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La manager italiana che sta lottando per abbattere il “soffitto di cristallo” nel mondo del lavoro

Nel 1978, la consulente aziendale Marilyn Loden coniò l’espressione “soffitto di cristallo” per intendere quella serie di ostacoli che si frappongono all’avanzamento di carriera di una persona per motivi sociali o di genere. Qualche anno dopo, nel 1984,  Gay Bryant, fondatrice ed ex-direttrice della rivista Working Woman, dichiarava in un’intervista: “Le donne hanno raggiunto un certo punto – io lo chiamo il soffitto di cristallo. Si trovano nella parte superiore del management intermedio, si sono fermate e rimangono bloccate. Non c’è abbastanza spazio per tutte quelle donne ai vertici. Alcune si stanno orientando verso il lavoro autonomo. Altre stanno uscendo e mettono su famiglia”.

Tornando a tempi più recenti, se c’è una manager che si è sempre adoperata per abbattere quel soffitto è Virginia Magliulo, presidente Employer Services International ADP, che sottolinea da sempre come la carriera non le abbia impedito di svolgere al meglio anche il proprio ruolo di moglie e madre ma che, per raggiungere la parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro, i passi da fare sono ancora molti. Un aneddoto, forse, il più significativo di tutti: all’inizio della sua carriera le fu consigliato, in caso di ritardo al lavoro per problemi di figli, di raccontare piuttosto che le si era bucata una gomma perché le avrebbe sicuramente causato meno problemi.

Ingegnere, sposata e mamma di tre figli, dopo il diploma scientifico conseguito a Parigi, Magliulo si è laureata in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, ottenendo poi una specializzazione certificata dal Project Management Institute di Washington. Ha iniziato la sua carriera come ingegnere di cantiere lavorando tra Londra, Parigi, Strasburgo e Israele. La sua scalata in ADP, multinazionale americana leader nella gestione del capitale umano in cui è entrata nel 2015 come direttore del servizio clienti, la porta, dopo soli cinque mesi, a una promozione come direttore generale di ADP Italia. Nel 2017 è diventata general manager per il Sud Europa e due anni dopo presidente Global view, ruolo che l’ha portata a trasferirsi a Barcellona. Oggi guida un team di 14mila persone.

Ma torniamo al tema della soddisfazione nell’ambiente di lavoro. Secondo un’indagine condotta dalla società, People at Work 2021: A Global Workforce View, un terzo dei dipendenti europei non è soddisfatto del modo in cui è gestito. In particolare, è stato chiesto ai lavoratori italiani: “Cosa ti ha offerto il tuo datore di lavoro nel momento in cui hai assunto responsabilità aggiuntive e/o un nuovo ruolo?”. Il 29% degli uomini ha ricevuto un aumento di stipendio contro il 24% delle donne. Il 32% degli uomini un bonus economico contro il 26% delle donne.

Dall’analisi delle interviste emerge che sono più le donne a sentirsi spesso emarginate (39% contro il 33% degli uomini), ovviamente per motivi di gender (17% contro 3,7% degli uomini), per la gestione figli (7% vs 1% degli uomini) ma anche per l’aspetto fisico (6% vs 3%). Se invece analizziamo il campione dal punto di vista dell’età, con il 45% che dichiara di essersi sentito discriminato, è la fascia 18-24 quella che sembra subire di più, ovviamente la prima causa è in questo caso la giovane età (un problema per il 20% degli intervistati tra i 18 e 24).

