui voglio fare riferimento qui è: ‘Niraj ha detto che non pensa che dovremmo lavorare fino a tardi’. Ritengo che questo sia ridicolmente falso. Il duro lavoro è essenziale per il successo ed è un elemento chiave per ottenere risultati”.

Quanto al bilanciamento tra vita privata e professionale, Shah ha aggiunto che “tutti meritano una grande vita personale, ma ciascuno la gestisce a modo suo. Le persone ambiziose trovano modi per mescolare le due cose e bilanciarle. Penso che dovremmo farlo tutti”.

“Distruggiamo un mito”

Dopo l’era delle grandi dimissioni, del quiet quitting (fare il minimo indispensabile per non essere licenziati) e dell’attenzione al bilanciamento tra vita privata e vita professionale, secondo il Wsj molti dirigenti condividono l’appello al ritorno all’antico lanciato da Shah. Lo dimostra la retromarcia di tanti sullo smart working. Già a inizio 2021 alcune grandi società di Wall Street hanno cominciato a riconvocare i dipendenti in ufficio, poi è toccato ad aziende tecnologiche come Apple, Meta e Google.

La restaurazione auspicata da Shah, però, si scontra non solo con una nuova sensibilità, ma anche con gli studi che hanno messo in discussione l’idea che lavorare di più renda più produttivi. L’ultimo è quello condotto dal Workplace Lab di Slack, che ha intervistato diecimila persone e ha rilevato che chi stacca all’orario previsto dal contratto è più produttivo del 20% rispetto a chi si sente costretto a lavorare fino a tardi. “È opinione comune che per produrre di più basti lavorare di più”, ha detto Christina Janzer, senior vice president of research and analytics e capo del Workforce Lab. “Abbiamo l’occasione di distruggere questo mito. Più ore non significano per forza maggiore produttività”. In particolare, il 75% degli intervistati ha riscontrato un calo della produttività tra le 15 e le 18.

Il rebus della produttività

Tony Guadagni, senior principal della società di consulenza Gartner, ha spiegato a Bloomberg che per i cosiddetti lavoratori della conoscenza, cioè quelli che operano sulla base di competenze teoriche e specialistiche, misurare la produttività è molto difficile. “Qualcuno può avere una buona idea, capace di cambiare le sorti di un’azienda, nel giro di 15 minuti, in una settimana in cui non ha lavorato affatto”, ha detto.

Lo stesso articolo di Bloomberg cita Matthew Walker, professore dell’università di Berkeley. Nel libro Why We Sleep (‘Perché dormiamo’) Walker ha citato varie ricerche per dimostrare che molte delle qualità più apprezzate dagli amministratori delegati, come la creatività, la motivazione, l’intelligenza, lo spirito di collaborazione e l’efficienza, vengono “sistematicamente distrutte” dall’insufficienza di sonno. “In molte culture aziendali resta un’arroganza forzata, ma consolidata, sull’inutilità del sonno”, ha scritto Walker.

Che cosa dicono gli scienziati

L’ultima ricerca del Workforce Lab di Slack conferma ciò che gli studiosi dicono da tempo. Ruo Shangguan, docente della Jinan University, ha svolto una ricerca sui dipendenti di uno studio di architettura e ha stabilito che “l’eccesso di lavoro ha provocato un calo della produttività” e “il troppo lavoro dei membri chiave del team non solo riduce la produttività, ma incrementa la frequenza dei difetti di progettazione”. Un altro studio coordinato da Eric Roberts dell’università di Stanford ha stabilito che, tra i programmatori di software, “l’eccesso di lavoro conduce a una diminuzione della produzione”.

Il fenomeno non riguarda solo i lavoratori della conoscenza. John Pencavel, un altro professore di Stanford, ha analizzato il rendimento degli operai dell’industria bellica durante la Prima guerra mondiale e ha concluso che “il rapporto tra ore di lavoro e produttività non è lineare”: oltre una certa soglia, la produttività cresce in modo sempre più lento. “Chi lavora a lungo”, inoltre, “può accusare fatica o stress che non solo riducono la produttività, ma aumentano la probabilità di errori, incidenti e malattie che causano costi per il datore di lavoro”.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha rilevato che lavorare 55 ore o più a settimana, anziché 35 o 40, aumenta del 35% il rischio di ictus e del 17% il pericolo di morte per malattie cardiache. Gallup ha stimato che il burnout – lo stress cronico dovuto al lavoro, caratterizzato dalla sensazione di esaurimento delle energie fisiche e mentali – costa 322 miliardi di dollari all’anno alle aziende di tutto il mondo.

Che cosa fanno le aziende e i governi

Anche alla luce di queste ricerche, aziende e governi hanno avviato esperimenti per ridurre l’orario lavorativo. In Italia, gruppi come EssilorLuxottica, Intesa Sanpaolo, Sace e Lamborghini sono partiti con programmi sulla settimana di quattro giorni. Paesi come Islanda, Spagna, Portogallo, Belgio e Giappone hanno lanciato proposte e programmi pilota a livello nazionale.

Il principale esperimento è stato in Gran Bretagna e ha coinvolto 2.900 lavoratori di 61 aziende. È emerso che lavorare un giorno in meno a settimana riduce i livelli di ansia, fatica e disturbi del sonno, migliora la salute mentale e fisica e aiuta a bilanciare meglio vita professionale e incombenze domestiche. Le persone che hanno lasciato le aziende durante l’esperimento sono diminuite del 57%, il totale dei giorni di malattia è calato di due terzi. Quanto ai risultati economici, secondo Autonomy, la società di ricerca che ha elaborato i risultati, i ricavi delle aziende sono aumentati in media dell’1,4%.

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