È nato e cresciuto a Vancouver, in Canada. E, nonostante sia diventato una star di Hollywood, Ryan Reynolds continua a essere molto legato al suo paese. Rimane attaccato ai suoi valori originari: etica, dedizione al lavoro, famiglia. Un po’ per motivi professionali, un po’ per rimanere lontano dai riflettori, ha deciso di stabilirsi a Pound Ridge, vicino Bedford, nello stato di New York. Vive con la moglie, l’attrice Blake Lively (tra il 2008 e il 2011 è stato sposato con la collega Scarlett Johansson), e i loro tre figli. Reynolds ama improvvisare battute e scherzi, non si prende troppo sul serio. Rivela spesso un’acuta intelligenza e attenzione, come una forte praticità e concretezza. Ha straordinaria capacità di girare ogni situazione nella direzione che preferisce: tutte qualità che lo hanno portato a raggiungere il successo.
Ryan è anche un imprenditore e filantropo. Proprio come uno dei suoi più cari amici, l’attore Hugh Jackman, è produttore, investitore e mago del marketing con la sua azienda, Maximum Effort Marketing, e la sua casa di produzione, Maximum Effort Productions. È stato molto attivo perfino durante la pandemia: ad agosto 2020 ha venduto la sua azienda di gin, Aviation American, al gigante delle bevande britannico Diageo, per 610 milioni di dollari. L’accordo prevede che Reynolds rimanga il volto del marchio almeno fino al 2030. Sono suoi molti spot del brand, come le sue Memories a tema Covid, popolarissime online. E così anche diversi video che lo mettono in competizione – o meglio, in partnership – con Jackman e la sua azienda di caffè, la Laughing Man Coffee Company. I due, alla fine, si sono fatti pubblicità a vicenda.
Reynolds ha annunciato di recente che devolverà il 30% degli incassi del suo Aviation American Gin allo United States bartenders guild, associazione professionale dei baristi e di altri operatori dell’ospitalità, per supportare chi ha perso il lavoro. “I baristi rappresentano una delle categorie colpite più duramente dalla crisi”, dice. L’attore fa talvolta anche product placement nei suoi film. Ha stretto partnership come quella con sir Richard Branson e la sua Virgin Atlantic. “Mi piace collaborare con persone che hanno un’enorme brand equity da condividere con te”, spiega.
Assieme al suo socio in affari, Rob McElhenney, Ryan ha comprato il Wrexham, squadra di calcio del Galles del nord. A novembre 2019 ha acquistato una partecipazione nella società di telecomunicazioni Mint Mobile. “Mentre tutti gli altri titani della tecnologia sono a caccia di razzi, io metterò all’angolo il settore wireless a basso costo”, scherza. “Come la maggior parte delle persone, utilizzo i razzi solo 10-12 volte l’anno, ma utilizzo il mio servizio di telefonia mobile tutti i giorni”.
Nel 2020 Ryan è anche entrato nel consiglio di amministrazione di Match Group, proprietario di Match.com, Tinder, OkCupid e altri brand del mondo del dating. “Ormai quasi non ci si ricorda più di come ci si incontrava prima di cominciare a conoscersi online. Ritengo che questi servizi avranno un potere e una responsabilità sempre maggiori in futuro. Per questo conviene investire nel settore”.
Ryan continua a essere molto impegnato a Hollywood. È una delle star più richieste sia dal mondo del cinema che da quello della moda (nel 2019 è stato scelto come volto di Armani Code per la campagna per il profumo Absolu). Su Netflix ha lanciato con successo 6 Underground e ha in uscita Red Notice, con Gal Gadot e Dwayne Johnson. Inoltre, dovrebbe essere presto in un progetto Apple, A Christmas Carol, come interprete e produttore. Nel suo futuro ci sono Deadpool 3 (i primi due film della serie hanno guadagnato oltre 1,5 miliardi di dollari) e la commedia Free Guy, di cui è interprete e produttore. Di recente ha cominciato anche The Adam Project, diretto da Shawn Levy. Reynolds sostiene anche GroupEffortInitiative.com, un’iniziativa con cui si è impegnato a portare sul set 10-20 persone appartenenti a gruppi etnici sotto-rappresentati, per permettere loro di imparare dai professionisti.
