La netta maggioranza dei dirigenti d’azienda è convinta che l’intelligenza artificiale non stravolgerà il mondo del lavoro e non porterà a tagli del personale. A rivelarlo è la seconda edizione dell’AI Radar, un rapporto della società di consulenza Boston Consulting Group (Bcg) che fotografa le opinioni di dirigenti e c-level sull’IA, stilato sulla base di 1.803 interviste a persone che operano in 12 settori e 19 mercati, tra cui l’Italia.
In particolare, il 68% del campione prevede di mantenere l’organico attuale e di puntare sull’aumento della produttività e sul potenziamento delle competenze per soddisfare le esigenze legate all’IA. Il 17% pensa che le dimensioni dell’organico resteranno invariate, ma che alcuni ruoli diventeranno obsoleti e saranno sostituiti. Solo il 7% crede che l’IA porterà a una riduzione del numero di dipendenti: una quota addirittura inferiore a quella di chi si aspetta un aumento della forza lavoro (8%).
L’intelligenza artificiale è una priorità
“L’IA è al centro delle priorità per aumentare la produttività”, ha dichiarato Christoph Schweizer, amministratore delegato di Bcg. Il 75% dei dirigenti globali la considera una delle prime tre priorità strategiche (69% tra gli italiani), anche se solo il 25%, per ora, riesce a ricavare un valore significativo dalle proprie iniziative in questo ambito. Il 73% degli intervistati prevede di incrementare gli investimenti in tecnologia nel 2025 (in Italia è il 68%), il 31% di spendere almeno 25 milioni nella sola IA (in Italia solo il 17%).
Che cosa fanno i leader dell’IA
“Chi si pone come leader nell’adozione dell’IA ha trovato la chiave del successo lavorando su un insieme mirato di progetti, scalando rapidamente le soluzioni, trasformando i processi chiave, investendo nella formazione dei team e monitorando sistematicamente i risultati operativi”, ha detto ancora Schweizer.
Una delle chiavi è privilegiare la qualità delle iniziative rispetto alla quantità: le aziende più avanti sul fronte dell’IA danno priorità a una media di 3,5 casi d’uso, contro i 6,1 delle altre. Questo approccio si traduce in un ritorno sugli investimenti 2,1 volte superiore rispetto ai concorrenti.
Inoltre i leader destinano più dell’80% degli investimenti in IA alla trasformazione delle funzioni principali e alla creazione di nuove offerte, e una quota minoritaria all’aumento della produttività di compiti quotidiani. Tra le altre società, invece, il 56% delle risorse va a iniziative di minore portata.
Altro aspetto cruciale che distingue i leader è la capacità di definire obiettivi chiari e monitorare l’impatto su ricavi e costi: ci riesce solo il 40% delle imprese.
Dove investono i leader dell’IA
Sylvain Duranton, leader globale di Bcg X, la divisione di Bcg che si occupa della trasformazione digitale delle imprese, ha spiegato che le aziende di maggiore successo nell’adozione dell’IA “seguono il modello 10-20-70”, cioè dedicano il 70% degli sforzi alla formazione delle persone e alla trasformazione dei processi e della cultura, il 20% all’ottimizzazione di dati e tecnologie e solo il 10% allo sviluppo di algoritmi.
I due terzi delle imprese, ha proseguito Duranton, “incontrano difficoltà significative nel ripensare i flussi di lavoro, promuovere un cambiamento culturale, selezionare i talenti giusti e riqualificare la propria forza lavoro. Per trarre benefici dalle iniziative IA è fondamentale garantire impegno costante nella creazione di valore e coltivare una forza lavoro capace di adattarsi in un contesto in continua evoluzione”.
A che punto è la formazione dei dipendenti sull’IA
Solo il 29% delle aziende ha aggiornato le competenze di almeno un quarto del proprio organico, anche se il miglioramento rispetto allo scorso anno è marcato (era il 6%). Da questo punto di vista l’Italia, con il 20%, è in ritardo rispetto ai paesi più avanzati, con Singapore (44%) e Giappone (38%) davanti a tutti.
Il 72% delle aziende dichiara difficoltà nel reclutare talenti nel campo dell’intelligenza artificiale e migliorare le competenze dell’attuale forza lavoro. E sotto questo aspetto le imprese italiane sono tra le più indietro, con l’83%. Il 66% delle aziende totali e il 72% di quelle italiane affermano anche di non avere la maturità necessaria per gestire i cambiamenti organizzativi legati all’IA.
Il ruolo degli agenti autonomi
Gli agenti autonomi sono sistemi di intelligenza artificiale capaci di raggiungere obiettivi analizzando dati e facendo interagire diversi sistemi, con un intervento umano minimo. Sono strumenti ancora agli inizi, ma che il 67% del campione li considera parte integrante della trasformazione basata sull’IA.
La maggior parte degli intervistati (64%) è comunque convinta che esseri umani e IA siano destinati a lavorare fianco a fianco. Solo il 22% prevede che l’IA prenderà il comando delle operazioni e gli umani si limiteranno alla supervisione, mentre il 14% pensa di dare priorità alle persone e usare l’IA solo se necessario.
I rischi
A dispetto dell’ottimismo e dell’interesse nei confronti dell’IA, gli intervistati ammettono l’esistenza di alcuni rischi. Il principale è quello della privacy e della sicurezza dei dati, citato dal 66%. Seguono la mancanza di controllo o comprensione delle decisioni dell’IA (48%) e le sfide normative e di conformità (44%). Per quanto riguarda la sicurezza informatica, il 76% ritiene che le misure di cybersecurity legate all’IA necessitino di miglioramenti.
Non è invece diffusa la preoccupazione per l’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale: il 78% delle aziende totali (e il 76% di quelle italiane), quando deve selezionare i rivenditori, non dà priorità alle soluzioni di IA efficienti dal punto di vista energetico.
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