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Chi sono i vincitori del premio Nobel per l’economia 2024

Nogales è una città divisa da un confine: la parte settentrionale è negli Stati Uniti, quella meridionale in Messico. Gli abitanti delle due metà hanno gli stessi antenati e la stessa cultura. Eppure la Nogales statunitense è molto più ricca della Nogales messicana. La ragione, hanno scritto in Perché le nazioni falliscono Daron Acemoglu, professore del Mit, e James A. Robinson dell’Università di Chicago, è nelle istituzioni.

Acemoglu, Robinson e un altro professore del Mit, Simon Johnson, hanno vinto il premio Nobel per l’economia 2024 per “gli studi su come le istituzioni si formano e influenzano la prosperità”, si legge nella motivazione. Si divideranno 11 milioni di corone svedesi, pari a circa 967mila euro.

“Ridurre le vaste differenze di reddito tra i paesi è una delle grandi sfide del nostro tempo”, ha detto Jakob Svensson, presidente del Comitato che assegna il premio. “I vincitori hanno dimostrato l’importanza delle istituzioni sociali per raggiungere questo obiettivo”.

Chi sono i vincitori del Nobel per l’economia

Acemoglu è nato nel 1967 a Istanbul, in una famiglia di origine armena. Ha studiato in Inghilterra, tra l’Università di York e la London School of Economics (Lse), e insegna al Mit dal 1993. Nel 2005 ha vinto la John Bates Clark Medal, il più importante riconoscimento statunitense per gli economisti con meno di 40 anni. Ha scritto tre libri assieme a Robinson, che ha conosciuto alla Lse. Robinson, 64 anni, è britannico e ha studiato anche a Warwick e Yale. Ha insegnato per più di dieci anni ad Harvard prima di trasferirsi a Chicago.

Anche Johnson, 61 anni, è britannico. Si è formato tra Oxford, Manchester e il Mit. Tra il 2007 e il 2008 è stato capo economista del Fondo monetario internazionale e nel 2020 membro volontario della squadra che si è occupata della transizione tra l’amministrazione di Donald Trump e quella di Joe Biden.

Gli studi su istituzioni e ricchezza

I tre vincitori, si legge nell’approfondimento pubblicato sul sito dei Nobel, hanno dimostrato che le istituzioni introdotte dagli europei al tempo del colonialismo hanno contribuito a determinare i risultati economici delle ex colonie nei secoli successivi. In particolare, hanno stabilito che istituzioni inclusive favoriscono la prosperità nel lungo periodo, mentre quelle che definiscono ‘estrattive’ forniscono guadagni di breve periodo alle persone al potere.

Hanno scoperto anche che la colonizzazione ha portato a un rovesciamento di sorti: le aree che erano più popolose e ricche all’epoca dell’arrivo degli europei oggi sono più povere, e viceversa. Una delle ragioni è che le zone più popolose venivano sottoposte a istituzioni autoritarie, perché gli europei che vi si insediavano erano pochi e il pericolo di resistenza da parte degli abitanti locali era più alto. Nelle zone poco popolose arrivavano invece molti coloni europei, che istituivano una forma inclusiva di governo.

Questo rovesciamento della prosperità, si legge ancora, è unico nella storia: nei secoli precedenti il colonialismo, in generale, le zone più popolose e ricche restavano più ricche. Il ribaltamento, inoltre, non è avvenuto nelle aree che gli europei non hanno colonizzato.

Istituzioni e malattie

Secondo gli studiosi, esisteva quindi una correlazione tra il tipo di istituzioni e il numero di europei: più numerosi erano i coloni, maggiori erano le probabilità che le istituzioni favorissero il benessere di lungo periodo.

Un altro fattore legato alla prosperità, dunque, è l’esistenza di malattie che uccidevano i colonizzatori. In India, per esempio, circolavano più malattie letali per gli inglesi che in Nuova Zelanda o in Australia. In Sudamerica le malattie mortali erano più che nella parte settentrionale del continente, nell’Africa equatoriale più che in quella meridionale.

Come rileva l’approfondimento sul sito dei Nobel, già dai tempi dello Spirito delle leggi di Montesquieu si era affermata l’idea che le zone dal clima temperato favorissero la produttività economica. Acemoglu, Johnson e Robinson hanno dimostrato che, se le aree più vicine all’Equatore sono più povere, non è solo colpa del caldo, ma anche delle istituzioni.

Élite e popolazione

Un’altra parte del lavoro dei tre economisti riguarda il problema della fiducia tra le élite al potere e la popolazione e di come può avvenire il trasferimento di potere.

Finché un sistema politico garantisce vantaggi alle élite, la popolazione non si aspetta una riforma del sistema economico. Allo stesso tempo, le élite credono che, se riformassero il sistema, non otterrebbero alcuna ricompensa dalla massa. Esiste un modo per uscire da questa ‘trappola’: la popolazione può mobilitarsi e sfruttare il vantaggio del numero. In questo caso, la mobilitazione pacifica è la più potente, perché permette al maggior numero di persone di unirsi. L’élite può promettere riforme per placare la massa, che però sa di non potersi fidare. A quel punto, per i governanti il trasferimento del potere e l’introduzione della democrazia può diventare l’unica opzione.

Sulla base di questa scoperta, i tre hanno elaborato un modello che spiega le circostanze in cui le istituzioni politiche si formano e cambiano, usato anche per spiegare il processo di democratizzazione dell’Europa occidentale tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX.

Il premio Nobel per l’economia

Il premio Nobel per l’economia è l’unico non previsto dal testamento di Alfred Nobel. Il nome ufficiale è Premio della Banca di Svezia per le scienze economiche. È assegnato dalla Sverige Riksbank, la banca centrale svedese, dal 1969.

Peter Nobel, pronipote di Alfred, ha criticato l’introduzione del premio e lo ha definito “una trovata pubblicitaria con cui gli economisti vogliono migliorare la loro reputazione. [Alfred] Nobel disprezzava le persone più interessate al profitto che al benessere della società. Nulla indica che avrebbe voluto un premio del genere”.

Perfino Friedrich von Hayek, al banchetto dei Nobel dopo la vittoria nel 1974, disse che, se qualcuno lo avesse consultato sull’istituzione del premio, sarebbe stato “decisamente contrario”. A suo giudizio, “il premio Nobel conferisce a un individuo un’autorità che in economia nessuno dovrebbe possedere”.

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