L’Università Sapienza gli ha messo in tasca una laurea in lettere moderne. Roma, la sua città, gli ha offerto un lavoro: l’affittacamere. “Sei bravo”, gli diceva il professore, “fai il dottorato”. Ma lui all’epoca già faceva i primi check-in. Lorenzo (nome di fantasia) ha sempre lavorato, anche con impieghi umili, come il cameriere. Accoglieva turisti nelle case su Airbnb, poi ha conosciuto un signore che gli ha fatto gestire più appartamenti. Dopo due anni la rete si è allargata. Oggi Lorenzo guadagna bene: d’estate anche 6mila euro al mese. “Lordi”, precisa. D’inverno meno. “Ma sei bloccato a Roma, reperibile a ogni ora. I turisti sono imbranati: si chiudono dentro casa, non sanno accendere l’aria condizionata. Ti chiamano e tu devi correre”.
Francesco (altro nome di fantasia) sta dall’altra parte della barricata: il vero privilegio. Ha ereditato due case nel centro di Roma, di metratura perfetta per Airbnb: due camere da letto, un salotto, due bagni. Le fa gestire a un amico che le tiene sempre piene. “Con gli affitti brevi guadagno più del doppio, anche al netto di tasse e della quota del 30% che va al mio amico”. Nel suo caso, Airbnb lo ha svincolato da Roma. Vive in Messico, Baja California, e medita di aprire un bar o un ristorante. Ecco due storie ordinarie che raccontano le possibilità, ma anche gli effetti collaterali, del nuovo turismo.
Gli affitti introvabili nei centri storici
Le case vacanza sono molto più redditizie delle locazioni a lungo termine. Secondo l’ultimo report Nomisma, pubblicato a giugno 2024, gli affitti brevi a Roma – ma anche a Napoli, Milano, Torino e Bologna – rendono grosso modo il doppio rispetto ad alternative tradizionali. Più la città è piccola e turistica, più lo scarto aumenta. La redditività è più alta del 100% a Palermo. È quasi tripla a Firenze e più che tripla a Venezia. Ecco l’effetto collaterale: nei centri storici non si trovano più case in affitto per la gente del posto. E quando si trovano, hanno canoni maggiorati per competere con gli Airbnb. La saturazione del centro fa crescere gli affitti a lungo termine in altri quartieri, con un danno ovvio per i residenti, spinti in zone più periferiche.
Questo sembra proprio l’andamento del centro di Roma. Secondo il bollettino statistico del Comune, tra il 2016 e il 2021 la popolazione del primo municipio è diminuita di oltre il 5%, uno dei cali più forti tra le varie zone della città. Al contrario, le uniche due aree dove la popolazione è cresciuta sono quelle più periferiche: il nono municipio, che grosso modo corrisponde al quartiere Eur, e il settimo, nella zona sud-est della città. Il calo di residenti del primo municipio coincide proprio con la crescita degli affitti brevi. Secondo i dati raccolti dalla piattaforma InsideAirbnb al 15 luglio 2024, a Roma ci sono più di 32.200 annunci di affitti su Airbnb, e oltre il 50% è concentrato nel primo municipio.
L’ecosistema di Airbnb ha creato i propri stakeholder: turisti, proprietari e gestori di case. Va trovato un equilibrio con chi ha interessi contrapposti, come i residenti. L’attrito, per certi versi, ricorda quello con altre lobby, tipo tassisti e balneari. Ad esempio la nuova sindaca di Firenze Sara Funaro, eletta dal centro-sinistra, vorrebbe limitare gli affitti brevi, riproponendo una norma del suo predecessore, Dario Nardella (sempre centro-sinistra). Il 30 luglio il Consiglio comunale di Firenze ha approvato lo stop. In sostanza un blocco di nuove locazioni Airbnb nella zona Unesco, il cuore del centro storico. Così come protegge tassisti e balneari, la destra si è schierata contro. La ministra Santanchè ha detto: “La scelta di fare cosa si vuole in casa propria deve essere libera. Regolamentare sì, ma non mortificare la proprietà privata”. Adesso il Comune si aspetta una guerra di carte bollate e ricorsi al Tar.
