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L’India supera Hong Kong e diventa la quarta Borsa più grande al mondo: le opportunità d’investimento

Un sorpasso che sa di storia e che apre a diversi e rilevanti scenari e impatti socio-economici. Ieri, per la prima volta in assoluto, l’India ha superato la Borsa di Hong ed è diventata il quarto mercato azionario più grande al mondo.

L’India supera la Borsa di Hong Kong

  • Ieri, secondo i dati riportati da Bloomberg, l’India ha superato la Borsa di Hong ed è diventata il quarto mercato azionario più grande al mondo.
  • La capitalizzazione complessiva delle Borse indiane ha raggiunto i 4.330 miliardi di dollari alla chiusura di lunedì contro i 4.290 miliardi di Hong Kong
  • Per l’India si tratta di un record assoluto, oltre che la dimostrazione di una continua e inarrestabile crescere. Basti pensare che la Borsa aveva tagliato 4.000 miliardi di dollari solamente lo scorso 5 dicembre.
  • “C’è un chiaro consenso sul fatto che l’India sia la migliore opportunità di investimento a lungo termine”, hanno scritto gli analisti di Goldman Sachs Group Inc., tra cui Guillaume Jaisson e Peter Oppenheimer, in una nota del 16 gennaio con i risultati di un sondaggio della Global Strategy Conference dell’azienda

Il contesto

Il sorpasso di ieri arriva in un contesto socio-economico molto particolare, in cui le difficoltà hanno attanagliato Hong Kong e la Cina. È evidente infatti che le rigorose restrizioni anti-Covid-19 di Pechino, la repressione normativa sulle società, la crisi del settore immobiliare e le tensioni geopolitiche con l’occidente hanno colpito duramente i titoli azionari cinesi ed eroso l’attrattiva per gli investimenti nel paese.

Basti pensare che il valore di mercato delle azioni cinesi e di Hong Kong è crollato di oltre 6mila miliardi di dollari rispetto ai picchi del 2021. Di contro, grazie alle prospettive di crescita e alle riforme politiche promosse da Nuova Delhi, l’India è diventato una delle mete preferite dagli investitori internazionali. I fondi esteri, per esempio, hanno versato più di 21 miliardi di dollari in azioni indiane nel 2023, aiutando l’indice di riferimento del paese, l’S&P BSE Sensex, a chiudere in positivo, per l’ottavo anno consecutivo, il 2023.

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“Meglio le azioni indiane”

Secondo Norman Villamin, group chief strategist di UBP, gli investitori che vogliono guardare ai mercati emergenti, ma diffidano degli investimenti azionari in Cina, potrebbero trovare un’interessate alternativa nelle azioni indiane. Infatti, anche se a partire dagli anni ’80 l’economia cinese sia cresciuta rapidamente fino a diventare la seconda economia mondiale, gli ultimi tre decenni non sono stati gratificanti per chi ha investito nelle azioni del paese.

“Dal 1992, l’MSCI China ha garantito agli investitori un Cagr di appena lo 0,5% (dati aggiornati alla fine di ottobre). Dall’altro lato, nello stesso periodo le azioni indiane hanno riportato un tasso composto di crescita annuale dei rendimenti dell’8,4% (in dollari), nonostante la rupia indiana si sia deprezzata di quasi il 3,4% all’anno rispetto al dollaro americano”, ha evidenziato Villamin.

Che evidenzia un aspetto molto importante: “A determinare questa sottoperformance da parte delle azioni cinesi è stata la crescita sofferente degli utili societari. Dal 2007, i titoli azionari cinesi hanno registrato una crescita degli utili pari solo al 3,6% annuo, mentre gli azionisti hanno visto i rendimenti del capitale proprio quasi dimezzarsi, dato che questi sono passati da un picco del 19% al più recente 11%. Le azioni indiane, invece, hanno registrato una crescita annuale degli utili dell’11%, superando persino l’8,7% realizzato nello stesso periodo dal NASDAQ100, indice trainato dai titoli tecnologici”.

Sulla stessa scia anche il pensiero di Jonathan Pines, head of Asia ex-Japan di Federated Hermes. “Ci sono quattro grandi componenti del nostro benchmark Asia ex Giappone: Cina, Corea, Taiwan e India. Di queste, la performance di Cina e Corea negli ultimi quindici anni è stata particolarmente scarsa. Nel caso della Cina, deriva da un rapporto con l’Occidente che si è praticamente deteriorato e da un rallentamento della crescita, causato a sua volta da un settore immobiliare che è diventato troppo grande rispetto al resto dell’economia”.

D’altronde, anche secondo Wim-Hein Pals, head of emerging markets equities di Robeco, c’è da evidenziare un altro aspetto: “La Cina ha smesso di essere un ‘paradiso dei bassi salari’. L’India, l’Indonesia, le Filippine e il Vietnam hanno ottenuto risultati migliori e sono diventati un’alternativa interessante per le aziende occidentali. L’espansione della capacità produttiva non è quindi più una pratica standard in Cina. Oltre a questi Paesi asiatici, anche il Messico e il Brasile ne escono molto meglio”.

“L’India è tra i principali mercati di interesse”, evidenzia Jason Xavier, head of EMEA Etf capital markets di Franklin Templeton, “soprattutto in virtù delle sue potenzialità di lungo periodo. La forza demografica della sua popolazione la porta a essere un attore chiave, non solo come potenziale outperformer all’interno dei principali indici dei mercati emergenti (insieme a Brasile e Corea del Sud), ma anche a livello globale. Pertanto, crediamo ancora una volta nei meriti di un approccio più attivo/tattico alla gestione di una vasta strategia sugli emergenti, utilizzando singoli mercati a basso costo come elementi strutturali con cui costruire posizioni di sovra/sottopeso rispetto al benchmark più ampio”, conclude.

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