Andrea Baggio
Business

Gli angeli custodi della web reputation (e della credibilità) di aziende e privati

Andrea Baggio, fondatore Reputation Up

Articolo apparso sul numero di Forbes di settembre 2020. Abbonati

Il 70% dei consumatori  non acquista da aziende che hanno quattro o più articoli negativi nei risultati di ricerca Google. Nell’era dell’esposizione digitale, sia per i privati sia per le aziende, è diventato fondamentale tutelare la propria identità digitale. Ecco perché, quando si parla di reputazione online, un post comunicato in maniera erronea e un commento non ponderato possono arrivare a compromettere l’immagine costruita da una persona fisica o giuridica fino ad alterarne la credibilità nel mercato. In altre parole, la rete non dimentica, e le tracce della nostra attività online sono spesso restie alla rimozione. Per capire quanto simili aspetti possano incidere sulla nostra vita sociale basti pensare all’esempio della Cina dove, attraverso, il Social Credit System, si sta pensando di valutare i cittadini con un punteggio social basato sulla loro reputazione online. C’è chi come l’imprenditore veneto Andrea Baggio, con la sua azienda Reputation Up, combatte ogni giorno questi fenomeni.

Partiamo dalla definizione di web reputation: in cosa consiste l’attività di pulizia della credibilità online?

Faccio un esempio pratico: in passato, se volevi decidere dove acquistare un prodotto, per raccogliere qualche opinione ti bastava parlare con le persone di fiducia del tuo vicinato. Oggi, con questa onnipresenza online che ci riguarda tutti da vicino, il dibattito si è spostato in rete dove la reputazione di ciascuno è a dir poco determinante. Un esempio? Il 97% degli imprenditori afferma che la gestione della reputazione è la principale chiave di successo per i loro business nel 2020. E questo si è accentuato soprattutto adesso che, causa Covid-19, molte aziende che prima non avevano una presenza online si sono dovute ricredere.

Oggi molte aziende affidano ai social la loro strategia di comunicazione. Quali sono i rischi legati a simile scelta?

Tante aziende spesso sottovalutano le implicazioni relative alla loro web reputation, che ci piace chiamare anche stretta di mano virtuale, perché rende bene l’idea di una sorta di ponte immaginario che si instaura dietro lo schermo tra la società come persona giuridica e il consumatore. Se è così non si perde autenticità nel rapporto relazionale? Forse. Ma dall’altra parte, potendo conoscere online qualsiasi informazione su un dato marchio, l’utente si sente in un certo senso più protetto. Certo, non trascurare il lato umano è altrettanto importante quando si parla di reputazione online. Prendiamo il caso di LinkedIn: fino a due anni fa era frequente trovare annunci pubblicati da parte delle aziende mentre oggi è il ceo della stessa a scendere in campo in prima persona per parlare della sua realtà. Il risultato? Un aumento dell’engagement della società e quindi una migliore reputazione.

La diffamazione online è oggi veicolo di fenomeni come il cyberbullismo e il revenge porn. Cosa fate per combatterli?

I canali social hanno certamente accentuato questi fenomeni e amplificato la loro curva di reazione. Per fortuna, di recente si sono sviluppate iniziative come la campagna Stop hate for profit, portata avanti per spingere Facebook e in generale i giganti social a intervenire con maggiore decisione su hate speech, razzismo e altri contenuti problematici. Quello che noi di Reputation Up facciamo in concreto è aiutare aziende e persone fisiche a imparare a utilizzare i social media nel modo più corretto. Penso che, in generale, un’idonea condotta online dovrebbe essere insegnata anche a scuola.

Un tema annoso è quello dell’eliminazione di link diffamanti che chiama all’appello il cosiddetto diritto all’oblio. Al di là dei risvolti giuridici, in quali casi un’azienda si rivolge a voi?

Di solito cerchiamo di trovare soluzioni alternative rispetto a quelle propriamente legate al diritto, che hanno una componente tecnica legata al codice etico dell’azienda in questione. L’obiettivo finale è che il contenuto venga rimosso e a questo proposito promuoviamo la deindicizzazione del contenuto online. Mi piacerebbe a questo punto fare un distinguo in materia di web reputation. Esiste infatti quella passiva e quella attiva: la prima si verifica quando l’informazione di una data azienda è reperibile attraverso link, social e siti terzi come ad esempio Tripadvisor, mentre la seconda è direttamente gestita dalla società, che monitora quindi in maniera più incisiva la sua credibilità online.

Per monitorare la reputazione online avete sviluppato uno strumento ad hoc, il RepUp Monitoring Tool. Come funziona?

Si tratta di un software che combina big data e artificial intelligence per analizzare cosa dice la rete del tuo brand aziendale o personale. Uno strumento utile anche per osservare il comportamento dei competitor, ad esempio. In particolare, il tool intercetta in tempo reale qualsiasi contenuto online correlato al tuo brand, ai buyer o agli influencer di settore, e ti invia un alert, via mail o sms, ogni volta compaiono nuovi contenuti. E le fonti sono tantissime: motori di ricerca, nuovi media, newsletter, blog, forum, social network, siti di recensioni, broadcast.

C’è poi il Reputation Score, che calcola il valore reputazionale e l’indice di rischio connesso a una qualsiasi entità fisica, giuridica o digitale: in quali casi viene utilizzato?

Il Reputation Score analizza siti, pagine e profili web collegati a una data persona fisica. Si tratta di uno strumento di autenticazione online maggiore. L’obiettivo è certificare lo score reputazionale dell’entità esaminata attraverso una piattaforma avanzata di analisi e investigazione che processa dati multilingue in tempo reale. Il Reputation Score, inoltre, provvede informazioni precise e certificate su 12 categorie di reato associato quali il riciclaggio, il crimine organizzato e la contraffazione

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