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18 novembre 2025

Declino demografico, carenza di competenze e flussi migratori: la vera sfida che Italia ed Europa non possono più rinviare

Senza arrivi dall’estero il mercato del lavoro rischia di fermarsi, mentre le imprese affrontano difficoltà nel reperire personale.
Declino demografico, carenza di competenze e flussi migratori: la vera sfida che Italia ed Europa non possono più rinviare

Edoardo Prallini
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Edoardo Prallini

Lo studio Excelsior sulle necessità occupazionali e professionali stima che, nel periodo 2025-2029, il mercato del lavoro italiano avrà bisogno di 617.000-640.000 lavoratori stranieri, pari a circa il 21% del fabbisogno complessivo, che oscilla tra 3,3 e 3,7 milioni di unità. Oltre la metà di questa domanda proviene dal settore dei servizi, il 35% dall’industria e circa il 15% dall’agricoltura.

Un Paese che invecchia: numeri e tendenze del declino demografico italiano ed europeo

La crescente carenza di lavoratori si inserisce in un quadro demografico in costante contrazione. In Italia, la popolazione residente – oggi circa 59 milioni – è destinata a scendere a 54,7 milioni entro il 2050, con un calo graduale ma continuo. La quota di anziani passerà dal 24,3% al 34%, mentre la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) scenderà dall’attuale 63,5%, e quella dei giovani (0-14 anni) dal 12,2% all’11,2%.

Una dinamica analoga riguarda l’Unione Europea, dove si prevede una diminuzione di circa 41 milioni di abitanti entro il 2050: dai circa 453 milioni del 2024 ai 412 milioni, con un calo della popolazione in età lavorativa stimato attorno al 21%.

Il rapporto del Cnel sugli stranieri evidenzia come, tra il 2001 e il 2011, l’apporto migratorio – composto per il 70% da cittadini comunitari provenienti dall’Est Europa – abbia aggiunto circa tre milioni di persone, compensando il calo della popolazione italiana. Nel decennio successivo, però, l’incremento è stato di sole 700.000 unità, aprendo la fase di riduzione complessiva della popolazione.

Senza nuova forza lavoro, imprese e sanità verso un blocco

Senza nuovi ingressi di immigrati nel mercato del lavoro, nei prossimi 3-5 anni il sistema produttivo e quello sanitario rischiano di trovarsi nell’impossibilità concreta di reperire personale sufficiente per proseguire le proprie attività. Finora, l’immigrazione ha generato effetti positivi sia per le imprese che per i conti pubblici: secondo il centro studi Idos, nel 2022 il saldo tra entrate e uscite dello Stato relative ai cittadini stranieri è stato positivo per 3,2 miliardi di euro.

La mancata crescita della popolazione italiana è attribuibile a tre fattori principali:

  1. Il crollo delle nascite, in atto dal 2008, quando i nuovi nati erano oltre 576.000, con un tasso di fecondità di 1,24 figli per donna. Nel 2024 si è scesi a 379.000 nati, con un tasso di 1,1.
  2. L’espatrio dei giovani: tra il 2011 e il 2023 sono emigrati 550.000 italiani tra i 18 e i 34 anni. Il fenomeno è in crescita: nel 2024 i giovani partiti sono stati 156.000, il 36% in più rispetto al 2023.
  3. Un numero insufficiente di immigrati: nel 2024 gli ingressi dall’estero sono stati 214.000, insufficienti a compensare sia l’esodo dei giovani che il ridotto numero di persone che entrano in età lavorativa a causa del calo delle nascite.

Di fronte a questo quadro desolante, stupisce che il tema demografico non sia posto al centro dell’agenda politica – in Italia come nel resto d’Europa – con la stessa determinazione con cui si invocano interventi per sostenere competitività e concorrenza delle imprese. La forza lavoro, e il continuo miglioramento delle competenze professionali, sono importanti quanto gli investimenti in innovazione tecnologica: gli impianti produttivi, senza personale qualificato, non funzionano. E le persone non si possono modellare come se fossero di pongo.

Come intervenire davvero: misure strutturali e un nuovo modello europeo di gestione dei flussi migratori

La decrescita demografica non può essere affrontata con interventi uniformi: occorre distinguere tra misure di lungo periodo e misure di breve-medio periodo. Aumentare le nascite – soprattutto in un Paese che ha toccato il minimo storico di 1,18 figli per donna – richiede cambiamenti strutturali nelle condizioni sociali, economiche e culturali, e quindi tempi lunghi.

Nel breve periodo, invece, Italia ed Europa devono fare i conti con la diminuzione della popolazione in età lavorativa, che potrà essere compensata solo attraverso l’immigrazione, in particolare dall’Africa, dove la popolazione è in piena espansione. Non è più realistico contare sui lavoratori dell’Est Europa, dato il miglioramento delle condizioni economiche dei loro Paesi.

La gestione dell’immigrazione non si costruisce bloccando gli sbarchi o rinforzando i confini con sistemi di sorveglianza più o meno tecnologici, come auspica il nostro governo insieme alla Presidente della Commissione Europea. È invece necessario riconoscere che ogni Paese dovrà aumentare il numero degli immigrati, integrandoli nel mercato del lavoro attraverso un programma europeo pluriennale, dotato di strumenti adeguati e risorse finanziarie.

L’Europa ignora la vera emergenza: trasformare i flussi migratori in una strategia di sviluppo condivisa

Colpisce, in questa prospettiva, che i ministri degli Interni si incontrino solo per discutere del ricollocamento – volontario o condizionato – degli immigrati tra i Paesi Ue. E colpisce che si discuta del “modello Albania”, temporaneamente sospeso, senza cogliere che proprio da quei bacini potrebbero arrivare lavoratori da formare e impiegare nelle imprese.

Tutto ciò avviene mentre le imprese italiane ed europee incontrano difficoltà sempre maggiori nel reperire personale. Lo spopolamento dell’Europa è una delle questioni fondamentali che dovrebbe guidare i progetti di sviluppo del continente. Ma la scarsa attenzione dedicata a questo tema rivela un preoccupante disinteresse verso un problema epocale.

L’immigrazione è una questione globale, che richiede l’impegno congiunto dei governi europei, delle organizzazioni dei produttori e dei sindacati. Altrimenti, si rischia che la frustrazione dei cittadini – già stanchi di vedere giovani immigrati senza prospettive – alimenti ulteriori tensioni sociali, indipendentemente dal clamore di chi vorrebbe semplicemente cacciarli.

Serve un percorso di lavoro stabile e continuativo, che prescinda dal colore politico della Commissione Europea e dei governi nazionali. È indispensabile inaugurare una nuova stagione politica che coinvolga pienamente il Parlamento europeo e porti questa grande questione fuori dal ghetto in cui è stata relegata, affrontandola per ciò che è: il nodo decisivo dei flussi migratori necessari a fermare la riduzione della popolazione.

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