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Il prezzo calmierato delle mascherine Ffp2 è un modello per combattere l’inflazione?

Una delle conseguenze dell’ondata di ansia generata dalla variante Omicron e dalla quarta ondata di Covid è stata l’impennata dei prezzi di molti beni di consumo. Incluse le onnipresenti mascherine. In particolare le Ffp2, più resistenti di quelle chirurgiche e rese obbligatorie per legge negli spazi al chiuso, ma anche in alcune aree all’aperto. Per settimane sono state vendute in molte farmacie a un prezzo superiore a 1,50 euro: un vero salasso economico per le famiglie a basso reddito. Così il governo è dovuto correre ai ripari, e il protocollo firmato a fine 2021 dal generale Figliuolo, che ha fissato a 75 centesimi il costo di una singola mascherina, ha trovato l’approvazione di quasi tutto l’arco parlamentare. Ma la realtà è che, per ora, ancora una larga parte del mercato va per conto suo.

A parte alcuni grandi distributori che continuano con prezzi anche più bassi, i presidi sanitari per eccellenza (le farmacie) si sono adeguati, anche se, spesso, le vendono ancora a prezzi più alti (dipende dalle presenze più o meno monopolistiche sui territori). Alcuni titolari si giustificano dicendo di aver effettuato ordini prima del calmieramento. In altri casi il problema è proprio la disponibilità di mascherine, che vanno a ruba. Ma soprattutto prosperano i mercati informali: ambulanti che vendono pacchi di Ffp2 di dubbia importazione a prezzi stracciati, e milioni di persone che continuano a rifornirsi presso la grande distribuzione o su Amazon, dove le Ffp2 originali già prima erano venute a prezzi più bassi (anche a 50 centesimi).

Perché le mascherine costano 75 centesimi

Perché fissare il prezzo a 75 centesimi, allora? Il meccanismo di negoziazione di Figliuolo non è stato reso pubblico. Secondo gli aderenti è il prezzo giusto che permette di tutelare anche le farmacie più piccole o delle aree rurali. Il rischio, però, è che, invece di scatenare una concorrenza al ribasso, tutta a vantaggio dei consumatori, questo prezzo diventi la nuova base, di fatto facendo un favore alle farmacie.

La discussione sul calmieramento del prezzo delle mascherine (e, sempre in questi giorni, dei tamponi) si inserisce in un contesto nel quale il tema dell’inflazione è tornato centrale sul tavolo della politica e della società. I rincari sono arrivati nella maggior parte delle economie avanzate a livelli che non si vedevano dai primi anni Settanta, dalla crisi del petrolio di allora e dalle prime storiche domeniche a piedi. Alcuni economisti mainstream hanno sostenuto che questo picco di inflazione è dovuto alla domanda da parte dei consumatori (che hanno speso tutti d’un botto i risparmi e i sussidi accumulati durante il primo lockdown) e ai programmi di stimolo fiscale di tipo keynesiano del 2020-2021. Gran parte di queste misure sono state finanziate sempre più da iniezioni di credito da parte delle banche centrali.

Mainstream e post keynesiani

Il punto di vista del mainstream è che è arrivato il momento di contenere queste iniezioni monetarie con aumenti dei tassi d’interesse e riducendo il quantitative easing. I post keynesiani e i promotori della cosiddetta Teoria Monetaria Moderna (famosi per i loro meme sulla moneta da stampare con felicità) si oppongono fermamente. Isabelle Weber, che insegna economia all’Università Amherst del Massachusetts ed è l’autrice di Come la Cina è sfuggita alla terapia d’urto, ha scritto recentemente sul quotidiano britannico Guardian un articolo sul controllo dei prezzi per ridurre l’inflazione su alcuni beni primari, come le mascherine. Sintetizzando: Weber non suggerisce un controllo generalizzato dei prezzi, ma interventi temporanei e selettivi dove ci sono “colli di bottiglia”, fin quando la pandemia sarà incombente. Come dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Weber lascia intendere però che la misura non sarebbe solo a breve termine: “Il controllo strategico dei prezzi potrebbe anche contribuire alla stabilità monetaria necessaria per mobilitare gli investimenti pubblici verso la resilienza economica, la mitigazione del cambiamento climatico e la neutralità del carbonio”. In altre parole, una policy utile a tenere a bada i prezzi a tempo indeterminato, in modo che gli investimenti pubblici finanziati dalle banche centrali (stampando moneta) non debbano essere ridotti.

Il controllo dei prezzi

In effetti, in molti settori delle economie capitaliste, i controlli dei prezzi sono già in funzione: sugli affitti, ad esempio. La regolamentazione dei prezzi nei monopoli privati e nelle industrie statali si trova ovunque. Per questo motivo, i controlli dei prezzi sui farmaci o sulle tariffe dei trasporti possono giocare un ruolo per settori specifici, dove forse solo poche aziende dominano il prezzo. Ma fare paragoni, come fa Weber, con il secondo Dopoguerra o con il trionfale successo economico della Cina dei primi anni Ottanta è fuorviante: parliamo di governi che avevano il pieno controllo dei principali settori dell’economia e li indirizzavano verso il medesimo sforzo comune, con un’immensa macchina statale centralizzata. In un’economia come la nostra, in cui non c’è un controllo totale da parte dello Stato degli oligopoli sugli investimenti e la produzione, un controllo dei prezzi troppo goffo rischia non solo di non far scendere l’inflazione, ma di causare anche una crescita più bassa di investimenti e agevolare gli oligopoli tecnologici, come Amazon.

Da un lato, è vero che lasciare che il mercato faccia da sé – come chiedevano alcuni sostenitori delle teorie ortodosse già ai tempi del primo tentativo di calmieramento delle mascherine, nell’aprile 2020 – significa anche accettare il rischio che certi beni necessari alla lotta pandemica possano finire solo in mano a chi può pagare, o a chi vuole accumulare per poi rivendere a un prezzo più alto (come i bagarini coi biglietti delle partite). D’altra parte, un controllo dei prezzi applicato male può provocare un “congelamento” delle rendite di posizione in alcuni settori della distribuzione e un calo degli incentivi a investire per prodotti più efficaci e anche più economici. 

Se in generale non sembrano esserci elementi per credere che il controllo strategico dei prezzi sia un sistema affidabile per gestire il vasto problema dell’inflazione in questo momento, nel settore delle mascherine i governi potrebbero adottare un mix di strategie: ad esempio avviare una produzione nazionale per la distribuzione a prezzi calmierati, in linea con quelli della grande distribuzione, ai segmenti più fragili, occupandosi anche della distribuzione casa per casa e razionando le mascherine in modo che non ci siano acquisti e accumuli dettati esclusivamente dall’eccesso di panico.

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