Ci sono uomini che parlano e agiscono con il cuore e con le azioni, invece che con le pure parole. Affidabili e realisti, come allo stesso tempo creativi e innovativi, sognatori e romantici. Di solito sono i migliori visionari e leader, perché sanno farsi amare oltre che farsi apprezzare per il loro lavoro, e divengono ben presto popolari a livello globale, perché la loro empatia raggiunge tutti i popoli del pianeta.
Daniel Libeskind è un uomo così. Si considera un artista oltre che un architetto. Non ha mai parole di spregio per coloro che possono essere considerati i suoi concorrenti, come per coloro che magari gli hanno copiato un’idea o un progetto. Al momento, Libeskind, che ha il suo quartier generale a New York, è coinvolto nel contribuire alla costruzione di edifici nel tessuto urbano attorno a quello che sarà il ponte di Messina. Ma questo è solo uno dei moltissimi e svariati progetti che sta sviluppando in tutto il mondo.
Come si è appassionato di architettura e ha deciso di intraprendere questa professione?
Non ho deciso io di divenire architetto. In realtà è stata mia madre a consigliarmi questo. Quando fui accettato alla prestigiosa scuola The Cooper Union, a New York, potevo scegliere se specializzarmi in arte o architettura. Ricordo ancora come mia madre, che stava cucinando del pesce, mi guardò e mi fece presente che se fossi diventato un architetto avrei potuto avere un lavoro e fare in ogni caso arte. Se fossi divenuto soltanto un artista avrei rischiato di non essere in grado di mantenermi e potevo finire povero al punto di non essere nemmeno in grado di comperare una matita per disegnare. Dato che non eravamo una famiglia benestante, le sue parole mi colpirono.
Che lavoro faceva sua madre?
Mia madre era un’operaia nel settore tessile, lavorava moltissimo in condizioni terribili e guadagnando pochissimo. I miei genitori erano ebrei polacchi immigrati e sopravvissuti all’Olocausto. Entrambi i miei genitori non avevano un’educazione accademica, ma avevano una grande cultura, perché amavano leggere tanti libri e studiare. Inoltre la loro formazione veniva dalla vita vera, dalla storia, dalla loro cultura. Avevano una saggezza innata al livello di molti professori universitari che ho incontrato nella mia carriera. I miei genitori erano dei sopravvissuti, erano curiosi e avidi di conoscere tutti gli aspetti dell’esistenza e del mondo.
Come cominciò a sviluppare il suo stile?
Quando studiai architettura ebbi incredibili insegnanti. Tutti sono stati fondamentali per la mia visione: John Hejduk, Richard Meier, Peter Eisenman, solo per citarne alcuni. Ma il mio istinto mi portava sempre a mettere in discussione il sistema scolastico, mi piaceva disegnare a modo mio. Non riproducevo mai gli edifici, come spesso mi veniva chiesto, ma ne inventavo di nuovi. Già allora costruivo le mie opere. Per un certo periodo ho lavorato per altri architetti, ma ho sempre cercato di portare qualcosa di mio. Per me era importante imparare dalle nuove tecnologie, dal cambiamento climatico e dalla politica.
Da dove nascono le sue idee?
La mia visione continua a mutare e ad arricchirsi mentre viaggio per diversi continenti. Ma consiglio di non divenire mai un esperto, di mantenere la sfida aperta al mondo. La curiosità e la capacità di cogliere le meraviglie del mondo come se fosse la prima volta sono alla base del processo creativo più originale. Quando creo, non penso mai a tutto il mio lavoro precedente.
Cosa pensa dell’AI adesso?
Continuo sempre a disegnare a mano e per me è l’unica via per non cadere nella trappola dell’AI, di diventare un robot, un delegato dell’AI. Se si è intelligenti e non si è pigri non si diventerà mai schiavi dell’AI, ma la si utilizzerà per ottenere dei risultati ancora migliori. Con la nuova tecnologia si possono creare meraviglie.