Come ha deciso di intraprendere la carriera da attore?
Sono cresciuto in un ambiente molto lontano da quello dell’intrattenimento o dell’arte. Mio padre era un poliziotto, come due dei miei tre fratelli più grandi. In famiglia siamo sempre stati molto uniti, ma io avevo uno spirito più ribelle. In principio, pensavo di diventare pompiere. Cominciai a studiare, ma presto mi dissero che non avevo possibilità, per via della scarsità di lavoro. Cercavo qualcosa che mi permettesse di uscire presto di casa ed essere indipendente. Cominciai quindi a seguire lezioni di arte drammatica a scuola. Dimostrai subito talento e, dopo qualche rifiuto, che mi spinse a impegnarmi ancora di più per ottenere provini, ricevetti offerte di lavoro (tra questi lo show Fifteen, in cui recitò a 14 anni, ndr). Quando andai al college, lo trovai noioso. Decisi allora di trasferirmi a Los Angeles, per inseguire il sogno di diventare attore. In fondo, l’alternativa che avevo, per guadagnare qualche soldo, era di guidare carrelli elevatori da Safeway in Canada. Partii un giorno sulla mia Jeep, senza avvisare nessuno, verso la California.
Gli inizi furono difficili?
Mi accorsi da subito che dovevo fare sul serio e rimanere focalizzato sui miei obiettivi, se volevo avere successo, perché la competizione era brutale. Ti credi speciale, ma quando ti trasferisci in una grande città come Los Angeles o New York, dove ci sono milioni di persone con il tuo stesso talento e perseveranza, ti rendi conto che non lo sei. Recitare, però, mi piaceva. Sapevo che mi avrebbe permesso di viaggiare molto e si identificava col mio stile di vita avventuroso, ribelle, selvaggio. Il processo per arrivare al successo fu lento: ci vollero circa otto anni prima che ottenessi un grosso ruolo, quando ne avevo 22. Prima dovetti imparare molto.
Essere canadese invece che americano l’ha aiutata in qualche modo? Negli Stati Uniti si dice spesso che i canadesi sono persone con “i piedi per terra”.
Di certo avere la mentalità di chi è cresciuto a Vancouver mi aiutò a considerare il lavoro più come un mezzo per guadagnare. Non mi preoccupavo di avere successo a tutti i costi o di fallire. La nostra cultura ci insegna a essere molto educati e cortesi con tutti, anche se non si ottiene il risultato sperato, e credo che questo mi abbia aiutato. Non mi sono mai preso troppo sul serio, non mi aspettavo di diventare una star. Consideravo la recitazione un lavoro come un altro. La mia priorità era rispettare gli orari, essere sempre puntuale sul set e preciso sul lavoro, non fare perdere tempo. Penso sia stato questo a farmi differenziare nella scena hollywoodiana: questo mio atteggiamento ha colpito, perché era un approccio più distaccato. Essere eletto uomo più sexy da People magazine mi sorprese proprio perché io non amavo essere glamour o andare ai party, se non per lavoro. Ero il tipo che preferiva starsene a casa a leggere libri – cosa che si è rivelata poi molto utile nel mio lavoro come produttore -, fare cene con gli amici e raccontare storie intorno al fuoco. Oppure, mi piaceva fare gite con la motocicletta (ne ha una collezione: ama lo stile classico delle Triumph, possiede una Bonneville, una Tiger e una Thruxton, ndr) e andare in campeggio.
Quando nessuno ci credeva, lei ha deciso di aiutare a produrre il primo Deadpool, poi ha prodotto e co-sceneggiato il secondo film. È diventato così, oltre che una star, anche uno dei più potenti produttori.
