“Alla fine sei l’uomo che sei e lo dimostrano le tue azioni… Non puoi scappare da te stesso”. Così crede Jake Gyllenhaal. “Nella nostra famiglia ci sono molti medici e spesso mi sono sentito chiedere: ma quando comincerai a fare un lavoro vero? Eppure io sono andato avanti per la mia strada, ho sempre creduto che ce l’avrei fatta come attore”, continua.
È appena uscito nei cinema americani il suo nuovo film The Covenant, una storia avvincente e bellissima ambientata in Afghanistan. Jake supporta anche l’Afghanistan Relief Organization, che aiuta i bisognosi e offre programmi educativi all’ARO Technology Education Center (Tec) di Kabul. The Covenant è diretto da Guy Ritchie, regista campione d’incassi, ed è stato da subito un grande successo. In Europa uscirà su Amazon Prime. Il segreto del successo di Jake? È da sempre un uomo molto sensibile e gentile, pieno di talento, ma al tempo stesso coraggioso e avido di sperimentare, serio e desideroso di proteggere, a tutti i costi, la sua privacy.
Cresciuto con una madre ebrea, nel giorno del suo tredicesimo compleanno ha voluto un Bar Mitzvah senza fronzoli, facendo volontariato in un rifugio per senzatetto. “I miei genitori mi hanno instillato una forte etica per il lavoro e volevano che offrissi la mia gratitudine per il mio stile di vita privilegiato, dato che sono cresciuto col loro amore e supporto”, ammette. La sua profonda sensibilità lo ha portato a seguire sempre il cuore, come il suo istinto a optare per scelte non facili, anticonvenzionali, innovative. “Diciamo che mi sono sempre piaciute più le cose complicate di quelle facili”, dice.
In The Covenant di Guy Ritchie è un sergente americano delle forze speciali che, durante la guerra in Afghanistan, recluta un’interprete che vuole vendicarsi dai talebani e con cui stringe un forte legame.
Il mio personaggio torna negli Stati Uniti e scopre che quell’uomo, a cui deve la vita, è in difficoltà. Quando si rende conto che le autorità americane si rifiutano di aiutarlo, tornerà lui stesso, solo contro tutti, in Afghanistan…
Come ha deciso di scegliere questo progetto?
Mi sono innamorato della storia, una bellissima sceneggiatura, che racconta della relazione complicata tra due persone. La comunicazione tra loro è a un altro livello, si sviluppa un legame al di là delle semplici parole. Per me si trattava di fare qualcosa di giusto, per un mondo migliore. Di non lasciare nessuno indietro o ignorato. È qualcosa in cui credo profondamente.
Di recente ha lavorato in molti film d’azione, dai Marvel Spider-Man: Far from Home e Spider-Man: No Way Home, entrambi di Jon Watts, ad Avengers: Endgame di Anthony e Joe Russo, poi The Guilty, Ambulance e ora The Covenant…
Non ho mai fatto scelte opportunistiche nella mia vita. Penso che per un uomo, sia nella vita privata ma anche nella sua professione, sia molto importante rimanere fedele a se stesso. Scelgo un progetto, perché mi piace la storia e il mio personaggio. Devo trovare una relazione con entrambi, per essere in grado di impegnarmi. Del resto è l’etica lavorativa con cui sono cresciuto e con cui mi hanno insegnato a vivere i miei genitori.
È cresciuto in una famiglia di artisti: suo padre regista e sua madre sceneggiatrice. Sua sorella, Maggie, è anche attrice.
Ho sempre ammirato molto gli scrittori, probabilmente proprio perché mia madre era una sceneggiatrice e so quanto sia difficile scrivere bene. Conosco tutti i sacrifici che si devono fare per riuscire come artisti. Ricordo da bambino quanto la cercassi e come lei fosse sempre al lavoro dietro una porta chiusa. Grazie a lei ho maturato anche una certa passione per la lettura e per le giuste cause. Adoro ancora il libro Il buio oltre la siepe di Harper Lee, come la determinazione del personaggio Atticus. Ho dato anche lo stesso nome al mio pastore tedesco. Avevo già una carriera di successo a Hollywood ed ero un uomo quando i miei genitori hanno divorziato, nel 2009, dopo trent’anni di matrimonio, ma questo ha avuto un forte impatto su di me. Mi ha portato a riflettere sulle mie scelte di vita, ma anche a giurare a me stesso di essere sempre onesto verso di me e gli altri. Ci vuole coraggio spesso per esserlo, ma i cambiamenti sono importanti. È stato allora che ho proiettato questa onestà perfino nel mio lavoro e ho dato una svolta alla mia carriera, con film impegnati come End of Watch, per cui sono stato produttore esecutivo, Southpaw – L’ultima sfida, Demolition, Animali notturni di Tom Ford e tanti altri.
