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23 ottobre 2025

Conti in ordine e spread ai minimi, ma la crescita non riparte: perché all’Italia serve una strategia industriale per il futuro

Il Def riduce il deficit ma misure fiscali e incentivi limitati frenano competitività e investimenti, lasciando le imprese prive di slancio
Conti in ordine e spread ai minimi, ma la crescita non riparte: perché all’Italia serve una strategia industriale per il futuro

Alberto Bruschini
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Alberto Bruschini

Il Documento di economia e finanza (Def) prevede per l’anno in corso un indebitamento netto pari al 3% del Pil in Italia, in calo di tre decimi rispetto al 2024. Il saldo primario, per la prima volta dalla pandemia, torna positivo e si attesta allo 0,9%, mentre gli oneri per interessi restano sostanzialmente stabili. Si tratta di un risultato apprezzabile per la salvaguardia dei conti pubblici, che potrebbe consentire un’uscita anticipata dalla procedura per deficit eccessivo, nonostante il debito pubblico continui a crescere fino al 2027 a causa dell’impatto del Superbonus.

Irpef più leggera, ma potere d’acquisto ancora in calo

L’inflazione cumulata tra il 2022 e il 2024 (+16,4%) ha favorito l’aumento delle entrate fiscali dello Stato, nonostante non si sia tenuto conto del cosiddetto fiscal drag. Le retribuzioni, tuttavia, non hanno recuperato l’aumento dei prezzi e risultano ancora inferiori del 9% rispetto ai livelli del 2021, complice anche la debole crescita economica prevista per quest’anno (+0,5%). Il Def prospetta, per il prossimo triennio, un incremento pressoché nullo della spesa primaria corrente in termini reali: un andamento raro rispetto al periodo 2010-2019, quando la crescita, pur modesta, era stata in media dello 0,2% annuo.

La nuova manovra fiscale, incentrata sulla rimodulazione della curva Irpef per alleggerire il carico sul ceto medio, rappresenta il terzo intervento del Governo Meloni in materia, dopo la riduzione temporanea delle aliquote a tre nel 2024 e la loro stabilizzazione nel 2025, accompagnata dall’assorbimento del taglio del cuneo previdenziale tramite detrazioni per i dipendenti. Il taglio dell’aliquota dal 35% al 33% interesserà il 70% delle dichiarazioni dei redditi sotto i 28.000 euro, ma con benefici molto limitati: nessun vantaggio reale per chi guadagna meno di 28.000 euro, circa 40 euro annui per chi dichiara 30.000 euro, e 440 euro annui per redditi di 50.000 euro. Nel frattempo, come osserva la Banca d’Italia, “la spesa sanitaria si è ormai stabilizzata su valori contenuti rispetto alle principali economie europee”.

Flat tax, condoni e pochi incentivi: così la crescita resta al palo

L’equità fiscale non sembra rientrare tra le priorità del governo. L’equità orizzontale – ossia un sistema in cui tutti i contribuenti siano tassati in modo uguale a parità di reddito – rimane una chimera. La flat tax, il concordato preventivo e la nuova rottamazione delle cartelle, sebbene meno invasiva delle precedenti, si muovono in direzione opposta. Nei piani dell’esecutivo, le manovre espansive della prossima legge di bilancio dovrebbero valere in media lo 0,7% del Pil all’anno, di cui circa lo 0,5% finanziato con maggiori entrate e tagli di spesa. L’aumento dell’indebitamento netto, al 2%, contribuirebbe solo marginalmente al finanziamento delle misure.

Poco o nulla è previsto per la crescita economica e la competitività del sistema industriale, nonostante le richieste di Confindustria, che sollecita un piano triennale da 8 miliardi di euro l’anno per sostenere le imprese – in particolare le piccole e medie – negli investimenti in innovazione tecnologica, digitalizzazione, sostenibilità e intelligenza artificiale. Nel Def, invece, si prevede lo stanziamento di 4 miliardi di euro per reintrodurre iper e super ammortamento, accompagnati dall’abolizione dei bonus fiscali, ma senza una rinnovata Legge 4.0. Si tratta di misure ben lontane dal rappresentare un sostegno efficace per stimolare gli investimenti necessari ad accrescere la competitività della manifattura italiana. Le difficoltà del made in Italy, dell’automotive, dell’acciaio (basti pensare alla crisi irrisolta dell’Ilva), insieme al caro energia e alla frammentazione dimensionale delle imprese, costituiscono sfide sempre più pressanti, accentuate dalla concorrenza dei prodotti cinesi offerti a prezzi molto inferiori.

Gettito oggi, sviluppo domani: così manca una visione industriale

Nel reperire risorse, il Governo ha nuovamente puntato su un contributo alle banche per fare cassa – stimato intorno agli 11,5  miliardi di euro da versare in tre anni – per affrancare su base volontaria gli utili accantonati nel 2023, pagando un’aliquota ridotta del 27,5% rispetto al 40% nel distribuire i dividendi accantonati in un apposito fondo, dimenticando però che tali profitti derivano anche da una gestione pro domo sua dei depositi finanziari bancari. Invece di penalizzare a posteriori, sarebbe stato più opportuno intervenire all’origine dell’inflazione, facendo crescere la remunerazione dei depositi nella stessa misura in cui sono aumentati i tassi sui prestiti.

Il Governo si limita così a chiedere un contributo straordinario volontario alle banche per esigenze di bilancio a sostegno della spesa corrente, senza considerare l’utilizzo dei dividendi non distribuiti per sostenere gli investimenti delle imprese attraverso forme di finanziamento alternative, come il capitale di rischio dei fondi di private equity o la sottoscrizione di mini bond emessi dalle Pmi. Occorrerebbe invece avviare un processo di sviluppo pluriennale complesso e articolato, fondato su una discussione parlamentare franca, da cui il Governo possa trarre indirizzi chiari per un confronto costruttivo con le rappresentanze imprenditoriali e sindacali. Solo così ciascun attore potrebbe assumersi la propria parte di responsabilità.

Meno contrapposizioni e più unità: solo così l’Italia può crescere davvero

Un’impostazione di questo tipo, tuttavia, non sembra appartenere alla premier Meloni, più incline a valorizzare a livello internazionale i risultati dei conti pubblici e la riduzione dello spread – ora poco sopra i 70 punti base – come elementi di prestigio personale, evitando però di prendere posizione rispetto ai mutati equilibri geopolitici, prima rappresentati dall’ex presidente Biden e ora dal suo rivale, il presidente Donald Trump.

Sul piano internazionale, l’atteggiamento della premier è molto diverso da quello che tiene sin dai primi giorni di governo, caratterizzato dalla dinamica della contrapposizione “noi contro loro”. Tuttavia, la profonda trasformazione dell’economia e della produzione industriale, che ha garantito nel tempo un diffuso benessere ai cittadini, non può realizzarsi alimentando divisioni.

I processi economici complessi e articolati che attendono l’Italia richiedono invece unità d’intenti, pur nella diversità, tra le forze politiche. Solo così il “noi” potrà prevalere sul “loro”, e l’Italia potrà affrontare con coesione le sfide della crescita e della modernizzazione.