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18 novembre 2025
Senza arrivi dall’estero il mercato del lavoro rischia di fermarsi, mentre le imprese affrontano difficoltà nel reperire personale.
Lo studio Excelsior sulle necessità occupazionali e professionali stima che, nel periodo 2025-2029, il mercato del lavoro italiano avrà bisogno di 617.000-640.000 lavoratori stranieri, pari a circa il 21% del fabbisogno complessivo, che oscilla tra 3,3 e 3,7 milioni di unità. Oltre la metà di questa domanda proviene dal settore dei servizi, il 35% dall’industria e circa il 15% dall’agricoltura.
Un Paese che invecchia: numeri e tendenze del declino demografico italiano ed europeo
La crescente carenza di lavoratori si inserisce in un quadro demografico in costante contrazione. In Italia, la popolazione residente – oggi circa 59 milioni – è destinata a scendere a 54,7 milioni entro il 2050, con un calo graduale ma continuo. La quota di anziani passerà dal 24,3% al 34%, mentre la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) scenderà dall’attuale 63,5%, e quella dei giovani (0-14 anni) dal 12,2% all’11,2%.
Una dinamica analoga riguarda l’Unione Europea, dove si prevede una diminuzione di circa 41 milioni di abitanti entro il 2050: dai circa 453 milioni del 2024 ai 412 milioni, con un calo della popolazione in età lavorativa stimato attorno al 21%.
Il rapporto del Cnel sugli stranieri evidenzia come, tra il 2001 e il 2011, l’apporto migratorio – composto per il 70% da cittadini comunitari provenienti dall’Est Europa – abbia aggiunto circa tre milioni di persone, compensando il calo della popolazione italiana. Nel decennio successivo, però, l’incremento è stato di sole 700.000 unità, aprendo la fase di riduzione complessiva della popolazione.
Senza nuova forza lavoro, imprese e sanità verso un blocco
Senza nuovi ingressi di immigrati nel mercato del lavoro, nei prossimi 3-5 anni il sistema produttivo e quello sanitario rischiano di trovarsi nell’impossibilità concreta di reperire personale sufficiente per proseguire le proprie attività. Finora, l’immigrazione ha generato effetti positivi sia per le imprese che per i conti pubblici: secondo il centro studi Idos, nel 2022 il saldo tra entrate e uscite dello Stato relative ai cittadini stranieri è stato positivo per 3,2 miliardi di euro.
La mancata crescita della popolazione italiana è attribuibile a tre fattori principali:
- Il crollo delle nascite, in atto dal 2008, quando i nuovi nati erano oltre 576.000, con un tasso di fecondità di 1,24 figli per donna. Nel 2024 si è scesi a 379.000 nati, con un tasso di 1,1.
- L’espatrio dei giovani: tra il 2011 e il 2023 sono emigrati 550.000 italiani tra i 18 e i 34 anni. Il fenomeno è in crescita: nel 2024 i giovani partiti sono stati 156.000, il 36% in più rispetto al 2023.
- Un numero insufficiente di immigrati: nel 2024 gli ingressi dall’estero sono stati 214.000, insufficienti a compensare sia l’esodo dei giovani che il ridotto numero di persone che entrano in età lavorativa a causa del calo delle nascite.
Di fronte a questo quadro desolante, stupisce che il tema demografico non sia posto al centro dell’agenda politica – in Italia come nel resto d’Europa – con la stessa determinazione con cui si invocano interventi per sostenere competitività e concorrenza delle imprese. La forza lavoro, e il continuo miglioramento delle competenze professionali, sono importanti quanto gli investimenti in innovazione tecnologica: gli impianti produttivi, senza personale qualificato, non funzionano. E le persone non si possono modellare come se fossero di pongo.
Come intervenire davvero: misure strutturali e un nuovo modello europeo di gestione dei flussi migratori
La decrescita demografica non può essere affrontata con interventi uniformi: occorre distinguere tra misure di lungo periodo e misure di breve-medio periodo. Aumentare le nascite – soprattutto in un Paese che ha toccato il minimo storico di 1,18 figli per donna – richiede cambiamenti strutturali nelle condizioni sociali, economiche e culturali, e quindi tempi lunghi.
Nel breve periodo, invece, Italia ed Europa devono fare i conti con la diminuzione della popolazione in età lavorativa, che potrà essere compensata solo attraverso l’immigrazione, in particolare dall’Africa, dove la popolazione è in piena espansione. Non è più realistico contare sui lavoratori dell’Est Europa, dato il miglioramento delle condizioni economiche dei loro Paesi.
La gestione dell’immigrazione non si costruisce bloccando gli sbarchi o rinforzando i confini con sistemi di sorveglianza più o meno tecnologici, come auspica il nostro governo insieme alla Presidente della Commissione Europea. È invece necessario riconoscere che ogni Paese dovrà aumentare il numero degli immigrati, integrandoli nel mercato del lavoro attraverso un programma europeo pluriennale, dotato di strumenti adeguati e risorse finanziarie.
L’Europa ignora la vera emergenza: trasformare i flussi migratori in una strategia di sviluppo condivisa
Colpisce, in questa prospettiva, che i ministri degli Interni si incontrino solo per discutere del ricollocamento – volontario o condizionato – degli immigrati tra i Paesi Ue. E colpisce che si discuta del “modello Albania”, temporaneamente sospeso, senza cogliere che proprio da quei bacini potrebbero arrivare lavoratori da formare e impiegare nelle imprese.
Tutto ciò avviene mentre le imprese italiane ed europee incontrano difficoltà sempre maggiori nel reperire personale. Lo spopolamento dell’Europa è una delle questioni fondamentali che dovrebbe guidare i progetti di sviluppo del continente. Ma la scarsa attenzione dedicata a questo tema rivela un preoccupante disinteresse verso un problema epocale.
L’immigrazione è una questione globale, che richiede l’impegno congiunto dei governi europei, delle organizzazioni dei produttori e dei sindacati. Altrimenti, si rischia che la frustrazione dei cittadini – già stanchi di vedere giovani immigrati senza prospettive – alimenti ulteriori tensioni sociali, indipendentemente dal clamore di chi vorrebbe semplicemente cacciarli.
Serve un percorso di lavoro stabile e continuativo, che prescinda dal colore politico della Commissione Europea e dei governi nazionali. È indispensabile inaugurare una nuova stagione politica che coinvolga pienamente il Parlamento europeo e porti questa grande questione fuori dal ghetto in cui è stata relegata, affrontandola per ciò che è: il nodo decisivo dei flussi migratori necessari a fermare la riduzione della popolazione.