“Non c’è da dire niente […] Non ci sono parole che possano esprimere il mio stato d’animo […] Ho visto adesso, laggiù, dei bambini nella sala di rianimazione. Ma due stanno morendo, ormai […] Siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.
Sono le 17:30 del 2 agosto 1980, sabato, quando il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, dice queste parole di fronte alle telecamere. È in completo grigio chiaro, circondato dalla scorta e da una folla che lo guarda come se potesse riavvolgere il tempo, o almeno salvare qualcuno in extremis. E invece lui non riesce a trattenere le lacrime mentre parla.
È arrivato in elicottero a Bologna – e sarà l’unico politico a raggiungere il capoluogo emiliano prima delle esequie nazionali, officiate il 6 agosto nella basilica di san Petronio -, perché sette ore prima, esattamente alle 10:25, alla stazione centrale è esplosa una bomba nascosta in una valigia nella sala d’aspetto della seconda classe. Cinque chilogrammi di tritolo e T4, miscelati con 18 di nitroglicerina per uso civile, hanno sventrato la stazione e il treno Adria Express 13534, in sosta, hanno ucciso 85 persone e ne hanno mutilate o variamente ferite altre 200.
L’eccidio impone che per le operazioni di soccorso, continuate fino a notte fonda, si ricorra anche a mezzi civili, taxi e autobus interi, fra tutti il “37”, che con l’orologio bloccato sull’ora dell’esplosione diventerà il simbolo della tragedia.
Con la strage di piazza Fontana (del 1969), quella di piazza della Loggia a Brescia (1974) e quella del treno Italicus (1974), l’attentato di Bologna è uno dei più gravi atti terroristici della storia repubblicana. “Il più criminale” per dirla con Pertini, l’apice della strategia della tensione, che indagato negli anni rivelerà l’esecuzione materiale di attivisti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei armati rivoluzionari (i Nar), e il coinvolgimento di settori deviati dello Stato. In primis del Sismi, responsabile di un’azione di depistaggio ai danni della magistratura per cui verranno condannati Licio Gelli, il “maestro venerabile” della loggia massonica P2, e gli 007 italiani Pietro Musumeci (generale), Giuseppe Belmonte (colonnello) e Francesco Pazienza. La sentenza finale, arrivata solo nel 1995, condannerà anche Francesca Mambro, elemento di spicco dei Nar, e il suo compagno, nella vita e nell’attività terroristica, Valerio Fioravanti. A loro si aggiungeranno Luigi Ciavardini, nel 2007, e Gilberto Cavallini, condannato dalla Corte d’Assise lo scorso gennaio.
Sui mandatari della strage le ipotesi rimarranno diverse, compresa la “pista palestinese” – che riterrebbe la strage di Bologna un atto di ritorsione per la violazione del “lodo Moro” -, un’interpretazione sostenuta, fra gli altri, da Francesco Cossiga, all’epoca presidente del Consiglio, ma mai accettata da Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione famigliari delle vittime, e archiviata nel 2015 dalla procura felsinea.
Oggi, a quarant’anni esatti dal massacro, una visual novel interattiva contribuisce a tenerne viva la memoria. Si intitola BO020880 e da giovedì è disponibile gratuitamente qui.
Ideata e realizzata dall’associazione Ipid (Italian Party of Indie Developers) in collaborazione con l’Associazione delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980, la graphic novel digitale è illustrata dalle studentesse e dagli studenti e dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Di per sé, le figure coinvolte nel progetto sarebbero già una indicazione dell’opportunità di tornare su una delle pagine più tragiche della nostra storia con mezzi diversi da reportage giornalistici, documentari o dotte riflessioni ex post. Eppure sul punto è bene soffermarsi, visto che il progetto coinvolge autori non nuovi a operazioni di questo tipo, vale a dire all’utilizzo del videogioco o di suoi “derivati” quale mezzo documentaristico – un esempio su tutti è Progetto Ustica, di IV Productions, software house bolognese non estranea a BO020880.