Ho letto che un giorno, all’inizio della sua carriera, le fu consigliato in caso di ritardo al lavoro per problemi di figli, di raccontare piuttosto che le si era bucata una gomma. E’ andata proprio così?
In effetti questo episodio è capitato. Ho tre figli, e un giorno ho fatto tardi a una riunione importante perché mio figlio si è svegliato con la febbre. Quando sono arrivata in ufficio una collega senior mi ha consigliato di usare “una scusa da uomo”. Credo sia dovuto al fatto che in passato, per affermarsi come leader, fosse prassi comune per le donne assumere uno stile di leadership maschile. Non ho seguito il consiglio, ho sempre creduto e credo tuttora che in ufficio tutti debbano essere autentici. Sono sempre stata molto fiera di essere donna, mamma e ingegnere allo stesso tempo.
Come sono stati gli inizi?
Sono partita con un lavoro molto tecnico, lavorando come capo cantiere nell’ambiente dei gas industriali. Non semplice, mi ricordo un cantiere senza bagni per le signore, o situazioni in cui supervisionare i lavori significava lavorare per due mesi e mezzo senza incontrare un’altra donna. Sono poi passata al settore informatico, dove la situazione era migliore, ma mi è capitato di partecipare a un convegno sull’innovazione a Roma con cento partecipanti e due sole donne. Sicuramente queste situazioni intimidiscono un po’, ma ho sempre “trovato la mia voce”, ho fatto parlare il mio lavoro, la passione e l’energia, la professionalità, la capacità di risolvere problemi. Ho trovato manager intelligenti, che hanno visto in me la professionista e mi hanno dato la possibilità di avanzare nella carriera e al contempo crearmi una famiglia.
I dati delle vostre ricerche parlano chiaro: la disparità è una componente ancora molto forte nell’ambiente di lavoro. Cosa dovrebbe cambiare?
Il problema non è il numero di donne in assoluto ma la percentuale di donne che riesce a fare carriera. Un’azienda di successo deve rappresentare la società in cui opera, i clienti a cui vende i suoi servizi. La diversità è una ricchezza e rappresenta un vantaggio competitivo. Non mi riferisco solo al gender ma all’etnia, alla religione, all’orientamento sessuale e alla salute mentale. Un’ azienda inclusiva è in grado di attrarre e trattenere i migliori talenti, generare idee innovative e migliorare il clima in azienda. Ci sono molti modi per aumentare la quantità di donne leader. Per esempio, quando si selezionano candidati per una posizione importante, assicurarsi di avere candidati uomini e donne in egual misura, oppure togliere il nome da un curriculum per valutare solo le esperienze, senza preconcetti.
Questo tipo di disparità incide anche sulla Generazione Z?
Purtroppo si. L’istituto di ricerca di ADP ha intervistato circa 32.500 lavoratori in tutto il mondo, duemila in Italia, e dall’analisi delle interviste emerge come siano più le donne a sentirsi spesso emarginate (39% contro il 33% degli uomini), ovviamente per motivi di gender (17% contro 3,7% degli uomini), per la gestione figli (7% vs 1% degli uomini) ma anche per l’aspetto fisico (6% vs 3%). Se analizziamo il campione dal punto di vista dell’età, con il 45% che dichiara di essersi sentito discriminato, è la fascia 18- 24 quella che sembra subire di più, ma la prima causa è in questo caso la giovane età (un problema per il 20% degli intervistati), mentre il 13% per il sesso. Spesso il problema età è più legato al mondo femminile, in quanto le donne tra i 20 e i 40 anni vengono viste come le più propense “a metter su famiglia”, e i datori di lavoro vedono ancora la maternità come un problema. Purtroppo, il Paese non è ancora uscito da questi luoghi comuni, ma le numerose battaglie che si stanno combattendo in tutto il mondo per la parità e i diritti dell’uomo e delle donne, arriveranno presto a migliorare e modificare anche il modo di lavorare in Italia.
Parlando in termini più generici del mondo del lavoro: quanto ha inciso il Covid?

Il Covid ha cambiato l’andamento di vari settori aziendali, facendo da catalizzatore per la trasformazione digitale. La possibilità di lavorare da casa ha aperto nuovi scenari, e in questo momento le aziende si trovano a dover stabilire quale sia il giusto approccio verso il graduale rientro in ufficio. La maggior parte delle aziende si sta orientando verso soluzioni ibride, consapevoli del fatto che la flessibilità attrae talenti, ma allo stesso tempo la presenza in ufficio contribuisce a creare senso di appartenenza, engagement. In ADP abbiamo deciso di ricordare ai lavoratori in maniera telematica che è bene mantenere una chiara separazione fra tempo lavorativo e tempo di riposo: i nostri dipendenti, se si collegano prima delle 8 del mattino o dopo le 8 di sera, visualizzano un messaggio che ricorda loro l’importanza del proprio riposo e del rispetto di quello altrui. Credo che la pandemia ci abbia insegnato come resilienza e capacità di adattamento siano diventati essenziali per avere successo nel nuovo contesto in cui operiamo.

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