di Pasquale Sasso
Il 2019 è certamente l’anno in cui buona parte della popolazione mondiale ha definitivamente compreso la necessità di porre rimedio a errori del passato e di invertire la rotta riducendo sprechi, inquinamento e consumi sproporzionati. Tutto questo con uno scopo tanto nobile quanto necessario: salvare il pianeta Terra da un collasso che se non è imminente, diventa certamente sempre più prossimo e probabile.
I leader mondiali non riescono – al momento – ad andare oltre a promettenti dichiarazioni d’intenti. I frequenti summit sul clima hanno infatti portato pochi risultati concreti e molti buoni propositi che mancano di solide basi programmatiche per esser portati a termine. La clamorosa uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi ha segnato un passo indietro devastante per chi lotta in favore della riduzione delle emissioni e inquinamento.
Il mondo della politica, complice la recente crisi, è infatti ingabbiato nella meccanica della ricerca del consenso a breve termine e i leader temono le impopolari decisioni che diventano strada obbligata per il bene comune. Ecco così che in modo crescente la popolazione si divide tra due vere e proprie fazioni.
Questo non vale però per i nati nella cosiddetta “Generazione Z”, ovvero per i nati tra il 1995 e il 2010. Questi giovani sono cresciuti e diventati adulti nel pieno della crisi finanziaria e della sua onda lunga, vedendo mancare alcuni capisaldi come la facilità di impiego, la solidità finanziaria, la semplicità di acquistare un’abitazione e di conseguenza sono cresciuti in un ambiente instabile e in cui la possibilità di programmare un futuro a medio-lungo termine è un raro privilegio.
Sorprendentemente hanno però sviluppato una sensibilità antitetica a questi fenomeni e si sono letteralmente fatti carico – reagendo – di un cambio di rotta, iniziando a concepire il futuro dell’umanità in modo meno individualista ed istantaneo. Il successo di Greta è dovuto a questo: membro anche lei della “Gen Z” è riuscita a diventare espressione formidabile di un disagio, di una sofferenza e di un senso di rivalsa dei giovani rispetto alle generazioni che li hanno preceduti.
Una indagine SWG riporta come per il 64% dei giovani “Gen Z” i cambiamenti climatici siano un problema primario, mentre per le generazioni precedenti questo sia vero solo per il 51% degli intervistati. Ancora, Greta Thunberg è vista come una figura positiva dal 60% dei “Gen Z” rispetto al 49% degli altri votanti, e il 77% dei giovanissimi la vede come una possibile leader del futuro. Un dato interessante: per il 90% dei giovani della Generazione Z le imprese devono impegnarsi maggiormente per la tutela del clima del nostro pianeta.
Vi sono aziende internazionali che da anni si spendono per il clima e per la tutela dello stesso. Due esempi di rilievo sono Timberland e Patagonia, brand di abbigliamento. La prima è impegnata dal 2001 in un programma mondiale di riforestazione ed è riuscita nell’intento di piantare oltre 10 milioni di alberi nel mondo grazie anche all’aiuto dei propri clienti, rendendoli veri e propri “eroi” e protagonisti di questa azione. Patagonia, celebre per un programma di qualche anno fa in cui spingeva i propri clienti a non comprare nuovi capi di abbigliamento ma piuttosto a ripararli gratuitamente, ha recentemente lanciato l’operazione “Patagonia Action Works” in cui si rende piattaforma di connessione tra i propri clienti e associazioni o gruppi che operano attivamente per la tutela del clima. Il cliente Patagonia può così interfacciarsi con queste realtà e avere un ruolo diretto nella lotta al cambiamento climatico. Aziende come Timberland e Patagonia, che negli anni hanno consolidato la propria utenza non attraverso un legame di prodotto ma attraverso un legame valoriale legato alla tutela del pianeta, vedono ora intensificarsi l’attenzione su questi temi e ampliarsi la base di fan del loro brand e della loro azione. In particolare, hanno grande presa nella Generazione Z riuscendo a creare con questi giovani un legame duraturo e proficuo per tutti.
Anche in Italia vi sono molte aziende impegnate direttamente in progetti come questo, non solo di grandi dimensioni. Una tra tutte è ADI Apicoltura, della famiglia Iacovannelli, azienda produttrice di miele italiano da oltre 150 anni e che festeggia nel 2019 i 20 anni di conversione al biologico. Oltre ad avere un ruolo diretto e pionieristico nella tutela del clima attraverso il lavoro delle proprie api in terreni biologici, ADI Apicoltura ha deciso da tempo di impegnarsi in modo più ampio coinvolgendo i propri clienti. I titolari hanno infatti ideato una linea chiamata “Biodiversità”, la quale esprime già nel nome la propria intenzione e devolve una percentuale dell’introito alla Fondazione Slow Food per la Biodiversità ONLUS. Il progetto #fioriovunque ha invece spinto diversi clienti a piantare fiori nei propri giardini al fine di supportare la sopravvivenza delle api. La ricompensa? Un weekend di apicoltura nella sede di ADI a Tornareccio (CH), per provare cosa significa effettivamente avere cura della natura.
Entriamo quindi – di fatto – in un nuovo momento del mercato, in cui il ruolo delle aziende nella tutela del pianeta Terra diventa centrale e concreto non solo attraverso le proprie azioni dirette ma mettendo al centro i propri clienti, rendendoli “eroi” e protagonisti di azioni che hanno un effetto positivo per tutta la popolazione mondiale
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