
Il 20% delle Società Benefit investe oltre il 5% del fatturato in iniziative sociali e ambientali, a fronte di appena il 6% delle imprese non-benefit. Inoltre, il 48% delle Società Benefit integra valutazioni d’impatto ambientale e sociale in tutti i processi decisionali. I maggiori benefici riscontrati sono stati: miglioramento del posizionamento sul mercato, delle relazioni con la comunità locale e del clima aziendale.
Si è tenuto lunedì 1 dicembre “Un’ondata di innovazione”, l’evento che ha presentato la nuova edizione della ricerca nazionale sulle Società Benefit 2025. Attraverso gli interventi dei partner della Ricerca, NATIVA, il Research Department di Intesa Sanpaolo, InfoCamere, l’Università di Padova, la Camera di commercio di Brindisi-Taranto e Assobenefit, è emerso un quadro aggiornato e approfondito della dinamicità del mondo delle Società Benefit e del ruolo sempre più centrale che queste imprese, con un modello nuovo di business e di fare impresa, assumono come motore di innovazione per il sistema Paese.
Le aziende benefit, oltre alla distribuzione di dividendi, perseguono la finalità di beneficio comune nella crescita e nello sviluppo. Operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, ambiente e stakeholder, impegnandosi a valutare in maniera trasparente il proprio impatto. Si concentrano soprattutto nelle attività professionali scientifiche, servizi di comunicazione e informazione, e la manifattura in crescita.
L’analisi è stata condotta su un campione ampio e rappresentativo, composto da oltre 300 Società Benefit e più di 550 società non Benefit. Si è strutturata in tre parti: in una prima parte, un’analisi descrittiva, dei bilanci e dei board per diversità di genere ed età; poi le finalità e le relazioni di impatto; infine, l’analisi del profilo delle società, dall’adozione del modello alla gestione dell’impatto.
A settembre 2025 le società benefit sono 5.309, cresciute del 22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il loro fatturato è aumentato del 26% (a differenza delle società tradizionali, +15%). Sono più presenti tra le grandi e le medie imprese, principalmente nel nord Italia, dove la Lombardia guida la classifica regionale. Più della metà delle società benefit sono orientate a iniziative sociali e ambientali.

Per quanto riguarda la metodologia della ricerca, il Sustainability Accounting Standards Board è lo standard utilizzato negli scorsi anni per rappresentare possibili aree di rilevanza per impatti sociali rivolti alla comunità, quest’anno è stato creato un nuovo standard, chiamato Impact+. La ricerca è stata fatta con un approccio AI powered: dall’estrazione dagli statuti presenti in Camera di Commercio, ad una prima categorizzazione finalità, infine la verifica in modo puntuale e accuratezza del 75%.
Da inizio ottobre a metà novembre, sono state realizzate due indagini a carattere nazionale che hanno coinvolto un campione di società benefit (1.400) e di società non benefit (oltre 6.800), rappresentative del tessuto imprenditoriale italiano. L’obiettivo delle indagini è quello di approfondire il processo di adozione del modello Benefit e proporre un confronto con le società non benefit, in riferimento al percorso ESG intrapreso. La classificazione ESG conferma un forte orientamento verso le finalità sociali (55%), seguite da quelle ambientali (29%) e di governance (16%).
Il 59% dei dipendenti delle Società Benefit hanno registrato un maggior senso di appartenenza e migliore qualità dell’ambiente lavorativo.
Costanza Musso, ad M.A. GRENDI DAL 1828, ha raccontato come la sua azienda di logistica e trasporti di famiglia, arrivata alla settima generazione, abbia ottenuto la certificazione B Corp, con servizi ottimali ma anche sfide e difficoltà. “Scetticismo ma anche tanto interesse ed entusiasmo a questi temi”, ha dichiarato.
Claudio Motta, group Chief operating officer Kerakoll Group, Benefit dal 2021, ha aggiunto: “Fare un’operazione di maggiore chiarezza e scrivere nero su bianco le finalità diverse da quella di fare profitto consolida e mette in sicurezza i valori. È un atto di governance molto potente”.

Anna Roscio, executive director sales & marketing Imprese di Intesa Sanpaolo ha parlato di Società Benefit come “un nuovo modo di fare impresa. Capitale umano, sostenibilità, filiera e rapporto con i fornitori sono fattori che garantiscono crescita e capacità di stare sul mercato. La Banca riconosce un valore a queste società attraverso punteggi che garantiscono competizione e prezzo di riferimento migliori”.
Fabiana Vudafieri, responsabile marketing InfoCamere, ha parlato di come l’azienda abbia mostrato una fotografia completa del fenomeno, attraverso una dashboard, così da monitorare il numero di società Benefit costantemente e mette in chiaro le informazioni per ispirarsi al modello.
Vincenzo Cesareo, presidente della Camera di commercio di Brindisi-Taranto, ha osservato la necessità di un albo regionale delle imprese, sottolineando l’importanza della Regione Puglia: “Le imprese Benefit offrono l’opportunità di poter standardizzare e testimoniare”.
Marco Morganti, presidente Assobenefit, ha sottolineato che “una battaglia per la diffusione del modello potrebbe essere una premiazione attraverso bandi pubblici. Il volontariato italiano è un mezzo di accelerazione, che funziona senza alcun incentivo o vantaggio”.
Matilde Breda, Benefit Cities coordinator di Nativa, ha dichiarato come “gli investimenti delle società Benefit seguano logiche rigenerative e non estrattive. Queste aziende contribuiscono, attraverso la creazione di valore per sé stessi e diffondendolo alle altre imprese, alla creazione di valore anche per il territorio che le ospita”.
Diego Mingarelli, imprenditore e presidente di Confindustria Ancona, ha raccontato di come nel tempo c’è stata la necessità di “far diventare le Marche un modello olivettiano attraverso il modello delle società Benefit. Essere benefit è una precondizione per essere attrattivi. Il futuro si costruisce solo con la collaborazione tra pubblico e privato”.

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