Lei, prima di aver studiato come architetto, ha avuto anche una carriera di successo come artista. Ha studiato musica al Lódz Conservatorio in Polonia e si è trasferito a New York nel 1960 con una borsa di studio. A volte le sue opere paiono anche essere influenzate da una magnifica melodia che le guida…
La musica è parte della mia vita. Sono sempre stato ispirato dalla musica. Sono stato un musicista professionista dai 17 ai 19 anni e guadagnavo anche molto bene. Non ho mai abbandonato la musica, ma ho semplicemente cambiato il mio strumento creativo. L’architettura e la musica sono strettamente connesse. Hanno in comune la precisione, l’armonia, la scelta del colore per una e delle note per l’altra, sono tradotte da sistemi astratti e codificati, i disegni per l’una e le note per l’altra. Quando disegno per me è come comporre una sinfonia. La musica e l’architettura sono geometriche e matematiche, non si registrano nel tuo intelletto, ma nell’ascolto e nelle emozioni. Sono simili alla filosofia e alla letteratura in questo senso.
Qual è la sua visione dell’architettura in futuro?
L’architettura deve essere sempre più integrata nella natura, nella terra e nel cielo. E nell’ambiente. La sostenibilità, che per me è sempre stata importante, avrà un peso ancora maggiore. La memoria deve essere poi alla base di tutto affinché l’architettura sia anche utile all’umanità. Se sei un poeta o un compositore, un pensatore o un fotografo, puoi lavorare da solo, ma nell’architettura si lavora con altre persone. Per questo l’architettura deve creare una comunità di gente che si incontra. Un architetto deve sempre essere al servizio degli altri e mai di se stesso.
Il nuovo World Trade Center, nato dalla sua visione, con la Freedom Tower, anche se poi era stato affidato ad altri studi di architettura americani, dopo polemiche e problemi, è finalmente quasi terminato. Che ne pensa?
Ne sono molto fiero, perché alla fine rispetta molto la mia visione, la mia idea di creare uno spazio pubblico per la memoria collettiva, che è il senso anche della città di New York, dove anch’io vivo.
Lei ha vissuto anche in Italia e ha sempre molti progetti qui…
Mia figlia è nata in Italia. Amo l’Italia, che continua a essere il Paese che mi ispira di più, è nei miei interessi e nel mio cuore. L’Italia non è l’ovvietà, ma cultura, tradizione, bellezza, famiglia e il calore degli amici e della gente. Adesso col mio studio sono impegnato a contribuire a costruire strutture attorno al ponte di Messina, dove ho ricevuto anche un premio dal sindaco, e ho diversi progetti a Milano, come la CityLife, PWC Tower o le CityLife Residences Parcel II. Sono stato inoltre di recente nella giuria del Museo della Scienza a Roma. Mi piacerebbe pure costruire in Italia e nel mondo sempre più case popolari come per il progetto che ho di recente vinto a New York e a Long Island. Per me è davvero importante creare anche abitazioni per i senzatetto e le persone povere, garantire loro un degno tenore di vita, e al tempo stesso so quanto un edificio architettonico rilevante possa rivitalizzare un quartiere degradato.
A quali altri progetti sta lavorando? Lei è noto per avere costruito alcuni dei musei più belli al mondo, come il Jewish Museum Berlin e il Royal Ontario Museum.
Dopo la pandemia sto lavorando ancora di più e molti progetti non sono nemmeno ancora sul mio sito web. Da un lato lavoro alle case popolari e per creare comunità verdi, come sto facendo a Nizza, o costruisco un ospedale per curare il cancro, a Londra, dall’altro sono nel mondo del lusso quando costruisco le Baccarat Hotel and Residences a Dubai, o le Nokia Arena and Residential Towers a Tampere in Finlandia, o l’Infinity Tower, a Shanghai, in Cina… O, ancora, torno al mondo della cultura quando lavoro all’Einstein House, a Gerusalemme, a un grande museo di antropologia in Cile, al Mo Modern Art Museum in Lituania… Per me i musei sono abbracci magnetici di comunicazione, muse, poesia e memoria, stelle e geometria, musica e danza. Sono istituzioni democratiche aperte a tutti.
Qual è il suo consiglio per i giovani architetti?
Seguite i vostri sogni. Se amate quello che fate, ne uscirete sempre vincenti, anche se fallirete. Prendete vie rischiose, perché se seguite solo l’ambizione del successo non l’avrete mai. Mirate a fare progetti dove esistono una necessità e un significato.
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