Sarebbe cool dire che da ragazzo ero un nerd che leggeva fumetti. In realtà non era così, ho scoperto Deadpool solo nel 2005. Mi sono però identificato da subito con molti aspetti e debolezze del personaggio. Per esempio, con quel suo modo di parlare e di non prendersi troppo sul serio, a differenza di tanti supereroi. Per quel suo lato, in fondo, più umano. Ho pensato che tanta altra gente si sarebbe sentita come me. Non fu facile, però: ci vollero almeno dieci anni, prima di convincere la casa di produzione della mia idea. Sapevo come potevo trasformare il personaggio di Deadpool in un supereroe che non si era mai visto prima. Penso spesso che la chiave del successo sia portare progetti, o prodotti, in direzioni diverse e inaspettate, che destano interesse. E un po’ di ironia, quel sapere ridere di se stessi quando si fanno errori, per me è sempre stata un’altra arma vincente, personalmente e professionalmente. E sì, produrre mi piace molto. Sono io a decidere e non devo aspettare anni per avere una risposta. So di avere una certa esperienza, in fondo, in quello che può piacere al grande pubblico. Già da attore avevo notato di essere abile nel risolvere conflitti: una qualità fondamentale per un produttore, che domina una sorta di grande macchina che non deve mai fermarsi.
Nel 2018 ha acquisito, invece, una partecipazione nell’Aviation American Gin, sottolineando che, oltre a essere proprietario del brand, ci teneva ad avere la direzione creativa e ad avere un ruolo attivo nel business.
Le celebrity tendono spesso a investire in prodotti di bellezza o alcolici (ride, ndr). Nel mio caso, però, non pensavo di investire in un gin, finché non mi capitò di provare questo su un set in Canada. Aviation American Gin era, allora, una piccola distilleria di Portland, nell’Oregon. Sapevo di poter contribuire attivamente al marketing creando spot pubblicitari divertenti e utilizzando i canali social, che già ho sperimentato per la promozione dei film. È giusto sottolineare, comunque, che essere un nome noto non basta: l’elemento cruciale è la qualità del prodotto. Magari la gente lo acquista perché viene colpita dal volto di una star, ma poi, se lo trova scadente, non lo consuma più. Per questo ci tenevo a essere presente in ogni aspetto del business. Mi piace l’integrità in questo mondo imprenditoriale, dove spesso basta una stretta di mano per concludere un affare.
Lei e sua moglie Blake fate molta beneficenza. Supportate l’organizzazione Make-A-Wish e la Michael J. Fox Foundation, organizzate crowdfunding per persone in difficoltà. Ha lanciato anche la campagna di donazioni Make Ryan Pay: “Se avete mai odiato uno dei miei film, questo è il momento per la vendetta”.
Io e Blake sappiamo di essere stati molto fortunati e ci teniamo a sostenere la comunità, senza la quale, del resto, non saremmo dove siamo: si diventa famosi proprio grazie al consenso della gente. Entrambi veniamo da famiglie molto numerose e sappiamo quanto sia difficile “arrivare alla fine del mese” per molte persone. Siamo una coppia unita, entrambi abbiamo cominciato a lavorare duro già da giovanissimi. Con la stessa dedizione e passione ci teniamo ad aiutare gli altri, per quanto possiamo. Penso che questo senso della comunità e il nostro attivismo siano uno dei valori comuni che ci ha unito di più nella nostra relazione.
Avete donato anche un milione di dollari per aiutare a promuovere la leadership tra le donne delle first nation, i popoli indigeni del Canada.
Il mondo sta cambiando rapidamente e una cosa di cui siamo sicuri è che le comunità sono guidate meglio dall’interno. Per questo, siamo convinti che le donne indigene siano le leader che svilupperanno meglio proposte, progetti, approcci per aumentare il capitale sociale delle proprie comunità, organizzazioni e nazioni.
Lei è stato molto attivo anche durante il Covid. Tra le varie iniziative, ha mandato materiale protettivo in Nuova Scozia assieme al giocatore di hockey Hayley Wickenheiser, ha collaborato alla campagna per stare a casa al sicuro e, con sua moglie, ha donato 1 milione di dollari a Feeding America e a Food Banks Canada.
Il Covid ha segnato brutalmente la vita delle famiglie a basso reddito. Chiunque possa donare qualcosa per aiutarle non dovrebbe tirarsi indietro. Noi lo abbiamo fatto in America e in Canada, ma la situazione è uguale in tutto il mondo. Ognuno dovrebbe riflettere e prendersi le sue responsabilità.
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