Il caso spagnolo
Gran parte dell’Europa è percorsa dalla stessa tensione. Anche a Lisbona le autorità cittadine hanno sospeso le nuove licenze per gli affitti brevi. Barcellona vorrebbe essere ancora più drastica: ha promesso di chiudere entro il 2028 i suoi diecimila appartamenti in stile Airbnb, che rappresentano il 40% dei posti letto per i turisti.
Proprio la Spagna è al centro di queste contraddizioni: da una parte ha beneficiato tantissimo del turismo, facendone un’industria di massa fin dagli anni ‘70; dall’altra molti abitanti nei luoghi più battuti si dichiarano esasperati. Immaginatevi di essere un americano seduto al tavolino di un ristorante di Barcellona. Sono le tre di pomeriggio e la temperatura supera i 40 gradi – per fortuna, perché quest’estate avreste potuto essere il bersaglio di ronde di cittadini armati di pistole e fucili ad acqua. Un’imboscata nemmeno troppo sgradevole, con questo caldo. Ma la protesta è seria. Tremila persone hanno manifestato a Barcellona contro i danni del turismo. Le strade sporche, gli affitti altissimi, i trasporti pubblici sovraccarichi, il quartiere gotico ridotto a una sorta di “Disneyland medievale”.
La Spagna è il secondo paese più visitato al mondo, con più visitatori pro capite della Francia, la destinazione principale. Ricava dal turismo circa il 13% del prodotto interno lordo e i turisti continuano ad aumentare. C’è ancora spazio per crescere? Nelle isole molti residenti dicono basta. Hanno protestato in 56mila alle Canarie e in diecimila a Maiorca, dove si sono svegliati presto per occupare una delle spiagge più gettonate su Instagram. Sulla costa meridionale più di cinquemila persone hanno manifestato a Málaga, diverse migliaia ad Alicante e a Cadice. Ci sono state manifestazioni a Siviglia, a San Sebastián e persino nel quartiere Lavapiés di Madrid. La parola dell’estate in Spagna è ‘turismofobia’.
Quanto vale il turismo
Sembra paradossale, perché il turismo porta denaro. Negli ultimi due anni l’Europa del sud è cresciuta di più anche per questo. Nel 2023 le economie di Grecia, Spagna e Portogallo hanno avuto un tasso di crescita del 2% o superiore, contro una media dello 0,4% nell’Unione europea. Secondo alcune stime, che calcolano in maniera più ampia l’indotto del settore, oggi il 20% dell’economia albanese è mossa dal turismo. Con il senno di poi, la pandemia è stata un piccolo inciampo. L’industria si è ripresa ed è più forte di prima. Oggi vale il 3% del Pil globale. Secondo le Nazioni Unite, quest’anno i turisti internazionali saranno 1,5 miliardi, più del 2019. E generalmente sono molto ben accetti. Il problema è quando si affollano in alcune destinazioni.
Come strategia di sviluppo, però, il turismo ha diversi limiti, avvertono gli economisti. Spesso porta impieghi a bassa produttività, poco qualificati e mal pagati. Lavorare in un ristorante può essere più divertente che stare in ufficio, ma a 40 anni un cameriere stanco rimpiangerà di non aver preso quella benedetta laurea (o di non aver scelto la facoltà giusta). Facciamo l’esempio dell’Italia. Durante il raduno FareTurismo, tenuto a Roma a marzo, è venuto fuori che l’80% di chi è impiegato nel settore è inquadrato ai livelli più bassi dei contratti nazionali di lavoro. Anche per questo i salari sono inferiori alla media. Ed è per questo che ogni estate c’è la lamentela degli imprenditori che non trovano abbastanza manodopera. In Italia le imprese turistiche tendono a essere piccole, e dimensioni piccole di solito implicano una produttività bassa, quindi valore aggiunto e stipendi meno brillanti di quanto sarebbe possibile in realtà più grandi.
