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Fca – Renault: il ruolo di Nissan e dell’Italia nella svolta decisa da Elkann

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(Joe Raedle/Getty Images)

Da Nissan arriva, dopo una discussione “franca e trasparente” con i vertici di Renault, un’apertura alla collaborazione con il nuovo colosso dell’auto che nascerà dalla fusione tra il gruppo francese e FiatChrysler. E’ presto per cantar vittoria, ma si può parlare comunque di un successo, visto lo stato critico delle relazioni tra i francesi, decisi fino a pochi giorni fa ad imporre la fusione con Nissan, e gli interlocutori nipponici, pronti a rompere gli accordi con un partner più forte sul piano azionario ma assai più debole dal punto di vista industriale. John Elkann, che fin da domenica scorsa ha sottolineato l’importanza della gamba nipponica dell’operazione, necessaria per raggiungere la leadership mondiale nel mercato a quattro ruote, può tirare un primo sospiro di sollievo: non era affatto scontata la risposta di Hiroto Saikawa, il numero uno della casa giapponese. “Capisco le ragioni dell’intesa sia per Fca che per Renault – aveva dichiarato ieri in anonimo un consigliere della casa di Yokohama – ma che ci guadagniamo noi di Nissan?”. Dubbi alimentati dall’aspra concorrenza sul mercato Usa tra la casa nipponica (in forte calo di vendite negli States) e Jeep, il fiore all’occhiello del gruppo guidato da John Elkann.

Dubbi che domineranno anche i prossimi incontri che, salvo colpi di scena, si succederanno dopo l’atteso via libera, la prossima settimana, del consiglio Renault all’offerta Fiat. Probabile, ma forse solo dopo qualche correzione alla proposta iniziale, da quello che filtra dai giornali transalpini. “John Elkann – dichiara a Les Echos, il primo quotidiano finanziario, un esperto del settore – è stato molto abile, anzi un po’ subdolo (malin nella lingua di Molière) mentre noi rischiamo di far la figura dei grulli”. “Il presidente di Fca – spiega Gaetan Toulemond, analista di Deutsche Bank – fa riferimento solo ai prezzi del 24 maggio scorso, quando Renault è scesa ai minimi da cinque anni a questa parte” all’infimo valore di 51,7 euro, assai sotto alla media degli ultimi quattro anni (quasi mai sotto i 70 euro). Di qui la probabile richiesta di una revisione del prezzo (e, di riflesso, un calo del dividendo extra di 2,5 miliardi fissati per i soci Fca) in sede di cda. Difficile che venga accolto, ma altrettanto difficile che l’operazione possa fallire per questo motivo.

Più complicato rispondere alle obiezioni che emergono da analisti ed operatori. La maggioranza vede con favore l’operazione: il consenso raccolto da Bloomberg vede ora 12 gli analisti che raccomandano l’acquisto Fca su 27 pareri raccolti ad un target medio 16,1 euro. Non meno favorevole il giudizio sul gruppo francese, che finalmente potrebbe emergere dalla crisi scatenata dall’arresto di Carlos Ghosn. Ma i pareri si dividono quando si tratta di valutare le sinergie tra i due gruppi: è realistico il calcolo di 5 miliardi di euro in cinque anni? Sì, sostiene Philippe Houchois di Jefferies. Ne dubita Max Warburton di Bernstein, già protagonista di deliziosi teatrini con Sergio Marchionne (“Max I love you” ebbe a dire super Sergio di fronte alle critiche dell’analista più seguito nel mondo a quattro ruote). “Il rischio -dice – è di metter su una società ingestibile, che non tiene conto delle diverse sensibilità e priorità nazionali, destinata ad implodere di fronte ai problemi”, non ultime le necessarie ristrutturazioni, per ora escluse ma che, prima o poi, s’imporranno più in Italia che in Francia, dove i tagli sono già stati effettuati.

Ma, al di là degli ostacoli, scontati vista l’importanza del deal, resta il valore epocale della svolta avviata da Elkann e da Jean-Dominique Sénard in un momento di grande cambiamento confermato ieri dal varo della nuova alleanza globale, tecnologica ed industriale ma non finanziaria, tra Ford e Volkswagen.  L’industria dell’auto è obbligata, per vari motivi, a cambiare registro. Pesano: a) il calo delle vendite sui mercati più importanti; b) l’incertezza sulle regole ambientali che dovranno rispettare le auto; c) la transizione all’elettrico con le ricadute che comporterà sul lavoro (servirà meno manodopera) e sulle infrastrutture.

  • In questa cornice una cosa accomuna Fca, Renault e, in parte, la stessa Nissan: la fragilità delle singole aziende cui si può ovviare, in parte, con i benefici di un’alleanza che possa ridurre i costi della transizione. In un contesto in cui le nuove tecnologie e le tendenze dell’industria automobilistica (come le auto elettriche, la guida autonoma, ecc.) richiedono investimenti importanti, risulta fondamentale cooperare per sostenere tali investimenti, in particolar modo in un momento in cui il ciclo economico sta rallentando ed occorre cavalcare l’onda delle richieste del mercato.
  • Dal punto di vista tecnologico e del posizionamento sul mercato cinese l’apporto di Nissan e Mitsubishi sarà senz’altro utile, se non necessario. Ma molto dipenderà dalle decisioni sui dazi di Donald Trump.
  • Esistevano alternative all’operazione? Una sola: la cessione secca di Fiat Chrysler ad una società asiatica, ovvero ai coreani di Hiunday perché i cinesi non potevano aspirare al controllo di Jeep, visto lo scontato divieto di Trump. Elkann, che due anni fa aveva avanzato ai cinesi di Geely  una richiesta di 20 miliardi per il gruppo (senza Alfa e Maserati) ha optato per restare nel business, pur riducendo l’esposizione finanziaria. Una scelta ragionevole, anche perché i risultati di Exor al di fuori dell’automotive non brillano, viste le performances modeste di Partner Re.
  • Cosa cambia per l’Italia? Dal punto di vista industriale aumenterà probabilmente l’integrazione con l’industria francese, anche se la componentistica italiana è ormai solidamente agganciata al carro tedesco. Difficile pensare ad un rilevante aumento degli investimenti nel Belpaese che, dal punto di vista dei volumi, non può più puntare sulle piccole cilindrate, trasferite in Polonia, e aspetta da sempre il rilancio di Alfa Romeo. Può darsi che Renault possa dare la spinta tanto attesa- Ma Senard, fedele esecutore di ordini per anni in casa Michelin, non sembra l’uomo indicato per una grande avventura.
  • Ad accomunare Fca e Rénault, del resto, è soprattutto un destino: le due aziende, per motivi diversi, hanno perduto le due figure più carismatiche dell’industria dell’auto, Sergio Marchionne, e Carlos Ghosn, due nemici che cordialmente si detestavano e che mai sarebbero andati a braccetto.

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