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Con Trump vince il protezionismo dell’America First. E potrebbe essere un guaio per l’Europa

Ha vinto Donald Trump, ma soprattutto ha vinto un’agenda “America First”, con uno spostamento strutturale degli elettori verso un nazionalismo economico di destra. A questo punto diventano reali come macigni i timori per l’approccio protezionista e le dichiarazioni di Trump in campagna elettorale. Intentiamoci, anche i democratici con Joe Biden avevano adottato una strategia basata su dazi e sussidi all’industria interna. Ma il tycoon, eletto con una vittoria schiacciante, minaccia di essere una versione molto più spinta e pericolosa di questa politica.

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Se oggi le cancellerie europee si congratulano col vincitore, celebrano la storica alleanza con gli Stati Uniti e parlano della necessità di mantenere il dialogo, in realtà dietro le quinte si preparano al peggio. Quanto sarà radicale la nuova America first di Donald Trump? Ricordiamoci che già nel suo primo mandato aveva imposto dazi del 25 percento sull’acciaio e del 10 percento sull’alluminio, con gravi ripercussioni sul commercio transatlantico. Questa volta Trump minaccia dazi tra il 10 e il 20% su tutti i partner commerciali, compresa l’Europa, e un’imposta del 60% su tutte le merci provenienti dalla Cina.

Se un’agenda del genere di materializzasse davvero, per l’economia europea, che già cresce poco, sarebbe un grave problema. Il rischio, secondo gli analisti, non è solo un calo delle esportazioni verso gli Usa, ma anche un ulteriore afflusso di beni cinesi, deviati in Europa dai dazi americani. Non solo auto elettriche, anche pannelli solari, turbine eoliche e batterie. L’Europa, naturalmente, ha pronti degli strumenti con cui reagire: applicherebbe a sua volta dei dazi per spingere Trump al tavolo del negoziato e trovare un accordo. “Se gli USA imporranno dazi ingiustificati sui prodotti europei, siamo pronti a rispondere. Se Trump dovesse portare avanti le sue fantasie sui dazi, lo riporteremo alla realtà e ci difenderemo,” ha detto Bernd Lange, membro del Parlamento Europeo e presidente della commissione commercio internazionale.

Il problema è che la posizione dell’Ue si è indebolita, dicono diversi esperti: siamo dipendenti dal gas liquefatto statunitense e abbiamo bisogno del sostegno americano nella guerra in Ucraina. Questi timori sono apparsi subito evidenti nelle parole del francese Emmanuel Macron che ha chiamato l’omologo tedesco Scholz per mostrare unità tre i due paesi europei più importanti.
Trump, in particolare, potrebbe prendere di mira la Germania e suoi grandi esportatori di automobili. Un’analisi dell’Istituto economico tedesco stima che un nuovo round di dazi potrebbe costare alla Germania 180 miliardi di euro in quattro anni, con una perdita di Pil pari all’1,5 per cento. Il Pil dell’Unione Europea invece potrebbe calare fino allo 0,5%, secondo il Kiel Institute for the World Economy (un think tank tedesco).

In ultima analisi, però, resta da capire se i dazi americani abbiano davvero raggiunto i loro obiettivi. Sì, hanno spinto la Cina a sedersi al tavolo delle trattative, culminando in un accordo commerciale nel 2020. Ma Pechino ha mantenuto le promesse? Due anni dopo, i dati mostravano che la Cina aveva acquistato solo una minima parte dei 200 miliardi di dollari di beni americani pattuiti.
Inoltre il deficit commerciale americano non si è ridotto e l’occupazione nel settore manifatturiero non ha registrato miglioramenti sostanziali.

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