Lei a sua sorella Maggie avete cominciato a lavorare davvero giovanissimi…
Fu lei a spronarmi a diventare un attore professionista. Io ero piuttosto timido e introverso, ma lei vide da subito il mio talento e capì che potevo sfondare. Avevo cominciato a studiare filosofia e religioni orientali, tra cui il buddismo, alla Columbia University a New York, ma lasciai per dedicarmi alla recitazione. Ho cominciato a recitare a undici anni. Uno dei primi ruoli che ricordo in una grande produzione è quello interpretato in City Slickers con Billy Crystal. I miei genitori mi hanno insegnato fin da ragazzo a guadagnarmi da vivere: ho fatto lavoretti estivi anche come autista di autobus e bagnino, ma volevano che continuassi a studiare, almeno fino a quando non ero adulto. Non mi permisero di accettare ruoli che avevo ottenuto ad audizioni, perché dovevo stare lontano da casa per mesi.
Con la sua casa di produzione Nine Stories Productions, che ha sede a Soho, a New York, avete anche molti progetti sempre in cantiere.
Ho prodotto Lo sciacallo, da me anche interpretato, nel 2014. Ho co-fondato questa azienda nel 2015, insieme a Riva Marker, un’amica che conosco da lungo tempo e che ho sempre ammirato come grande professionista. Il nostro scopo è di lavorare con registi e scrittori che amano le storie e sono visionari. Scegliamo i progetti e aiutiamo anche gli artisti a svilupparli. Abbiamo realizzato film come Wildlife, con Carey Mulligan, Le strade del male, con Tom Holland e Robert Pattinson, il recente thriller The Guilty. Una storia a cui tengo molto è Stronger, in cui interpreto una vittima dell’attentato terroristico alla maratona di Boston. È una storia vera di un ragazzo coraggioso ed eroico, Jeff Bauman, che, a seguito di questo incidente, ha perso le gambe. E presto, probabilmente in autunno, dovrebbe uscire su Netflix The Division, interpretato da me e Jessica Chastain, basato su un gioco di Ubisoft. Racconta di un nuovo virus che si diffonde a New York sul denaro di carta nel giorno del Black Friday. Ma i progetti sono tanti.
Adesso vive full-time a New York, cosa l’ha spinta a trasferirsi qui?
Da ragazzo sono diventato famoso per il film Donnie Darko e spesso nella mia esistenza mi sono sentito come quel personaggio. Ho anche un certo lato dark, che mi attira verso il lato oscuro dell’esistenza, i drammi e gli orrori, i segreti che si celano dietro vite solo apparentemente normali. Sono nato sotto il sole di Los Angeles, una città che mi piace e a cui di certo resto legato, ma a un certo punto della mia carriera mi sono svegliato là da solo in una camera d’albergo e non ero felice. A New York vivono mia madre e mia sorella Maggie, con suo marito, Peter Sarsgaard, un mio grande amico da sempre, e le loro figlie. Fui io, in realtà, a presentarli. A New York sapevo che avrei avuto sempre loro vicini e questo mi ha dato solidità, un equilibrio anche per la mia carriera. Ho deciso che la dovevo smettere con le commedie romantiche e mi dovevo concentrare su progetti di spessore. E poi ho una vita bellissima a New York. Adoro la città, perché è sempre piena di interessanti stimoli culturali e ha quel lato dark che ha ispirato tanti fumetti come Batman o Spider Man. Un’altra città che mi ispira molto è Londra. Anch’essa, spesso col suo cielo cupo e con grandi produzioni teatrali, la sento vicina alla mia anima malinconica.
Lei ha da sempre pure una grande passione per la musica. È comparso in diversi video, tra cui perfino uno di Jay-Z.
Mi sono appassionato all’hip hop, perché racconta storie, spesso drammatiche, come protesta contro la società per le ingiustizie e i soprusi. Sono appassionato del rapper Drake, mi lascio ispirare da The Notorius B.I.G., ma i miei gusti musicali non si limitano solo a un genere. Sono anche un grande fan e un amico di Marcus Mumford, la voce del gruppo indie Mumford & Sons. La musica è una grande fonte di ispirazione per tutto il mio lavoro, l’ascolto spesso per strada con il mio iPod o in metropolitana, ovunque posso. È un hobby salutare che consiglio a tutti. Inoltre è un ottimo antidoto per aumentare la produttività, oltre che la creatività.
Altri hobby?
Mi piace molto cucinare. E mangiare. Da bambino sono cresciuto in una famiglia che mangiava sempre insieme, proprio come fate in Italia. Mia madre cucinava piatti freddi, come buonissime insalate, mio padre più piatti caldi, a base proteine, come straordinarie bistecche. Io sperimento diversi tipi di gastronomia e mi diverte pure sfornare dolci, come la torta di meringa al cioccolato.
È anche impegnato nell’ambiente: ricicla regolarmente, supporta la riforestazione del Mozambico. E dopo aver lavorato nel film The Day After Tomorrow è volato nell’Artico per creare consapevolezza sul cambiamento climatico. Supporta poi associazioni come Global Green e The CarbonNeutral Company.
Sì, ci tengo anche a fare di più in futuro. Amo profondamente la natura e gli animali. E penso che sia importante che tutti ci impegniamo per proteggere il pianeta per noi stessi, ma anche per le generazioni future. Una figura che trovo di grande ispirazione è la giovane attivista ambientale Greta Thunberg.
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