“Sono cresciuto a pane e finanza”, dice di slancio Giacomo. “Io vinsi i concorsi per agente di cambio in tutte le dieci Borse valori d’Italia e dopo due anni fu decretata la fine di questa figura professionale”, ricorda con un sorriso Amedeo. “Suoi difetti? Non me ne vengono…” “Lui? È un buon incassatore, anche troppo”.
Amedeo, 61 anni, e Giacomo Giurazza, 34, padre e figlio, sono una coppia singolare del venture capital italiano, se non altro perché si tratta di un settore ancora giovane dove è difficile trovare gestori di fondi di capitale di rischio con figli di età tale da poter entrare in squadra: la loro si chiama Vertis, società di gestione del risparmio creata nel 2001, la prima e ancora oggi unica del Sud, che dal 2009 investe anche su startup e scaleup: un team di 14 persone, quasi 100 milioni investiti, un portafoglio in cui brillano campioni di innovazione come Milkman, Entando e Credimi. Alle scaleup, le startup cresciute bene, è dedicato il fondo lanciato a fine aprile, che vede la promozione di Giacomo a investment manager. “Lavoriamo insieme dal 2015 e ha impiegato a fare carriera molto di più di quanto non sarebbe accaduto in qualsiasi altro posto, proprio perché è mio figlio e non volevo che sembrasse avvantaggiato”.
Non mancano quindi le occasioni per una prima intervista a due voci. Perché oltre il ventennale di Vertis e l’avanzamento di Giacomo nell’azienda di famiglia c’è un altro anniversario da festeggiare: i 30 anni di Amedeo, startupper della finanza. C’erano una volta gli agenti di cambio, prestigiosa figura di intermediari finanziari a cui bisognava rivolgersi per comprare e vendere titoli in Borsa. “Nel 1989 divento uno dei 225 agenti di cambio italiani, che lavoravano con circa un migliaio di procuratori, solo per due anni. Nel 1991 una legge fa nascere le Sim e decreta la fine di quella figura professionale introdotta da Napoleone. Esplode la categoria dei promotori finanziari. Aveva senso essere uno fra centinaia di migliaia? Non c’erano invece molti operatori di private equity e nessuno al Sud: ero quarantenne e decisi così di fondare Vertis con un altro ex procuratore di Borsa Renato Vannucci”.
Giacomo ha mai pensato di lanciare una tua startup? D’istinto risponde “No”. Poi ammette: “Il mio lavoro mi mette costantemente in contatto con tante valide realtà che cercano di innovare i propri mercati di riferimento e l’idea di mettermi in gioco, anche con una mia iniziativa, qualche volta mi affascina. Ma mi rendo conto che non è praticabile perché sarebbe necessario impegnarsi full-time e quindi non potrei continuare l’attività che attualmente sto svolgendo. Vertis rappresenta il mio presente e il mio futuro, tutte le mie energie devono essere concentrate nella Sgr”.
Il Fondo Vertis Venture 5 Scaleup, il terzo dedicato a questo segmento di imprese, ha come obiettivo 100 milioni entro il 2022. “I primi 40 saranno raccolto entro luglio e abbiamo già alcuni investimenti in preparazione”, spiega Amedeo. “il ticket minimo sarà fra i 3 e i 6 milioni e investiremo in società che hanno sviluppato tecnologie industriali e digitali, con un fatturato di almeno 2 milioni, un round di finanziamento precedente e un team qualificato, le persone sono la cosa più importante”. Come lavorano padre e figlio insieme? “Io analizzo e contribuisco alla valutazione finanziaria di innumerevoli proposte di investimento, seguendole in tutte le loro fasi di analisi e collaboro con il resto del team anche nella fase negoziale. Gli aspetti contrattuali, termsheet (le clausole dell’accordo di finanziamento, ndr) e closing (la chiusura dell’investimento, ndr) sono generalmente di competenza di mio padre, come anche il fund raising per l’avvio di nuovi fondi”, racconta Giacomo che non siede nel comitato d’investimento, a cui spetta l’ultima parola: ne fanno parte Amedeo, Giulio Valiante e Alessandro Pontari, che decidono sempre all’unanimità..
Padre e figlio sono sempre d’accordo? “Qualche volta no. Giacomo non avrebbe fatto alcun deal ma dovremo aspettare qualche anno per sapere chi aveva ragione”, dice Amedeo che descrive il figlio con tre aggettivi: leale, determinato, un gran lavoratore (anche se questo non è un aggettivo…). Nessun difetto? “Fin troppo accomodante. Fossi io in lui mi ribellerei alzerei la voce un po’ prima. È però l’altra faccia di una virtù: Giacomo è molto più disponibile di me, io vedo bianco o nero, ho poche scale di grigio. Lui invece è più aperto a valutare le sfumature”. Per il padre Giacomo non trova aggettivi adeguati (lo definisce un “pioniere della finanza altenativa al Sud”) e neanche difetti, anche se messo alle strette dice: “Dovrebbe arrabbiarsi di più a volte…”.
La cosa più difficile? “Trovare i capitali. Le imprese su cui investire non ti arrivano su un vassoio d’argento ma ci sono. Mancano gli investitori che credono nel venture capital e sono disposti ad accettare il suo livello di rischio. In Italia devono ancora muoversi compagnie di assicurazione e fondi pensione”, spiega Amedeo, che di recente ha avuto una bella soddisfazione: la vendita della startup pugliese Auto XY, un motore di ricerca di auto usate, a Gedi, editore di La Repubblica e La Stampa, e l’exit della napoletana Cogisen attiva nell’eye tracking e data compression a una big tech company Usa quotata. “Un ritorno interessante per gli investitori: quattro volte il capitale”. Non mancano ovviamente le delusioni anzi, come dice lui, i rimpianti. Il più grande si chiama Mosaicoon, la startup siciliana fallita nel 2018. “Era nata con noi, Ugo Parodi è uno startupper modello. Un vero peccato perché aveva rappresentato un sogno per tutta la Sicilia”.
I Giurazza hanno mantenuto salde le radici a Napoli, dove sono sempre rimasti cuore e casa. “Sarebbe stato più comodo trasferirsi a Milano, perché non è facile fare questo tipo di lavoro al Sud, ma abbiamo mantenuto sempre la sede qui e sette anni fa abbiamo aperto un ufficio anche a Milano”, racconta Amedeo. Il tour di formazione ha portato Giacomo a Londra e a Milano, “ma sin dall’inizio avevo chiaro l’obiettivo: fare esperienza per tornare poi in Vertis”. Lui è il primo di tre fratelli: Gianluca fa il commercialista, Giorgio è laureato in farmacia ma fa il manager della sanità, “l’altro ramo di attività della famiglia”, segnala Amedeo. “Mia moglie è azionista di una clinica attiva nel settore della riabilitazione”.
In una famiglia così il tempo libero è un concetto relativo. “Ci mandiamo whatsapp di lavoro anche a mezzanotte”, ammette Giacomo. “Io la domenica faccio il nonno con le mie tre nipotine: Aurora e Bianca di Giacomo, Paola di Gianluca”, confessa Amedeo che da due anni ha dovuto rinunciare alla sua grande passione: le Isole dei Caraibi. Che conosce bene quasi come le startup italiane.
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