Detto altrimenti, quanto si è dalle parti di una estetizzazione, o mutatis mutandis, ludicizzazione di una materia che è quanto mai poco opportuno trattare con poco rispetto e ancor meno tatto? Viene in mente quella scena di Kapò, in cui, per un ralenti sul braccio di una vittima in un lager nazista, Gillo Pontecorvo venne accusato dal critico Jacques Rivette di fare “pornografia”, di subordinare una tragedia a finalità estetico-stilistiche. È legittimo e soprattutto utile che un evento costato la vita a decine di innocenti diventi un’esperienza interattiva quarant’anni dopo?
Senza troppi giri di parole, la risposta non solo è positiva, ma trova valore proprio nelle peculiarità espressive del mezzo usato. E, se si vuole, nel ruolo attivo che, da casa, impone una condizione necessaria per conoscere: il voler sapere. Il non smettere di cercare. In questo senso è quasi un omaggio, si perdoni l’eventuale volo pindarico, a chi per anni ha faticato per far emergere fatti e responsabilità da una cortina fumogena mai del tutto scomparsa.
BO020880 inizia dalla fine. Parte dall’esplosione delle 10:25, come a considerarla contesto. Il suo obiettivo non è la cronaca della tragedia, quella che potrebbe concedere il fianco a una prurigine morbosa. È su altro che si sofferma, sull’aspetto meno evidente e più importante: la progressione parallela di 85 vite e del piano architettato per spezzarle.
L’efficacia dell’esperienza trae forza dalla sua semplicità. Senza fronzoli, asciutta, affastella neutra 85 vicende personali, microscopiche parentesi del tran tran quotidiano, 85 ritratti, a mo’ di fumetti, che in pochissime parole riescono a evocare vite intere, anzi mondi diversi, solo per un tragico caso destinati a condividere l’ultimo frammento del (loro) tempo. Cliccando sulle icone distribuite nella stazione e nella piazza antistante, là dove la ricostruzione ha individuato la posizione delle vittime nel momento dell’esplosione, pop up con testi asciutti, quasi orfani di aggettivi, restituiscono un saluto fra due amanti, un abbraccio di commiato fra famigliari pronti a separarsi per le vacanze o a ricongiungersi con qualcuno in arrivo da chissà dove.
I brevi testi raccontano di riviste e libri letti in attesa di partire o di vedere arrivare qualcuno, dicono di progetti per la serata, per la vacanza imminente o per il futuro. Quel futuro che, nessuno poteva saperlo, sarebbe stato negato o mutilato pochi secondi dopo. Nessuno tranne le entità oscure che nel mentre, complici frange deviate dei servizi segreti e personalità di vario livello nella gestione della cosa pubblica, tramavano nell’ombra per inginocchiare il Paese con una ferita profonda, una di quelle capaci di esporre le viscere per terrorizzare chiunque le avrebbe viste, una ferita forse impossibile da rimarginare. A loro, ai Nuclei armati rivoluzionari e ai complici sparsi fra la P2 di Gelli, BO020880 dedica disegni su sfondo nero con un contrappunto musicale sinistro, composto da Marta Ascari. Quella dei responsabili è una storia nella storia, strisciante, nascosta come un virus o un predatore acquattato nel buio prima di colpire.
“Nessuna opinione o ipotesi, solo fatti ricostruiti sulla base delle sentenze giudiziarie” sottolineano gli autori. E hanno ragione: BO020880 non elemosina emozioni facili. Non indugia, non ammicca. Non ne ha bisogno: perché è una testimonianza nuda e per questo ancora più spietata, è uno sguardo necessario che per come è strutturato implica un’azione, una volontà, per essere mandato a memoria.
“Siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia” e no, non servono parole. Serve agire per prenderne coscienza. Per non dimenticare la ricerca della verità.
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