Pinot Bianco
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Sette storiche cantine vitivinicole hanno unito le forze per preservare il Pinot Bianco

Articolo tratto dal numero di dicembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!

Quello della rete dimpresa nel mondo dei vini è un modello che, soprattutto negli ultimi anni, si è imposto con lobiettivo di fare sistema, evitando di frammentarsi e, quindi, disperdersi. Lo stesso principio che ha animato sette storiche cantine italiane a creare nel 2019 la Rete dimpresa Pinot Bianco nel Collio, per preservare il Pinot Bianco nel territorio friulano, noto nel mondo proprio per i suoi vini bianchi.

Le colline del Collio si estendono nella zona più settentrionale della provincia di Gorizia, a un passo dal confine con la Slovenia. In questarea il vino si coltiva da sempre, ma è dal 1850 che si sono diffusi i più famosi vitigni di origine francese, che qui hanno trovato il clima e il terreno ideali. Situato tra le Alpi Giulie e il mare Adriatico, il Collio è quindi un substrato ideale per la coltura della vite. E così, accomunate dal desiderio di esaltare le peculiarità del territorio (per questo le sette famiglie si considerano sentinelledel Collio), realtà quali Livon, Castello di Spessa, Pascolo, Marco Felluga e Russiz Superiore, Schiopetto, Toros e Venica&Venica hanno scelto di non essere competitor, bensì alleati.

Siamo sette famiglie con sensibilità differenti, che producono sette vini diversi”, fanno sapere le imprese coinvolte. Abbiamo deciso di stringerci attorno al Pinot Bianco, gioiello prezioso delle nostre terre, per portare la sua voce nel mondo. Abbracciarsi attorno a questo vino significa quindi sostenere il nostro straordinario territorio, preservarlo; amarlo e ringraziarlo per i frutti che, anno dopo anno, dona in risposta al nostro lavoro”. Un pocome la sinfonia di unorchestra: ogni strumento ha il suo timbro e la sinfonia nasce quando ciascuno di essi si esprime al meglio, pur sempre in armonia con tutti gli altri.

Pinot Bianco
Pinot Bianco Gardini @Fabrice Gallina2021

Ma quali sono stati finora i benefici di unaggregazione di questo tipo? Ci conoscevamo tutti, ma non avevamo mai lavorato insieme. Ora siamo un gruppo e camminiamo su una strada comune. Il nostro è un matrimonio di interesse verso le nostre terre”. Amore per la terra e per il prodotto che nel 1964 ha portato Dorino Livon ad acquistare il primo vigneto sulle colline del Collio o la famiglia Pascolo, sette ettari di vigneto nella parte sud di Ruttàrs, a gestire direttamente tutte le fasi della produzione, dalla potatura alla vinifcazione. C’è poi il Castello di Spessa, che, circondato da un campo da golf da 18 buche, tre ristoranti e centro benessere con vinoterapia, è molto più di una realtà vinicola. Senza dimenticare Marco Felluga e Russiz Superiore: una delle tante famiglie che, nel corso dei secoli, hanno fatto la storia di questo territorio e oggi conta 100 ettari di proprietà di cui 50 coltivati a vigneto tra cui il Collio Col Disore, il Collio Sauvignon Riserva, il Collio Pinot Bianco Riserva e il Collio Rosso Riserva degli Orzoni.

Nel cuore del Collio friulano ci sono poi Schiopetto – gli insegnamenti e le tecniche che il fondatore apprese in Germania e in Borgogna diedero inizio a una rivoluzione epocale in Italia, con la creazione di un nuovo modello per il vino bianco – e Toros, inizialmente adibita a stalla e poi convertita in cantina. Tra le più antiche c’è infine Venica&Venica, azienda familiare con una proprietà di 90 ettari di cui 40 vitati, che dal 1930 vive il ricambio generazionale nel segno di un amore sconfinato per il Collio. La cantina non è mai stata però dedicata alla sola produzione del vino, ma anche uno spazio dedicato allospitalità e alla cultura. Già nel 1985, nella casa del capostipite Daniele, è stata aperta una struttura agrituristica diventata poi wine resort di lusso.

Le colline del Collio
Le colline del Collio

Se c’è un tema su cui, le sette aziende concordano è poi la tutela della biodiversità. Anche in questo caso fare gruppo è fondamentale. È la ragione per cui abbiamo costituito un team di lavoro al fine di individuare buone pratiche sulla base degli indicatori dellAgenda 2030. Limpiego di fonti rinnovabili, la raccolta delle acque e la conservazione del terreno boschivo ne sono alcuni esempi”, dicono.

Una domanda sorge spontanea: in Italia, considerato lalto patrimonio enogastronomico, bisognerebbe fare più sistema per tutelarlo? La risposta è molto semplice: assolutamente sì. Riteniamo (e attraverso la rete vogliamo dimostrarlo) che la collaborazione è uno dei principali elementi per aumentare la capacità di crescere e la competitività nel mercato. Forse qualcuno ci ha fatto credere che valgono solo i primi violini, ma non è così. Serve il dialogo tra tutti gli attori, perché senza confronto, senza sistema, appunto, non si va molto lontano. La cosa importante è conoscere bene i propri musicisti e trovare larmonia”.

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