Come se non bastasse, gli economisti tirano in ballo la cosiddetta ‘malattia olandese’, cioè quella che si verifica quando la crescita rapida di un settore ostacola lo sviluppo di altri. Di solito capita con aumenti di ricavi ottenuti esportando materie prime, ma potrebbe succedere anche con il turismo, dove confluirebbero capitali e lavoratori a scapito di industrie più redditizie. In Italia l’espansione del turismo dal 2010 al 2019, secondo Giuseppe Di Giacomo dell’Università di Lugano e Benjamin Lerch del ministero delle Finanze svizzero, ha fatto sì che meno gente si iscrivesse all’università e si laureasse. L’idea è che vada bene fare pizze e cocktail a 20 anni, ma alla lunga non sia molto lungimirante. È anche vero, però, che non tutti possono (o vogliono) fare gli ingegneri.
Il turismo come alternativa al petrolio
Il principe Mohammad bin Salman (Mbs), autocrate modernizzatore dell’Arabia Saudita, probabilmente non sarebbe d’accordo con i due studiosi. Sta puntando tantissimo sul turismo per una crescita alternativa al petrolio. In effetti i numeri aumentano. I turisti sono raddoppiati rispetto a cinque anni fa e il contributo del settore al Pil nazionale è cresciuto di un terzo, arrivando al 4%. Il governo vorrebbe ricavare un milione di posti di lavoro entro il 2030, sufficienti per assumere un saudita su 20, una percentuale più alta che in Spagna.
Il punto è capire se questa sia la migliore strategia di sviluppo. Il turismo non ha la produttività dei settori più moderni, ma può facilmente dare lavoro a molte persone. Bisogna cercare di trarne vantaggio, minimizzando l’effetto collaterale. I ricavi possono essere investiti in infrastrutture e in settori con un valore aggiunto superiore.
Le contromisure in Europa
Le città e i paesi europei cominciano a prendere alcuni accorgimenti. La Grecia pensa di ridurre i posti barca nel 2025, dopo che l’anno scorso gli arrivi sono cresciuti del 50%. Da Portimão, in Portogallo, a Poole, in Gran Bretagna, i sindaci fanno pagare ai turisti più tasse per limitare l’affollamento. Si vogliono attrarre visitatori più ricchi, disposti a spendere di più, o anche solo ridurne il numero. Lo sta facendo Venezia: una tassa di 5 euro per turisti giornalieri che potrebbe essere raddoppiata. Ovvio, non sarà questo a fermarli, ma chi è abituato a spendere poco o nulla dovrà pagare qualcosa in più. La speranza è che tasse di questo tipo spingano a pernottare almeno una notte, e questo vale per altre città molto ambite, come Roma.
Un’altra strategia è focalizzarsi su qualità ed esclusività dell’esperienza. Insomma, turisti più facoltosi (un mercato in cui la produttività tende a essere più alta). Roma, dopo la pandemia, sta cambiando. C’erano strutture inadeguate e i fondi d’investimento hanno colto l’occasione per rinnovarle. Da qui al 2027 dovrebbero aprire 13 nuovi alberghi a cinque stelle. Alcuni nomi: il Nobu Hotel in Via Veneto, l’Orient Express vicino al Pantheon, poi il Four Seasons e il Mandarin Oriental. Quindi la soluzione è il lusso? Non necessariamente. Però Roma ne aveva bisogno per mettersi alla pari con le capitali europee.
Piuttosto che diventare inospitali, vale la pena di far funzionare il turismo. Quando la città si affolla, per mantenere il decoro, a Barcellona chiedono una supervisione più severa delle forze dell’ordine. Anche per gli affitti potrebbe trovarsi rimedio. Airbnb va regolato, ma i prezzi non aumenterebbero così tanto se ci fossero appartamenti sufficienti per la domanda sia locale che estera. I turisti sono davvero troppi o sono scarse le infrastrutture? Un investimento coordinato in alloggi e trasporti urbani allevierebbe la pressione. Per velocizzare i tempi i governi potrebbero allentare le regole di pianificazione. E se tutto questo non bastasse? il regno del Buthan tassa i suoi visitatori 100 dollari al giorno. Ma si lamenta che i turisti sono troppo pochi.
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