È diventata una competenza imprescindibile. Le società sportive si muovono su mercati globali e non possono permettersi errori procedurali che rischiano di invalidare un contratto o rallentare un trasferimento. Dall’ottenimento dei visti ai requisiti per i permessi di lavoro, fino alle norme fiscali e previdenziali, la materia è molto tecnica e in continua evoluzione. Avere al fianco professionisti capaci di interpretare questi scenari significa evitare rischi, ma anche cogliere opportunità strategiche in modo più rapido e consapevole.
Dal suo osservatorio, quali sono le principali criticità legali nei trasferimenti internazionali?
Spesso il problema nasce dalla mancanza di armonizzazione tra ordinamenti nazionali. Ogni Paese ha regole diverse su visti, imposte o riconoscimento dei titoli professionali. Questo può generare lungaggini e fraintendimenti che incidono anche sul lato sportivo. Inoltre, la tutela dei minori stranieri resta un tema delicatissimo: il confine tra legittimo trasferimento e sfruttamento può essere sottile, e la normativa Fifa è giustamente molto severa. Infine, è importante vigilare sulla proliferazione di figure non qualificate o improvvisate nel mercato delle intermediazioni: una consulenza legale adeguata è spesso la miglior forma di protezione.
L’intelligenza artificiale e la digitalizzazione stanno cambiando anche il lavoro degli avvocati. Che impatto avranno nel suo settore?
L’impatto è già evidente. Le piattaforme di analisi dei contratti, la gestione dei flussi documentali e la raccolta di dati a livello internazionale stanno trasformando la professione. Ma la tecnologia da sola non basta: serve la capacità di interpretare i contesti e le persone. L’intelligenza artificiale può supportare, non sostituire, la competenza giuridica e la sensibilità culturale. In un settore come il calcio, dove la dimensione umana è ancora centrale, questa distinzione resta fondamentale.
Che consiglio darebbe a un giovane che sogna di intraprendere una carriera come la sua?
Ricordo una lezione universitaria recente: su un centinaio di studenti, solo due hanno detto di voler fare gli avvocati. È un segnale dei tempi, ma anche uno stimolo. Credo che ci sia ancora spazio per chi sa unire passione, competenza e visione internazionale. Il diritto è vastissimo: occorre capire in quale direzione si vuole andare e costruire una rete di relazioni anche fuori dal proprio Paese. Infine, formarsi continuamente — non solo sul piano giuridico, ma anche umano e culturale. Come direbbe un grande allenatore: “chi sa solo di diritto, non sa niente di diritto”.
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